Dire,oggi, di Porto
Marghera significa
ripensare a
novant’anni di storia di Venezia e del suo
più ampio retroterra, fino a traguardare lontano,
all’intero Nord Est e (penso al settore della
chimica) all’intero Paese: una storia complessa
e travagliata, da cui deriva l’intrico di problemi
che oggi abbiamo di fronte e che, proprio per
questo, non può essere sciolto in modi semplici
e rapidi, ma richiede soluzioni complesse e
pazienti.
Chi dice Porto Marghera pensa, di primo
impatto, al Petrolchimico. Ma l’insediamento
di questo complesso, nei secondi anni
Sessanta, ha aperto una terza fase nella storia
del polo di Marghera: dopo la prima, quella
della nascita e dello sviluppo ordinato, nel
contestuale disegno del porto industriale (periferico
rispetto alla città storica) e della cittàgiardino,
ideato e realizzato con grandi capitali
italiani e stranieri; e la seconda, quella dello
sviluppo caotico e speculativo, che ha massacrato
il territorio (si ricordi l’edificazione residenziale
a Mestre) in modo tale da rendere
ancor oggi difficile ogni tentativo di riordino
urbanistico.
La presenza del più grande e integrato polo
chimico italiano ha profondamente inciso, e
non soltanto per i mutamenti indotti nell’economia
industriale di Marghera e nei traffici
portuali di Venezia, ma anche sul tessuto produttivo
del Veneto, nel passaggio dall’agricoltura
all’industria, ma ancora nel più vasto
ambito della produzione e dei consumi in
tutta Italia – basta associare alla parola “chimica”
la parola “plastica”, per rendersene conto –
nonché sulle vicende sindacali e politiche,
anche nazionali, e, infine, nella drammatica
emersione della problematica della salute in
fabbrica e dell’inquinamento ambientale...
C’è stato un momento in cui dire Porto
Marghera faceva pensare soltanto a crisi occupazionali
e pericoli per la salute dei cittadini.
Coniugare occupazione ad ambiente, sviluppo
a salute è stata la linea che ancora nel 1993
l’Amministrazione comunale da me guidata
ha posto ad obiettivo del proprio lavoro, una
linea che non era detto dovesse essere vincente,
e che invece lo è stata perché tutta la città
la ha fatta propria: da allora il cammino per la
nuova Marghera si è mosso, pur tra mille difficoltà
e mille freni, in quella direzione.
Tutto questo va ricordato, sia pur per rapidi
cenni: perché tutto questo, nel bene e nel
male, ancora incombe sul presente e sulle sorti
di Porto Marghera, che pur dobbiamo e vogliamo
vedere come “area del futuro per Venezia”.
Da questa lunga e tormentata storia, deriva,
per esempio, la diversità e varietà della proprietà
di aree e di edifici, che impone per qualsiasi
progetto un preventivo accordo tra numerosi
soggetti – l’accordo di programma sulla
chimica del 1998, pietra miliare per la nuova Porto Marghera reca le firme di ben 37 soggetti,
dai Ministeri agli Enti locali, dai sindacati
alle industrie! – e deriva soprattutto la necessità
di bonifiche costosissime, preventive per il
riutilizzo delle aree: una palla al piede che continua
a ritardare e intralciare la maggior parte
dei progetti di riconversione.
Eppure, Porto Marghera è una scommessa che
bisogna giocare e vincere. Marghera ha una
superficie di 2200 ettari in una zona strategica
di raccordo intermodale tra il Mediterraneo
orientale e l’Europa centrale e orientale, con 45
km di banchine.
E’ impensabile non cogliere le
immense straordinarie potenzialità e opportunità
che essa offre, ancora una volta al servizio
non soltanto di Venezia ma di tutto il Nordest
e dell’intero Paese. L’attività di Fincantieri, leader
mondiale nella costruzione di grandi navi
da crociera, e la presenza di Vega – Parco scientifico
nazionale (ma non vorrei dimenticare il
Parco di San Giuliano, straordinaria area verde
là dove era una discarica industriale) stanno a
dimostrare che primi ma importanti passi
sono già stati fatti verso la riconversione dell’intero
assetto produttivo di Porto Marghera
in totale sicurezza per i lavoratori, i cittadini, le
acque, l’aria, l’ambiente.
La “nuova” Marghera non potrà infatti non
avere una vocazione produttiva – di una produzione
compatibile con l’ambiente, ivi compresa
la chimica “pulita” e “sicura” –, e accanto
a essa una funzione strategica nella portualità,
nella logistica, nell’intermodalità, ma
anche un ruolo rilevante nel terziario, nel
commerciale, nel direzionale, oltre che nella
cantieristica e nella diportistica, e nei vari servizi
che l’innovazione può proporre e richiedere.
Anche se i dettagli concreti e operativi
vanno costruiti con una paziente ricerca di
accordi e di risorse da investire, le prospettive
di fondo sono tracciate e condivise. Urgente e
indispensabile – voglio ripeterlo con forza – è
por mano alle bonifiche, nonostante il loro
costo altissimo: senza il risanamento delle
aree, non sarà possibile alcuna loro riqualificazione
e alcun riutilizzo.
Dopo la bella notizia dell’accordo sulla chimica
firmato a Roma a dicembre dello scorso
anno, che prevede un piano di investimenti
sui 600-700 milioni, e che il Consiglio comunale
ha ratificato con un larghissimo confortante
consenso, i quotidiani sono costretti
spesso a registrare, di questi tempi, notizie di
varie difficoltà: procedure controverse e prolungate,
incomprensioni tra enti, rischi di
chiusure o di dismissioni di impianti, intrico di
competenze, ostacoli finanziari... E’ perché la
complessità che ha originato il problema si trasmette
e si riversa, ovviamente, sulla soluzione
del problema: spero siano soltanto gli ultimi
contraccolpi, e che presto si possa por
mano alla “nuova” Marghera e al suo
sviluppo ordinato, qual era ai tempi
della sua fondazione.