
In uno dei primi numeri della rivista datato 2003 avevamo puntato sull’obiettivo di promuovere l’autonomia ed una migliore qualità della vita per tutti e in particolare per chi era in difficoltà, come disabili e anziani. Applicavamo in maniera piuttosto innovativa un’ottica della disabilità NUOVA ed INDIPENDENTE superando la vecchia logica dell’assistenzialismo, per privilegiare la valorizzazione delle qualità personali e vedere l’handicap nell’ambiente piuttosto che nelle persone.
Oggi, dopo aver approfondito per anni il discorso sulla disabilità fisica e sui limiti come opportunità, abbiamo deciso di interpretare in un senso più ampio il concetto di diversa abilità, considerando le tematiche sull’ambiente e sull’atteggiamento con cui ciascuno di noi si rapporta ad esso e alle tematiche di urgenza ambientale, sviluppo sostenibile, rinnovo energetico, nuove strategie ambientali. Restano al centro
della nostra attenzione le diverse abilità, ma offrendoci lo spunto per dischiudere un
nuovo panorama, quello rivolto alle innovazioni tecnologiche, che non più solo nel
campo della disabilità offrono la possibilità di superare determinati limiti, ma pure
rispetto al problema ambientale globale offrono una speranza di miglioramento.
Dal miglioramento delle condizioni di vita personali, al miglioramento delle condizioni
di vita ambientali e del pianeta. Questa volta disabile è il MONDO, un mondo
malato, con difficoltà respiratorie (inquinamento atmosferico), e un febbrone da
cavallo; basti pensare che la
temperatura media globale è aumentata di 0,6 ± 0,2 C°
dalla fine del XIX sec. e la maggior parte del riscaldamento osservato negli ultimi 50
anni è attribuibile alle attività umane.
Una nuova prospettiva, quella del miglioramento ambientale, sulla quale si stanno
impegnando un numero sempre maggiore di professionisti, ricercatori, scienziati,
enti, forze politiche, nazioni.
Un nuovo impegno che deve però trovare, fuori dai laboratori, una sensibilità e una
disponibilità al cambiamento, a livello politico, economico e sociale.
Per la soluzione
del problema ambientale purtroppo non basta combattere l'inquinamento o salvare le
specie in via di estinzione, quello che occorre è una strategia globale.
Se pensiamo che da soli i paesi sviluppati, pur comprendendo solo un quarto della
popolazione mondiale,
consumano l'80% dei beni del mondo, ci renderemo conto
che essi consumano l’ambiente e le sue risorse più rapidamente di quanto possano
reintegrarli.
È proprio per questo motivo che il concetto di
"sviluppo sostenibile" offre un’indicazione
per una efficace strategia ambientale; esso tiene conto della compatibilità dello
sviluppo umano ed industriale con l’ambiente originario, ma pure delle ambizioni dei
Paesi in via di sviluppo e delle esigenze delle generazioni future.
Considerando che le linee-guida per uno sviluppo sostenibile sono la protezione del
suolo agricolo, il rimboschimento, il controllo demografico, l’efficienza nell'uso
dell'energia e lo sviluppo delle energie rinnovabili, abbiamo una possibilità concreta
di gestire il nostro comportamento per superare i limiti di egoismo, menefreghismo
ed imprudenza che fino ad oggi lo hanno contraddistinto.
Dal 31 dicembre del 1997, la Convenzione di Basilea ha vietato il trasporto di qualsiasi
rifiuto pericoloso da Paesi sviluppati a Paesi in via di sviluppo. Gli ecologisti ritengono
che questa decisione debba stimolare la riduzione dei rifiuti tossici, orientando l'industria
verso processi e prodotti meno pericolosi per l'ambiente, o incentivando i ricicli.
Dovendo fare una mappatura del rischio industriale in Italia, attraverso un esame
della distribuzione sul territorio nazionale degli stabilimenti, si rileva che
oltre il 23%
è concentrato in Lombardia, in particolare nelle province di Milano, Bergamo, Brescia
e Varese. Regioni con elevata presenza di industrie a rischio sono anche il Piemonte,
l’Emilia Romagna (con circa il 10% ciascuno), ed il Veneto (circa 8%). Tra le aree di
particolare concentrazione Porto Marghera, Ferrara e Ravenna, in corrispondenza dei
tradizionali poli di raffinazione e/o petrolchimici. Mentre al centro-sud le Regioni più
soggette a rischi risultano essere il Lazio (circa 7%), la Sicilia (circa 6%), la Campania
(circa 6%), la Puglia (circa 4%) e la Sardegna (circa 4%), in relazione alla presenza
degli insediamenti petroliferi e petrolchimici nelle aree di Gela, Priolo, Brindisi, Porto
Torres e Sarroch e alla concentrazione di attività industriali nelle province di Roma,
Napoli e Bari.
Fra tutte queste realtà, in questo numero, abbiamo scelto di porre l’accento su quello
che potremo chiamare il
“new deal” di Porto Marghera, dedicando alla sofferta
realtà industriale veneta uno speciale che ci illustra il suo non semplice percorso di
riqualificazione ambientale, paesaggistica, architettonica ed energetica, verso la trasformazione
“Da polo chimico a polo di eccellenza”.
Importanti realtà produttive del settore chimico operanti nel sito di Porto Marghera
hanno già iniziato ad esercire impianti in grado di soddisfare i fabbisogni delle attività
produttive operanti nel Petrolchimico e quelle di attività esterne ad esso, non ignorando
del tutto, come in passato, le conseguenze di forte impatto ambientale delle
proprie attività e sviluppando la produzione nel senso di una innovazione tecnologica
sostenibile per l’ambiente, come ad esempio nell’importante attività di produzione
di idrogeno compresso, fonte di energia nella quale sono riposte molte delle speranze
per il futuro.
Il
Protocollo di Kyoto sottoscritto nella città giapponese l'11 dicembre del 1997 da
più di 160 Paesi è ormai entrato in vigore dal 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da
parte della Russia. Secondo l'obbligo da esso previsto i paesi industrializzati dovrebbero
operare una
drastica riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (biossido
di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoro
di zolfo) in una misura non inferiore al 5,2% rispetto alle emissioni rispettivamente
registrate nel 1990 (considerato come anno base), nel periodo 2008-2012. È
anche previsto lo scambio (acquisto e vendita) di quote di emissione di questi gas.
Quanti e quali Paesi stanno rispettando queste condizioni? Quali sono le Istituzioni
che più di altre si stanno impegnando nella virata verso uno sviluppo sostenibile?
Con quali mezzi? Le risposte a questi ed altri interrogativi saranno alla base degli articoli
di questo numero.