Tre ricerche sviluppate presso l’Università Milano - Bicocca dimostrano
quale enorme impatto potranno avere le nanotecnologie sui metodi di
produzione industriale e nelle terapie mediche.
L’Università degli Studi di Milano -
Bicocca è nata nel 1998 con una missione
ben precisa: fare della ricerca il
fondamento strategico di tutta l’attività
istituzionale.
La ricerca intesa non solo come ampliamento
delle frontiere della conoscenza,
ma anche come qualificazione
dell’attività formativa, come strumento
di relazione con il territorio e come
contributo allo sviluppo del sistema
produttivo.
L’Ateneo ha perciò sviluppato stabili
e intensi rapporti con il mondo imprenditoriale,
dedicando particolare
attenzione alla realtà territoriale in cui
è inserito e privilegiando, allo stesso
tempo, la dimensione internazionale.
Oggi, l’Università degli Studi di
Milano - Bicocca è un ateneo multidisciplinare,
articolato in 8 Facoltà e 21
Dipartimenti, che forma professionisti
in diversi campi: economico-giuridico,
scientifico-tecnologico, medico,
sociologico statistico, psicologico e
pedagogico.
Le valutazioni sulla qualità della ricerca
scientifica effettuate da organi
ministeriali hanno sempre collocato l’Università di Milano - Bicocca ai
primi posti nelle classifiche nazionali.
Alcune delle ricerche in corso, ad
esempio, si prefiggono, come obiettivo
applicativo finale, lo sviluppo di
metodi e procedure atte ad aiutare le
persone (ad esempio gli anziani, i disabili,
…) a superare i limiti imposti
dalle strutture e dall’organizzazione
sociale; altre si ripromettono di superare
i limiti attuali delle conoscenze,
in molti campi scientifici, esplorando
nuovi concetti che saranno alla base
di futuri sviluppi tecnologici; altre infine
vogliono ampliare le nostre conoscenze
sui modelli di funzionamento
di noi stessi, e cioè della nostra mente.
Tra le attività in corso presentiamo
alcuni risultati di ricerche sull’applicazione
di nanotecnologie ai settori
dei materiali funzionali e della salute.
Com’è noto, con nanotecnologie si
intende la capacità di osservare, misurare
e manipolare la materia su scala
atomica e molecolare. Le prospettive
“rivoluzionarie”, da molti uomini di
scienza associate alle nanotecnologie,
derivano dal fatto che a questi livelli
di dimensioni comportamenti e
caratteristiche della materia cambiano
drasticamente: le nanotecnologie
rappresentano un modo radicalmente
nuovo di produrre per ottenere
materiali, strutture e dispositivi con
proprietà e funzionalità grandemente
migliorate o del tutto nuove.
La via a nostro parere più interessante
per applicazioni “rivoluzionarie” è
quella cosiddetta “bottom up”. Essa
sta ad indicare l’approccio nel quale,
partendo da piccoli componenti,
normalmente molecole o aggregati
di molecole, si cerca di controllarne
e indirizzarne l’assemblaggio utilizzandoli
come “building block” per
realizzare nano-strutture, sia di tipo
inorganico che organico/biologico.
Le nanotecnologie avranno probabilmente
un enorme impatto sui metodi
di produzione industriale e nelle terapie
mediche. Esse suggeriscono possibili
soluzioni ad una serie di problemi
attuali grazie a materiali, componenti
e sistemi più piccoli, più leggeri, più
rapidi e più efficaci. Queste possibilità
aprono nuove prospettive per la
creazione di ricchezza e occupazione.
Le nanotecnologie dovrebbero inoltre
apportare un contributo fondamentale
alla soluzione di problemi mondiali
ed ambientali perché consentono, oltre
che di realizzare prodotti e processi
per usi più specifici, di risparmiare
risorse e ridurre il volume dei rifiuti
e delle emissioni. L’importanza delle
nanotecnologie è sottolineata dal fatto
che la Commissione dell’U.E. ha
recentemente pubblicato la Comunicazione
“Verso una strategia europea
delle nanotecnologie” in cui propone
non solo di incentivare la ricerca in
materia di nano-scienze e nanotecnologie,
ma anche di tenere conto di
una serie di altre importanti dinamiche
interconnesse.
Le tre ricerche che
presentiamo di seguito riguardano
nano-particelle in applicazioni mediche
per la cura della malattia di Alzheimer
(attività svolta da un gruppo
di ricerca presso il Dipartimento di
Medicina Sperimentale), nuovi materiali
nano-porosi contenenti rotori
molecolari (attività svolta da un gruppo
di ricerca presso il Dipartimento
di Scienza dei Materiali) e film sottili
nanostrutturati (attività svolta da un
gruppo di ricerca presso il Dipartimento
di Fisica in collaborazione con
il Politecnico di Milano).
Nanoparticelle per la cura della
malattia di Alzheimer
Questa ricerca riguarda la terapia e la
diagnosi della malattia di Alzheimer
con metodi nano-tecnologici. Contro
questa grave malattia neurodegenerativa,
che solo in Italia colpisce
oltre 500 mila persone, è partito nel
2008 un progetto europeo dal titolo
“Nanoparticles for therapy and diagnosis
of Alzheimer’s disease”, il cui
acronimo è NAD. La ricerca, finanziata
dal Settimo Programma Quadro
dell’Unione Europea, coinvolge
19 partners in tutta Europa ed è guidato
dall’Università degli Studi di
Milano-Bicocca.
Figura 1. Fibrille di proteina ß-amiloide ingrandite
20000 volte con un microscopio a forza atomica
Recenti statistiche
indicano che nel mondo 24,3 milioni
di persone sono affette da demenza
con 4,6 milioni di nuovi casi all’anno
(un nuovo caso ogni 7 secondi). In
Europa i casi di demenza sono circa
5 milioni, di cui oltre 3 milioni dovuti
alla malattia di Alzheimer. Questo
numero è comunque destinato
ad innalzarsi drasticamente, visto il
continuo aumento delle aspettative
di vita; nel 2040 è previsto che il numero
di casi raddoppierà nell’Europa
Occidentale e triplicherà nell’Europa
dell’Est.
Nonostante negli ultimi anni ci siano
stati numerosi progressi nella ricerca
delle basi molecolari della malattia,
ben pochi sono stati i progressi in
campo terapeutico e diagnostico.
Da qui il nuovo progetto, la cui missione
è quella di realizzare nano-particelle,
cioè “pallottole” delle dimensioni
di un miliardesimo di metro,
in grado di attraversare la barriera
emato-encefalica, “armatura” protettiva
del cervello, per riconoscere
(diagnosi) e distruggere (terapia) gli
aggregati di proteina ß-amiloide che
si depositano nel cervello dei pazienti
colpiti da Alzheimer.
Figura 2. Struttura di un liposoma, costituito da
un doppio strato di lipidi.
Nei primi due anni della ricerca il
gruppo guidato dal prof. Massimo
Masserini (coordinatore del progetto
NAD) si è focalizzato su un
particolare tipo di nano-particelle,
i liposomi, che sono particelle sferiche
costituite da una o più doppie
membrane di fosfolipidi, e perciò del
tutto simili alle membrane biologiche
che racchiudono le cellule. Queste
nano-particelle possiedono numerosi
requisiti che le rendono uniche
nell’ambito diagnostico e terapeutico.
Tra le caratteristiche si segnalano bassa
immunogenicità, assenza di tossicità,
biodegradabilità, alta biocompatibilità,
stabilità e facilità di preparazione.
L’interno acquoso può ospitare molecole
da veicolare al sito d’interesse. Primo obiettivo è stato quello di
identificare molecole in grado di riconoscere
e legare il peptide betaamiloide.
La prima scelta è ricaduta
sulle molecole che sono costituenti
naturali delle membrane biologiche,
ovvero i lipidi, perché sono il primo
punto di attracco del peptide betaamiloide.
Mediante l’uso di tecniche
avanzate messe a punto nei laboratori
del Dipartimento, quali la risonanza
plasmonica di superficie, sono stati
identificati come ligandi ad alta affinità
col peptide beta-amiloide, due
fosfolipidi, l’acido fosfatidico e la cardiolipina.
Successivamente lo studio
si è focalizzato su molecole già note in
letteratura, capaci di disgregare l’amiloide,
come ad esempio la curcumina,
il pigmento che dona il caratteristico
colorito giallognolo al curry. Recenti
studi, infatti, suggeriscono che la
curcumina possa inibire l’accumulo
del peptide ß-amiloide. Precedenti
studi clinici avevano dimostrato che
la curcumina è un potente anti-ossidante
ed anti-infiammatorio. Questo
sembra confermare la teoria secondo
la quale meccanismi infiammatori
sono coinvolti nell’insorgenza della
malattia di Alzheimer. Non a caso la
curcumina viene usata da migliaia di
anni come anti-infiammatorio dalla
medicina tradizionale indiana.
I liposomi sopracitati sono stati funzionalizzati
con questi lipidi e con
delle molecole con una struttura del
tutto analoga a quella della curcumina,
ma con piccole modifiche proprio
per permettere l’ancoraggio alla
nano-particella.
Le nano-particelle, quindi, potrebbero
funzionare da “cavallo di Troia”,
dopo opportuna funzionalizzazione
con molecole in grado di veicolarle
al cervello, per poi rilasciare le molecole
capaci di rimuovere la proteina
ß-amiloide. L’altro fronte su cui si
sta lavorando è quello di caricare le
nano-particelle con un agente di contrasto,
in modo da riconoscere e rendere
visibili i segni della malattia con
strumenti diagnostici avanzati come
la risonanza magnetica o la PET.
Per verificare l’efficacia delle nanoparticelle
sono stati già effettuati studi
su modelli animali della malattia
di Alzheimer (ratti transgenici), e i
primi risultati sono incoraggianti.
L’aspetto molto interessante di questa
ricerca è il fatto di unire competenze
sia mediche che tecnologiche e questa
unione sta portando risultati concreti,
che potranno avere un enorme
impatto nella diagnosi precoce e nella
cura di una patologia ad elevato costo
sociale ed alta incidenza.
Materiali nano-porosi per medicina,
ambiente ed energia
I ricercatori del Dipartimento di
Scienza dei Materiali dell’Università
degli Studi di Milano-Bicocca, guidati
dal prof. Piero Sozzani, docente di
Chimica Industriale, hanno scoperto
che è possibile realizzare in laboratorio
materiali altamente porosi costituiti
da un enorme numero di unità
molecolari, contenute in nano-canali,
che si muovono come velocissimi rotori.
I rotori molecolari sono elementi
in grado di convertire l’energia chimica
in forza meccanica e movimento,
una proprietà che può essere impiegata
in molti ambiti e per la prima volta
(precedentemente venivano realizzati
allo stato liquido) sono stati individuati
in materiali solidi porosi.
I ricercatori, utilizzando il silicio, il
carbonio e l’ossigeno, hanno realizzato
una struttura con la natura chimica
del vetro e di un materiale organico,
ma organizzata in modo ibrido.
Attraverso
la Risonanza Magnetica Nucleare
dello stato solido, una tecnica
avanzata per lo studio dei materiali,
è stato poi possibile analizzare l’elevatissima
velocità di rotazione dei rotori
molecolari, che supera i miliardi
di giri al secondo. Questi materiali
possono essere immaginati come un
nido d’ape, ma un milione di volte
più piccolo rispetto a quello reale,
formato da tantissimi canali le cui
pareti sono composte da unità molecolari
che ruotano ad altissime velocità.
Figura 3. Modello del materiale nanoporoso le cui pareti contengono i rotori molecolari.
La ricerca, pubblicata su Angewandte
Chemie (Angew. Chem. Int.
Ed. 2010, 49, 1760 -1764, Fast Molecular
Rotor Dynamics Modulated
by Guest Inclusion in a Highly Organized
Nanoporous Organosilica),
apre nuovi scenari nell’ambito delle
applicazioni industriali dei materiali
porosi e dei motori molecolari che
permettono di prevederne un futuro
impiego in nanomedicina, nei sistemi
di controllo ambientale e nelle nuove
tecnologie di utilizzo dell’energia.
Molti organismi viventi hanno diversi
tipi di rotori, motori molecolari e
nanocanali specializzati per diversi
scopi, come ad esempio il movimento
cellulare o il movimento di organelli
interni. I materiali nanoporosi realizzati
sono dotati di queste funzioni e
costituiscono un analogo sintetico
di organismi biologici. Tuttavia un
effetto assolutamente unico che manifestano
è la possibilità di regolare la
velocità di rotazione di questi motori
nanometrici mediante l’intervento di
specie chimiche assorbite, offrendo
l’opportunità di modulare con stimoli
chimici la specifica funzione.
La scoperta deriva dalla combinazione
unica di aree di ricerca fino ad
ora ben lontane, quella dei materiali
porosi ad altissima area superficiale e
quella dei rotori e motori molecolari.
Dal punto di vista scientifico, si tratta
di un contributo rilevante alla letteratura
attuale dove un tema caldo è il
raggiungimento di un controllo efficace
della dinamica nei solidi.
Il materiale realizzato dai ricercatori
può essere utilizzato per rilascio su
comando di farmaci in nano medicina:
i rotori, infatti, si orientano in
un campo elettrico o per l’azione di
radiazioni ad alta frequenza.
I rotori possono quindi essere utilizzati
per il rilascio, in modo controllato,
di determinati farmaci solo
quando particelle nanometriche del
materiale hanno raggiunto l’organo o
il tessuto che deve essere trattato.
Figura 4. Film nanostrutturato di TiO2
Lo
stimolo per il rilascio del farmaco può
arrivare dall’esterno attraverso, ad
esempio, micro o radiofrequenze. In
questo modo sarebbe possibile somministrare
una terapia selettiva utile
nel trattamento di alcune patologie,
come quelle tumorali.
I rotori molecolari possono essere anche
utilizzati efficacemente nel campo
della prevenzione degli incidenti nei
grandi impianti industriali o civili.
Questi materiali, infatti, possono
essere resi specifici verso ciascun gas
tossico: le specie assorbite frenano il
moto di rotazione dei rotori inseriti
nelle pareti dei nanocanali, producendo
un segnale rilevabile con le radiofrequenze.
I rotori presenti nei canali, in questo
caso, rallentano il loro moto a causa
della presenza di gas e questo modula
l’emissione di radiofrequenze verso
l’esterno.
Nel caso di una fuga di gas,
quindi, questi materiali potrebbero
essere impiegati per avvisare tempestivamente
gli addetti all’impianto.
Essendo caratterizzato da un’altissima
area superficiale (1000 metri quadri
per grammo) e da un elevato numero
di canali liberi, il materiale realizzato
dai ricercatori può anche essere sfruttato
per intrappolare al suo interno
grandi quantità di gas a pressioni
ridotte, eliminando la pericolosità
delle bombole e contenitori utilizzati
abitualmente per il trasporto e lo
stoccaggio e prevenendo così possibili
esplosioni. Inoltre, sarebbe possibile
utilizzarlo nell’ambito della produzione
energetica attraverso le biomasse:
come la spugna assorbe l’acqua, così
questo materiale potrebbe intrappolare
il metano o l’idrogeno appena
prodotti da fonti rinnovabili.
Film sottili nanostrutturati
Strati sottili di particolari materiali,
depositati su un supporto, possono
manifestare proprietà funzionali che
hanno un notevole potenziale applicativo
(ad esempio le celle fotovoltaiche).
È possibile immaginare un ulteriore
consistente miglioramento di
queste proprietà con il controllo della
nanostruttura, ottenuto costruendo il
film a partire da polveri di dimensioni
nanometriche.
Uno dei metodi per la produzione di
particelle nanometriche usa un gas ad
alta temperatura, nello stato di plasma,
in cui vengono fatte evaporare molecole del materiale che si vuole
depositare come film sottile.
L’evaporato si aggrega a formare grappoli
di atomi o di molecole (cluster).
Idealmente i cluster potrebbero essere
poi depositati su un substrato secondo
un principio di “auto-organizzazione”,
insito nella dinamica di un
processo di deposizione sofisticato
e complesso, per produrre strutture
dense, colonnari compatte, colonnari
aperte o dendritiche. Ad ognuna
di queste nanostrutture potrebbero
corrispondere “salti quantici” delle
proprietà di valenza applicativa di
interesse, ma lo stato dell’arte della
tecnica non permette una produzione
di questi film nanostrutturati a costi
industrialmente sostenibili.
Un team di ricerca dell’Università
di Milano - Bicocca, guidato dalla
prof. Claudia Riccardi del Dipartimento
di Fisica, e un team di ricerca
del Politecnico di Milano, guidato dal
prof. Carlo Bottani del Dipartimento
di Energia, hanno affrontato in collaborazione
il problema della produzione
industrialmente sostenibile ed
hanno inventato e brevettato un nuovo
metodo per la produzione tramite
plasma di film sottili nanostrutturati
e gerarchicamente organizzati, ed un
apparato per la realizzazione di tale
metodo. Nel nuovo metodo i cluster
prodotti nella camera a plasma vengono
estratti con un getto supersonico
attraverso un ugello e depositati
su un substrato posto in una camera
contigua. Variabili di processo, come
la differenza di pressione, le dimensioni
dell’ugello, la distanza tra ugello
e substrato permettono il controllo
del grado di auto-organizzazione dello
strato depositato.
L’apparato realizzato è facilmente
scalabile ed adatto alla produzione di
superfici ampie, come quelle richieste
per la produzione di pannelli solari.
Le applicazioni previste per i film nanostrutturati
deposti a partire da metalli,
semiconduttori, ossidi sono molte:
si prevede, per le celle fotovoltaiche,
di ampliare la finestra di cattura dello
spettro solare e aumentare l’efficienza
della conversione dell’energia fotonica
in energia elettrica, di produrre dispositivi
integrati che producano idrogeno
a partire da energia solare ed acqua,
dispositivi integrati per la trasformazione
di C02 in metano, di ottenere
sensori ambientali ad alta sensibilità,
di ottenere attrattive superfici luminescenti
per la illuminotecnica.
Ricercatori al lavoro nel laboratorio di Spettroscopia Nmr del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca.