Con questo contributo l’autore cerca di delineare il quadro politico, economico
e sociale che potrebbe favorire una uscita qualitativa dalla crisi
che stiamo vivendo, che permetta all’umanità di realizzare un modello di
sviluppo di una società solidale, di una crescita sostenibile, con la consapevolezza
che l’innovazione determina il progresso della civiltà solo se si
basa sui valori universali dell’uomo.
In Italia, ma anche in altri paesi europei,
stiamo osservando un paradosso
impressionante tra l’esigenza di uscire
dalla crisi con un modello di sviluppo
profondamente rinnovato ed una
tendenza a ridurre le spese per l’istruzione,
la ricerca e l’innovazione.
L’innovazione ha molti nemici, in
tutte le sue declinazioni: ricerca e sviluppo,
scuola, strutture sociali spesso
conservatrici, strutture produttive
troppo rigide.
Tutti questi ostacoli sono inevitabili
su un percorso di rinnovamento, tuttavia
non costituiscono il centro di
questo paradosso.
Il vero nucleo duro è l’indifferenza dei
dirigenti politici nazionali e gli scarsi
strumenti a disposizione dell’UE per
convincerli ad affrontare in un’ottica
“innovativa”, la politica economica.
In molti paesi, infatti, la crisi determinata
dal collasso dei mercati finanziari
ha prodotto politiche economiche
restrittive. Ciò ha intaccato in
particolare i settori che possono produrre
più innovazione, malgrado essi
costituiscano una priorità evidente.
Tagliare in questi settori contribuisce
a ridurre i deficit annuali dei bilanci
pubblici, ma potrebbe pregiudicare
fortemente la competitività e il ruolo
che i singoli paesi possono giocare
nella globalizzazione.
Mi preme ricordare che l’UE ha posto
tre obiettivi generali nella “Strategia
2020”, il progetto più ambizioso per
uscire dalla crisi: la crescita dell’economia
della conoscenza, uno sviluppo
sostenibile e una società “inclusiva”
che favorisca la coesione sociale,
con un obiettivo di lotta alla povertà
che dovrebbe condurre al superamento
della sua soglia da parte di almeno
20 milioni di persone, sugli ottanta
milioni di poveri che contano ancora
oggi i 27 paesi europei.
Questi obiettivi richiedono una forte
capacità di rinnovamento dell’economia
e della società, un volume
enorme di investimenti produttivi
e una profonda qualificazione dello
sviluppo.
Riassumendo, una crescita
qualitativa. La politica non può essere
estranea a questa innovazione, deve
cambiare le sue prospettive temporali
e spaziali. Il teorema della dilatazione
dello spazio e del tempo si è trasferito
dalla fisica alla politica.
Oggi, i grandi problemi dell’umanità
richiedono soluzioni a medio e lungo
termine. Per combattere il cambiamento
climatico, per definire e realizzare
un nuovo modello di sviluppo
equilibrato in Europa e nel mondo
e per realizzare un nuovo equilibrio
tra fonti energetiche occorrono piani
a lungo termine.
Ma occorre anche
un’ottica che tenga conto della nuova
situazione della geografia economica
nel mondo. Nessuno di questi obiettivi
è risolvibile a livello nazionale e
per alcuni anche il livello continentale
può rivelarsi insufficiente.
Allo stesso tempo, è necessario un
nuovo impulso per innovare le strutture
produttive, è necessario dare
nuovi stimoli all’economia partendo
da una riconciliazione con l’etica,
come ha autorevolmente affermato
l’enciclica “Caritas in veritate”. Ciò
presuppone un cambiamento radicale
dell’attuale rapporto tra la finanza
e l’economia reale. La finanza deve
essere al servizio di questo sforzo di
ristrutturazione economica, non può
essere egemone, come è avvenuto in
questi ultimi 20 anni.
Questa situazione ha scavato, soprattutto
nei paesi occidentali, un abisso
tra crescita produttiva e sviluppo dei
mercati finanziari. La bolla speculativa
che ne è derivata e che purtroppo si
sta riproducendo è all’origine dell’attuale
crisi economica e sociale.
C’è infine la necessità di una profonda
innovazione sociale, che riguarda
da una parte il modello di consumi
e dall’altra il dialogo sociale nelle e
tra le unità produttive. Il rapporto
tra “lavoratori” e “padroni” deve essere
ritarato in questa nuova realtà di
mondializzazione e di profondo mutamento
economico.
Il dialogo sociale diventa essenziale
per ridare competitività al nostro sistema,
se parte, come dovrebbe essere,
dalla convinzione che essa si basa
sul progresso sociale e tecnologico
non su una riduzione del costo del
lavoro. Forme di partecipazione dei
lavoratori sono ormai necessarie per
stimolare i progressi tecnologici e per
dare stabilità al capitale sociale.
In sintesi, si tratta di dialogare per
ricreare le condizioni di un rafforzamento
del capitale sociale in Italia ed
in Europa. Esso è infatti l’elemento
centrale della nostra competitività.
Lo sviluppo sostenibile non può infine
prescindere da un nuovo modello
di consumi in particolare nel mondo
occidentale.
Il divario tra Nord e Sud
del mondo nel livello quantitativo dei
consumi contrasta con una visione di
riequilibrio mondiale.
Si tratta di una prospettiva delicata e
di un mutamento epocale dei nostri
atteggiamenti: uno scambio tra una
diminuzione dei consumi ed una migliore
qualità della vita.
Un’indicazione non solo ai cittadini
europei, ma anche al mondo della
necessità di un modello di vita e di
società più sobria.
Con questo contributo ho cercato di
delineare il quadro politico, economico
e sociale che potrebbe favorire una
uscita qualitativa dalla crisi che stiamo
vivendo, che permetta all’umanità
di realizzare un modello di sviluppo
di una società solidale, di una crescita
sostenibile, con la consapevolezza che
l’innovazione determina il progresso
della civiltà solo se si basa sui valori
universali dell’uomo.