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Copertina della rivista

Immagine: Grafica per editoriale

 

Scienza e Tecnologia Scuola e Divulgazione

Gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori non lasciano dubbi: l’insegnamento scientifico è noioso, difficile, privo di attrattiva. Questo giudizio si radicalizza con il passare degli anni. Al momento della scelta universitaria la Scienza è ormai lontana dalle prospettive degli studenti che preferiscono discipline più concretamente vicine al loro senso della vita.




Difficile parlare di Scienza e ricerca senza far riferimento agli strumenti che hanno permesso l’aumento della conoscenza: la grande avventura della decodifica del genoma umano (forse l’impresa più ambiziosa e complessa mai portata a termine) non sarebbe stata possibile senza la messa a punto di strumenti automatici di analisi che si sono affinati e resi più veloci nel corso della ricerca stessa. Nell’hardware vale la legge di Moore: “la densità dei componenti attivi in un circuito integrato raddoppia ogni 18 mesi”; senza questo incremento di potenza delle macchine non sarebbe possibile affrontare molti dei progetti in ogni campo, dall’Astro nomia alla Genetica.
Mettere al corrente dei risultati di una ricerca senza spiegare come questi siano stati raggiunti è la pratica più comune per far divulgazione: si tratta di una via breve che serve ad informare grossolanamente il grande pubblico su argomenti che si ritengono di particolare interesse e sui quali si pensa di dover ritornare per questioni pratiche che interessano o interesseranno la vita di tutti noi. Purtroppo in questo modo, saltando immediatamente alle conclusioni, si dà l’impressione che il risultato presentato sia solo l’opinione di un gruppo di autorevoli personaggi e non la conclusione di un percorso rigoroso e controllato spesso accessibile, purtroppo, ai soli specialisti. Le conseguenze possono essere drammatiche come puntualmente viene ricordato ad ogni “scoperta” di un nuovo vaccino anticancro o di fronte alla presunta pariteticità di risultati tra la mistura di erbe “antivirali” e i farmaci antiretrovirali nella cura dell’AIDS. Trascurando nella comunicazione il percorso (pratica assolutamente indispensabile se si vuole conservare l’attenzione del grande pubblico per più di un picosecondo), si cade nel cortocircuito logico che mette sullo stesso piano ogni risultato o presunto tale, ignorando completamente i metodi della Scienza e pensando che un risultato scientifico possa essere “approvato a maggioranza”.

Formazione e divulgazione: due attività in parallelo
La scuola non è esente dai difetti dei molti giornalisti che trasmettono notizie di cui non comprendono bene il senso, ma ha responsabilità maggiori perché dovrebbe condurre dei giovani ad impadronirsi non solo di alcune conoscenze di base, ma anche della metodologia necessaria per raggiungerle e per fare ricerca scientifica. E’ chiaro però che formazione e divulgazione debbono proseguire di pari passo: non è possibile iniziare a parlare di ciò che avviene nel mondo esterno alle mura scolastiche fin quando tutti gli allievi non sono in grado di muoversi con agilità nel meccanismo della costruzione della conoscenza; tuttavia è necessario che il percorso cognitivo sia graduale ed esemplare e non tenda a fornire i soli risultati, fare cioè una informazione-divulgazione completamente impo ssibili da comprendere ai ragazzi. La ricerca dello stupore – quindi del coinvolgimento emotivo – è giusta, ma deve partire dalla normale esperienza quotidiana che rischia altrimenti di essere considerata come uno sfondo senza spessore ed interesse, mentre ad una osservazione attenta si rivela ricca di sfumature, di legami, di una complessità che fa comprendere quasi immediatamente come deve essere rispettoso l’atteggiamento di ciascuno di noi nei confronti della realtà, a cominciare proprio da quella che ci circonda. Occorre quindi che il docente si muova – ed è essenziale che questo avvenga proprio dai primi livelli scolari – con un metodo rigoroso senza tuttavia parlare ai ragazzi né di metodo, né di rigore, ma semplicemente praticandolo e facendo, ma soprattutto facendolo praticare ai suoi piccoli allievi. Ed in questo emerge subito la difficoltà di una scuola non pensata per questo uso, ma progettata come un luogo (l’aula stessa lo dimostra) in cui si ascolta una persona che parla. E’ vero che esistono anche i laboratori, ma si tratta di spazi usati saltuariamente in modo non sistematico, spesso solo a scopo esemplificativo per “verificare” una legge già fatta studiare a memoria. In sostanza il modo di far scuola nel nostro Paese è la negazione del metodo scientifico. Nei primi livelli scolari, dove gli insegnanti hanno una maggiore responsabilità e sensibilità nei confronti degli alunni, si tenta di correre ai ripari, ma in mancanza di assistenza specialistica si ricorre a sistemi non sperimentati che portano a risultati non analizzabili: in sostanza si dura molta fatica, senza ottenere risultati che possono essere considerati migliori di chi ripete quanto è riportato nei libri di testo e richiede uno studio mnemonico.

Grandi consumatori di oggetti tecnologici disinteressati al loro funzionamento
Non ci poniamo il problema di come un oggetto tecnologico funzioni, lo usiamo e basta senza alcun interesse apparente su come un telefono cellulare riesca a fare tutto quel che fa, un GPS ci dica dove siamo e lo stesso cellulare dica, a chi è in grado di decifrare il segnale, dove si trova il possessore del telefono stesso. C’è un amore fine a se stesso per i SUV di elevate prestazioni e una protesta diffusa per il costo dei carburanti. In compenso la diffusione di internet è la più bassa tra i Paesi sviluppati e la scuola non riesce a proporre un uso del PC utile per i giovani utenti che sono costretti ad imparare da soli acquisendo distorsioni ed approssimazioni, complicandosi inutilmente la vita.

Che cosa fa funzionare una macchina o uno strumento?
Non che la scuola debba impegnarsi a svelare tutti i segreti della tecnologia: è una strada già percorsa che si è trasformata in un vicolo cieco. Le ore dedicate all’Educazione tecnologica nella scuola media si sono trasformate in troppe occasioni in ripetizioni noiose e prive di prospettive sul funzionamento delle centrali a carbone proposte da persone che facevano malvolentieri il proprio lavoro e a cui veniva affidato il compito di fare un pò di scienza dai colleghi troppo impegnati a massacrare i ragazzi con una inutile e complicatissima matematica. Insomma l’impostazione della nostra scuola segue la cultura dominante che non comprende né la scienza né la tecnologia e la scienza e la tecnologia non possono che essere considerate le due facce delle stessa medaglia. Non si possono studiare le stelle senza un telescopio, ma se le lenti sono fatte male si perde la testa con le aberrazioni e non si riesce a capire che cosa si sta osservando. Non si può affidare lo studio della tecnologia ad uno che non sa di scienza, né uno che sa di scienza può fare a meno di ricordare ai propri allievi che senza i moderni strumenti di indagine non invasiva (dalla TAC alla PET), lo studio del cervello sarebbe rimasto alla frenologia forense.
Quello che manca è una conoscenza diffusa, non i grandi specialisti. Ma è proprio la diffusione della conoscenza che trasforma un insieme di individui in una comunità colta e consapevole. Ora ci troviamo di fronte a difficilissimi problemi ambientali che ci porranno delle scelte individuali e collettive drammatiche perché dalle nostre scelte dipenderà il futuro del pianeta: come faremo a prendere delle decisioni responsabili se non siamo in grado di analizzare, con una mente scevra dai pregiudizi e dalla convenienza immediata, gli scenari complessi che si porranno davanti? Questa è una conseguenza della mancanza cronica di un insegnamento scientifico degno di questo nome nel nostro Paese dalla riforma Gentile in poi. Tutto ciò che è stato fatto fino ad oggi non è altro che una serie di correttivi di bassa incidenza e non sempre di alto profilo che non hanno cambiato assolutamente l’impostazione della nostra scuola: molte chiacchiere, nessuna pratica!

Crisi scientifica: il caso dell’Italia
E’ noto da tempo che nei Paesi ricchi i giovani non prediligono gli studi universitari che hanno la scienza come prospettiva di vita, ma aspirano a divenire avvocati o ad occuparsi di finanza. L’Italia non fa eccezione, anzi. Continua un forte richiamo verso medicina e ingegneria, ma la scienza pura attrae meno e comunque non coinvolge tanti giovani quanti ce ne sarebbe bisogno in un Paese ad economia avanzata come il nostro vorrebbe continuare ad essere1. Non sembra aver influito su questo andamento la riforma dell’università con le lauree brevi che in molti casi hanno riproposto gli stessi corsi condensati in un tempo minore. Neppure la legge “Lauree scientifiche” sembra aver arrestato in modo significativo l’allontanamento dei giovani dallo studio delle scienze: si è tentato una difficile opera di ri-orientamento utilizzando metodi per lo più poco innovativi, molto blandi e non globalmente coordinati come le conferenze nelle scuole e le visite o l’uso dimostrativo dei laboratori universitari, una specie di ripetizione di quanto già avviene nel passaggio tra scuola media e superiore. I mezzi economici a disposizione non sono stati particolarmente elevati, ma neppure irrilevanti; è mancata però l’inventiva e il coraggio di assalire il problema nella sua essenza: una troppo bassa attrattiva nei confronti della scienza le cui cause non si sono volute ricercare né vedere. Del resto anche per i pochi ostinati che si laureano in Fisica, in Chimica o Biologia, il lavoro di ricerca nel nostro Paese è precario e mal pagato (quando viene pagato). “Se potessi avere 1000 euro al mese” è la richiesta della petizione di una Associazione di dottorati italiani2; si riferiscono all’importo minimo annuo per le borse di dottorato, ma sembra un sogno. Le borse sono poche, frazionate in diversi candidati che lavorano spesso gratuitamente e sulla fiducia di un futuro più solido e generoso. I migliori e senza legami se ne vanno all’estero ben sapendo che potranno tornare in Patria solo per salutare la famiglia o a carriera conclusa: nessuna università italiana li potrà accogliere. Il fatto che se ne vadano all’estero non sarebbe di per sé un male se ci fosse un ricambio di personale che dall’estero viene in Italia, ma così non avviene e rimaniamo in deficit assoluto di ricercatori. Così, mentre nel nostro Paese si assiste quasi immobili alla crisi della ricerca e all’assottigliamento del numero degli addetti nel settore (2,9 ogni 1000 abitanti, dietro a Portogallo, Grecia, Ungheria e Repubblica Ceca, sempre più lontano dalla Finlandia con 173), non può consolare, alla lunga, la prolificità dei nostri ricercatori che pubblicano molto. Il sistema è fragile e non sembra in grado di risalire la china o di contrastare il degrado senza interventi mirati come quelli che sono stati avviati nei principali Paesi europei e negli Stati Uniti. Sono incentivati in modo massiccio gli investimenti nella ricerca e le università attirano gli studenti, anche stranieri, con borse di studio, curricoli moderni, un insegnamento accurato, accoglienza confortevole e facilitata, prospettive di occupazione chiare, concrete e allettanti. La situazione in Italia non è esattamente delle migliori e, accanto a realtà di grande prestigio, ci sono una miriade di sedi che non offrono garanzie e richiedono molti sacrifici per prospettive poco o nulla incoraggianti. Il sistema formativo è complesso e risente di incrostazioni e privilegi antichi neppure messi in imbarazzo dai periodici interventi della Magistratura contro il sistema dei concorsi che tende a perpetuare un potere difficile da intaccare.

Come i giovani vedono la Scienza
Quando si è invitati a lavorare con i colleghi e i bambini della scuola elementare si accetta sempre con gioia: anche senza compensi o rimborsi la soddisfazione e l’entusiasmo che si incontra ripaga ogni fatica e difficoltà. I colleghi sono pieni di inventiva e di sponibilità, i bambini hanno una carica di curiosità e buona propensione che non si riesce a capire come sia possibile un declino di interesse e di rendimento così netto nel passaggio da un ordine di scuola ad un altro4.
Gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori non lasciano dubbi: l’insegnamento scientifico è noioso, difficile, privo di attrattiva e questo giudizio si radicalizza con il passare degli anni. C’è poi la faccenda della matematica di cui non si riesce a capire il senso e l’utilità e che risulta un mero mezzo di selezione scolastica. Una selezione tanto generalizzata e diffusa che molti iniziano a prendere debiti formativi in prima superiore portandoseli dietro fino alla classe terminale e questo indipendentemente dal tipo di scuola, ovviamente Licei scientifici in testa. Matematica incomprensibile, Scienze, soprattutto Fisica, impegnativa e quasi mai proposta con un metodo coinvolgente e attivo, hanno una azione assai respingente. Le altre Scienze hanno una accoglienza diversa: le Scienze naturali sono spesso ben accolte perché uniscono temi di sicuro interesse generale e personale, non viene richiesto un metodo di studio adeguatamente rigoroso e sono quindi ritenute poco impegnative perché non selettive; la Chimica compare solo in modo fugace nei Licei e non fa in tempo a creare una visione di sé definita. Insomma al momento della scelta universitaria la scienza è ormai lontana dalle prospettive degli studenti che preferiscono discipline più concretamente vicine al loro senso della vita.
Anche negli altri Paesi ricchi le Scienze sono considerate elitarie e la valutazione dell’insegnamento scientifico è negativa, ma in Italia la situazione è certo più grave per l’assenza di adeguata attenzione al problema, alla sua analisi, alla progettazione di misure correttive sistemiche e continue paragonabili a quelle adottate negli altri Paesi. Un esempio, apparentemente marginale ma assai indicativo, di questa attenzione modesta nei confronti delle Scienze si può ricavare dalla partecipazione alle Olimpiadi internazionali (ci sono di Matematica, Informatica, Fisica, Chimica e Biologia). Gli studenti italiani competono in queste manifestazioni da molti anni (è rimasta indietro Biologia, ma sembra che dal 2008 ci sarà) ottenendo risultati talvolta anche di prestigio: l’impegno dell’Italia non è paragonabile a quello degli altri Paesi per quanto riguarda l’impegno economico, umano e per il coinvolgimento e il rilievo che viene dato agli eventi da parte dei Ministri dell’Istruzione5.

ISS - Insegnare Scienze Sperimentali
Di questa situazione di degrado, ormai insostenibile, della nostra scuola e dell’insegnamento scientifico in particolare, tra i primi se ne sono accorti i docenti e le loro Associazioni disciplinari che da decenni, con mezzi modesti e interventi emblematici ma marginali, hanno tentato di colmare il vuoto di formazione lasciato dagli studi universitari. Con i corsi post laurea di specializzazione all’insegnamento si è raggiunta una migliore formazione iniziale dei docenti, ma la scuola rimane la stessa nonostante i tentativi di correzione introdotti con le cosiddette sperimentazioni didattiche. Una vera riforma non è mai stata fatta e il susseguirsi degli eventi degli ultimi anni non aumenta la fiducia. Anche in questo settore siamo indietro rispetto agli altri Paesi europei6 in cui le migliori risorse intellettuali si sono impegnate per mettere a punto una didattica adeguata alle Scienze. Tuttavia nell’autunno del 2005 è iniziato il Piano ISS7. L’allora MIUR, dopo i preoccupanti risultati ottenuti dai nostri studenti nell’indagine OCSE-PISA, ritenne opportuno accettare la proposta di intervento sulla metodologia di insegnamento delle Scienze avanzata dalle Associazioni professionali dei docenti di Scienze sperimentali (AIF per la Fisica, ANISN per le Scienze Naturali, DD-SCI per la Chimica). Successivamente il Ministero coinvolse nell’impresa il Museo “Leonardo da Vinci” di Milano e “Città della Scienza” di Napoli che hanno dato ulteriore sostanza e prestigio a tutta l’iniziativa. Dopo un anno di preparativi il Piano è stato avviato: sono stati formati circa 300 tutor che hanno interessato 14 delle 20 regioni italiane (il resto delle regioni sono state attivate ad ottobre); il completamento della fase iniziale è avvenuto ad ottobre 2007. I tutor, in terne costituite da un docente della scuola elementare, uno della media e uno del superiore, sono ritornati alle loro sedi per organizzare presso una scuola, un “presidio didattico” con lo scopo di costituire un riferimento facilmente raggiungibile per tutti i colleghi della loro zona, in cui sperimentare una metodologia di insegnamento più adeguata all’apprendimento delle Scienze. I tutor hanno preso accordi con tutte le realtà locali che, a vario titolo, hanno interesse all’insegnamento scientifico: Musei, Associazioni, Parchi e, naturalmente, Enti locali. Ogni presidio didattico è in contatto con molte scuole e il numero dei docenti coinvolti sta crescendo rapidamente. Il processo viene seguito e monitorato, oltre che in presenza, anche mediante una piattaforma informatica messa a punto specificatamente; nella veste di moderatori sono impegnati i docenti che hanno condotto i corsi di formazione iniziale.
Dai primi risultati le risposte sono apparse assai incoraggianti per partecipazione e qualità degli interventi. Tutto questo con una spesa, tenuto conto delle dimensioni del Piano, assai modesta. Purtroppo la tradizionale distanza dei politici dalla politica scolastica mirante al miglioramento della qualità, rimane e la risposta da parte del Ministro è stata talmente tiepida da risultare scoraggiante al punto tale da mettere in discussione la prosecuzione e diffusione del Piano.
Non rimane che sperare che ci siano interventi a sostegno della nostra scuola e dell’insegnamento scientifico che sta alla base della nostra formazione culturale, delle nostre prospettive economiche e, soprattutto, di vita.

NOTE:

1 Teresa Mariano Longo, “Scienza, un mito in declino? La crisi delle iscrizioni alle facoltà scientifiche: Italia, Francia, sguardo internazionale”, Le Scienze Naturali nella Scuola, con il contributo del MIUR, 2003 Stamperia editoriale pisana
2 Associazione dottorandi e Dottori di ricerca Italiani ADI - www.dottorato.it
3 Daniela Cipolloni, “Il paradosso della ricerca italiana”, Le Scienze giugno 2007 pag. 22
4 Teresa Mariano Longo, “La visione della Scienza costruita nella scuola. Indagine sull’immagine della Scienza che hanno gli studenti della Scuola secondaria superiore”, Le Scienze Naturali nella Scuola, con il contributo del MIUR, 2007 Loffredo Editore - Napoli
5 Anna Pascucci, “In Canada alle Olimpiadi Internazionali di Biologia”, http://www.anisn.it/leggi_news.php?id=447
6 Alessandro Delfanti, “Indagando s’impara”, Le Scienze agosto 2007 pag. 31
7 http://www.pubblica.istruzione.it/argomenti/gst/iss.shtml