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La ricerca scientifica in Italia

Il quadro della ricerca in Italia rivela una situazione di forte ritardo sia rispetto ai principali paesi industriali che ad alcune economie europee di minori dimensioni come quella vedese e finlandese.
Per quanto riguarda gli investimenti in Ricerca e Sviluppo, l’Italia mostra un ritardo non solo rispetto al Giappone e agli Stati Uniti, ma anche rispetto ai paesi europei; valori inferiori a quelli italiani si riscontrano solo per Spagna, Portogallo e Grecia. Gli impegni del Governo.

Nell’ambito delle teorie dello sviluppo economico uno degli assiomi maggiormente condivisi è il nesso che corre tra gli investimenti in ricerca e innovazione di un’economia e la sua capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo.
I più recenti sviluppi, in particolare la teoria della crescita endogena [P. Romer (1986)1, R. Lucas (1988)2, hanno avuto grande influenza nella politica economica dei governi di alcuni paesi industrializzati orientando le scelte verso azioni finalizzate a perseguire miglioramenti nell’istruzione e maggiori livelli quantitativi e qualitativi di ricerca e sviluppo, elementi questi considerati indispensabili per aumentare la produttività delle imprese e dei sistemi innovativi nazionali.
Per altro, i più recenti sviluppi della reoria della crescita endogena, affermatisi a partire dagli anni ’90 [Aghion e Howitt (1992)3 e lo stesso P. Romer (1990)4, evidenziano esplicitamente la natura di bene quasi pubblico del progresso tecnico, caratterizzato da non rivalità e (anche se solo parzialmente) non-escludibilità e che, in quanto tale, deve essere fornito dallo Stato per il tramite di spese pubbliche di ricerca.

La ricerca scientifica nel mondo
Nel 2004 gli Usa hanno speso in ricerca 312 miliardi di dollari, pari al 2,8 del PIL, contro i 118 del Giappone (3% del PIL) e i 210 dell’Europa (1,9 del PIL).
La Cina che ha ormai raggiunto il terzo posto nel mondo in quanto a investimenti assoluti, ha speso circa 93 miliardi di dollari, precedendo la Germania (59 mld $), la Francia (38 mld $) e il Regno Unito (32 mld $).
L’Italia con i suoi 17 miliardi di $ circa, si trova molto al di sotto nella graduatoria delle spese per la ricerca sia in termini assoluti, sia in termini di percentuale del PIL (circa 1,1%).
Gli Stati Uniti rimangono pertanto i maggiori finanziatori della ricerca scientifica nel mondo.

Quale ricerca
Al di là dei valori assoluti, cioè di quanto si spende in ricerca, è sostanziale capire il modo in cui si spende. E’ infatti fondamentale operare una distinzione fra investimenti rivolti alla ricerca di base e investimenti indirizzati alla ricerca applicata.
La ricerca applicata può sostanzialmente identificarsi come ricerca orientata al e dal mercato, finanziata prioritariamente dall’industria privata che attraverso i risultati di tale ricerca acquisisce competitività e quote di mercato. Senza disconoscere il valore della ricerca applicata occorre sottolinearne alcuni limiti, in primo luogo il rischio che si creino forme di esclusione e distorsione: alcune scelte delle industrie farmaceutiche sono esemplificative in tal senso. In secondo luogo si rischia di puntare esclusivamente sulle applicazioni immediate dei risultati della ricerca, perdendo di vista finalità e orizzonti più ampi.
La ricerca di base, orientata dalla curiosità dei ricercatori e con effetti che il più delle volte vengono percepiti con qualche ritardo, costituisce per contro la base della conoscenza, quella che ha prodotto le più grandi scoperte all’origine delle tecnologie che hanno profondamente mutato la nostra vita quotidiana. La ricerca di base ha da sempre svolto, in sostanza, anche un ruolo di stimolo sia per la ricerca fondamentale orientata, sia per quella applicata.

Il sistema della ricerca in Italia
In generale, il quadro della ricerca in Italia rivela una situazione di forte ritardo sia rispetto ai principali paesi industriali che ad alcune economie europee di minori dimensioni come quella svedese e finlandese. Per quanto riguarda l’intensità di R&S, in termini di investimenti in percentuale del Pil, l’Italia mostra un ritardo non solo rispetto al Giappone e agli Stati Uniti, ma anche rispetto ai paesi europei; valori inferiori a quelli italiani si riscontrano solo per Spagna, Portogallo e Grecia.
Secondo gli ultimi dati disponibili5, nel 2003 la spesa per R&S delle imprese, delle amministrazioni pubbliche (incluse le università) e delle istituzioni private non profit mostra una battuta di arresto dopo tre anni consecutivi di crescita; su base annua l’aumento è soltanto dell’1,2% in termini monetari
(-1,7% in termini reali).
L’incidenza percentuale della spesa per R&S intra muros sul prodotto interno lordo (Pil) si riduce quindi, passando dall’1,16% del 2002 all’1,14% del 2003, invertendo una tendenza alla crescita che appariva ormai consolidata.
Il settore universitario continua a crescere anche nel 2003 (+4,3% rispetto al 2002, anche se in modo più contenuto a causa del rallentamento nelle assunzioni di nuovi docenti. Al contrario, il settore delle imprese, dopo tre anni di forte crescita, riduce la propria spesa in R&S intra muros dell’1,1% in termini monetari. E’ poco dinamica la spesa per R&S intra muros delle amministrazioni pubbliche (escluse le università) che aumenta dello 0,7%. Al riguardo si deve osservare che la spesa degli enti pubblici di ricerca non aumenta nel 2003 (-0,1%), mentre le previsioni per il 2004 indicano una consistente riduzione (-11,6%).
Per altri comparti, i dati di previsione 2004 e 2005 (non disponibili per le università) alimentano un ottimismo assai cauto, incentrato sulla ripresa delle spese per R&S intra muros nelle imprese (+7,5% nel 2004 e +5,1% nel 2005).
Nel complesso i dati di previsione segnalano aumenti del 2,9% nel 2004 e del 4,3% nel 2005, sempre a valori correnti.

La spesa per ricerca e sviluppo intra-muros6
Nel 2003 la spesa per R&S intra-muros in Italia è stata pari a 14.769 milioni di euro. Le imprese hanno svolto il 47,3% dell’attività nazionale totale di R&S intra-muros (era il 48,3 nel 2002). Seguono le università (33,9%), gli enti pubblici di ricerca (14,3%), le altre istituzioni pubbliche (3,2%) e, infine, le istituzioni private non profit (1,4%).
Con riferimento alle imprese, alle istituzioni non profit e alle amministrazioni pubbliche, la ricerca di base occupa il 16,1% della spesa, quella applicata il 48,5%, mentre lo sviluppo sperimentale il 35,4%.
Come nel 2002, continua a crescere la quota della spesa per la ricerca di base (+13,1%), in particolare nelle amministrazioni pubbliche (+16,3%). Si conferma anche la tendenza degli enti pubblici di ricerca a limitare la ricerca applicata (-12,0%) e a rafforzare lo sviluppo sperimentale (+19,8%).
La contrazione delle spese in R&S intra-muros delle imprese ridimensiona ulteriormente la quota privata della spesa per R&S totale, che è peraltro in diminuzione dal 2000. Il contributo delle imprese alla R&S italiana scende infatti dal 50,1% del 2000 al 47,3% nel 2003. Si tratta di una anomalia nel contesto dei principali paesi Ue, dove la quota della spesa sostenuta dal settore privato supera frequentemente il 60% con punte, nei paesi nordici, di oltre il 70%. La tenuta del sistema nazionale della R&S è, quindi, garantita dalle amministrazioni pubbliche e, soprattutto, dalle università. La spesa delle università cresce in media del 10% annuo tra il 2000 e il 2003. Il rallentamento osservato nel 2003 in tutto il settore pubblico solleva, però, un serio interrogativo circa la capacità delle amministrazioni pubbliche e delle università di sostenere anche in futuro un sistema di ricerca non adeguatamente alimentato da investimenti privati.
Si conferma il diverso apporto nella spesa per R&S delle grandi imprese rispetto a quelle di minore dimensione. Le imprese con almeno 500 addetti sostengono il 72,7% della spesa per R&S intra-muros del settore, mentre il contributo delle piccole imprese (sotto i 50 addetti) rimane limitato (5,1%).

Quali prospettive: gli impegni del Governo a sostegno della ricerca
La crisi di competitività del sistema produttivo italiano è in gran parte attribuibile ad una struttura che, a causa della rigidità del modello di specializzazione settoriale e della ridotta dimensione aziendale, si presenta come scarsamente rivolta verso le attività di ricerca e innovazione, dunque poco permeabile all’innovazione e al contempo inadatta a intercettare tutte le possibilità del ciclo tecnologico che è in atto e che è pervasivo e duraturo.
Su tale analisi concordano i diversi soggetti a vario titolo interessati, dalla Confindustria ai sindacati, alle forze politiche responsabili delle scelte di politica economica e industriale del Paese.
Il 19 settembre 2006, in occasione della IV Giornata della Ricerca organizzata dalla Confindustria è emersa una forte richiesta avanzata dagli operatori economici di misure rivolte al sostegno della ricerca e dell’innovazione.
I ministri Bersani e Mussi, intervenuti al convegno hanno preso precisi impegni in tal senso, che si sono poi concretizzati nella presentazione del disegno di legge Bersani “Industria 2015”, nonché in alcune misure contenute nella legge finanziaria 2007 recentemente presentata.
In particolare il disegno di legge di riordino della politica industriale “Industria 2015” presentato dal Ministero dello Sviluppo Economico si propone di rilanciare il sistema produttivo italiano muovendosi su due direttrici fondamentali:
1. utilizzando meccanismi di sostegno generalizzati, anche a carattere automatico, per favorire la ricerca, la riduzione dei costi d’impresa, la promozione di investimenti, la crescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio territoriale;
2. attraverso sistemi di incentivazione fatti “su misura” per singoli obiettivi strategici che vengono realizzati individuando aree tecnologico-produttive con forte impatto sullo sviluppo (ad esempio l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile e le scienze della vita, ecc.). Le aree tecnologiche saranno definite da un “Documento di programmazione per lo sviluppo”, triennale, a partire dal quale vengono individuati singoli progetti di innovazione industriale a cui si candideranno piccole, medie e grandi imprese, Enti di ricerca, Università e sistema finanziario. Per stimolare imprese, Enti di ricerca, Università e soggetti finanziari privati a partecipare ai singoli progetti di innovazione industriale, tutte le amministrazioni pubbliche nazionali e locali sono coinvolte nei progetti e possono contribuire con gli interventi centrali che si strutturano:
- sia in forma classica (attraverso il nuovo Fondo per la competitività);
- sia nel sostegno di nuovi strumenti (il nuovo Fondo per la finanza d’impresa);
- sia con standardizzazioni normative e ogni altra misura utile.

Asse portante dei progetti è il raccordo inedito tra il Ministro dello Sviluppo Economico, il Ministro dell’Università e la Ricerca e il Ministro dell’Innovazione nella Pubblica Amministrazione.
Un raccordo che sarà presente in ogni passaggio chiave del cammino che porta alla realizzazione di ogni progetto e che si concretizzerà, sotto il profilo finanziario, attraverso uno stretto coordinamento tra i fondi per la ricerca applicata gestiti dal Ministero dell’Università e i Fondi per lo sviluppo gestiti dal Ministero dello Sviluppo economico. Fondi che agiranno in modo congiunto per la realizzazione dei progetti.
I progetti di innovazione industriale verranno individuati sulla base di un documento relativo alle linee strategiche che fissa gli obiettivi con un chiaro ed evidente impatto macroeconomico di rilievo nazionale. Le caratteristiche dei progetti di innovazione industriale dovranno essere:
- la focalizzazione sugli obiettivi di avanzamento tecnologico definiti dalle linee strategiche;
- la ricaduta industriale in termini di nuovi processi, prodotti o servizi, relativi a segmenti di mercati in crescita;
- l’integrazione di strumenti di aiuto alle imprese, di azioni di contesto collegate e di misure di regolamentazione e semplificazione amministrativa;
- il coinvolgimento in forma singola o consorziata di grandi imprese, piccole e medie imprese, centri di ricerca pubblici e privati anche attraverso lo sviluppo del partenariato pubblico-privato;
- la sinergia delle attività dei soggetti pubblici responsabili delle azioni a sostegno del sistema produttivo, con particolare riguardo al coinvolgimento delle regioni interessate tramite la valorizzazione delle loro attività di politica industriale;
- l’attenzione ai processi di creazione e sviluppo di imprese giovanili nelle aree tecnologiche e produttive individuate come prioritarie.

Il disegno di legge Bersani è stato in parte introdotto nella finanziaria 2007 che nel Titolo IV Interventi per lo sviluppo e la ricerca, Capo II Misure di sostegno all’apparato produttivo, individua quattro aree tecnologiche orizzontali per cui saranno finanziati singoli progetti: la mobilità sostenibile, la scienza della vita, le nuove tecnologie per il made in Italy, le tecnologie innovative per il patrimonio culturale. Inoltre la finanziaria stabilisce che seicento milioni di euro andranno, in forma di crediti di imposta, alle imprese che investono in ricerca e stipulano contratti con le Università; 1,1 miliardi andranno al Fondo per la competitività e lo sviluppo (che è proprio il fondo destinato a finanziare i progetti per l’innovazione tecnologica); 300 milioni nel prossimo triennio saranno invece la dote del nuovo Fondo per la finanza d’impresa. Inoltre “al fine di garantire la massima efficacia degli interventi nel settore della ricerca, viene istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Università e della Ricerca, il Fondo per gli Investimenti nella Ricerca Scientifica e Tecnologica (FIRST)”.


NOTE:

1 Romer, P.M. (1986), “Incrensing Returns and Long Run Growth”, Journal of Political Economy, vol. 94, n.5, pp.1002-1037
2 Lucas, R.E. (1988), « On the Mechanics of Economic Development”, Journal of Monetary Economics, vol. 22, n.1, pp.3-42
3 Aghion, P. - Howitt, P. (1992), “A model of Growth through Creative Destruction”, Econometrica, vol. 60, n. 2, pp. 323-351
4 Romer, P.M. (1990a), “Endogenous Technological Change”, Journal of Political Economy, vol. 98, pp. 71-102.
5 ISTAT, La Ricerca e Sviluppo in Italia nel periodo 2003-2005, ottobre 2005; La ricerca e sviluppo in Italia, Periodo di riferimento: Consuntivo 2003 - Previsioni 2004-2005. Diffuso il 14 marzo 2006
6 La ricerca intra-muros è quella svolta dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche al proprio interno, con proprio personale e con proprie attrezzature.