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NRiabilitare un bambino è un processo complesso, comunque, indipendentemente dal tipo e dal grado di disabilità. Si tratta di promuovere, infatti, la miglior qualità di vita possibile non solo nel bambino ma anche nella sua famiglia. C’è da occuparsi dell’individuo nella sua globalità (il corpo e la mente, gli affetti, la comunicazione, la relazione) cercando di coinvolgere il suo contesto familiare, sociale ed ambientale. Molti gli interventi integrati necessari, e non tutti sanitari. In questo ambito determinato poi, bisogna rieducare avendo come obiettivo lo sviluppo ed il miglioramento delle funzioni adattive della persona.

Nella percezione che si ha solitamente di un bambino disabile, però, grande rilievo assumono proprio le sue funzioni alterate: a partire dal vissuto del genitore, che avverte la disabilità del figlio dominante su tutto. Ciò rende la domanda di riabilitazione della famiglia sempre un po’ troppo sanitaria, troppo individualmente tecnica. La limitazione funzionale ha un chiaro e netto sopravvento sulla persona. Ed allora si richiede una presa in carico per ciò che è venuto meno. Possibilmente, per tante ore a settimana. Come se più terapia garantisse sempre più recupero.

Minore è invece l’attenzione su cosa è rimasto e su come può essere meglio valorizzato. Quel genitore, più investito sulla disabilità da curare che
sul figlio da educare, si perde così delle possibilità di promuovere azioni,
dirette ed indirette, per portare più gioiosità, più giocosità nel bambino
disabile.

E’ da queste idee generali, proposte qui un pò come cornice, che ha preso
consistenza il progetto del Laboratorio Umoristico, realizzato nell’aula
multimediale della nostra Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile
(UONPI) di Pomezia (ASL Roma H/4). Una sperimentazione ambulatoriale che vorremmo che diventasse anche proposta stabile di riabilitazione nelle scuole.

Ci siamo occupati in questi anni, prevalentemente, di bambini di scolarità
elementare con un importante disturbo di apprendimento non specifico (una ipoevoluzione nell’organizzazione del ragionamento): sono alunni collezionisti di insuccessi a scuola che hanno sviluppato nel tempo una percezione di sé come scolari del tutto fallimentari. Le teorie ingenue che hanno costruito sul funzionamento della propria mente solitamente sono molto povere per immaginazione (“Boh, ma che ne so io!”, “Non mi viene in mente niente…”).

Ma i pochi (e più grandi) che propongono immagini sul tema possono fornire vissuti di sofferenza anche illuminanti:
- Gianluca, un preadolescente: “Quando sto a scuola la mente diventa piccola piccola… e pure dura… come una nocciolina… e non capisce… ma quando gioco a pallone no, eh… la mia mente è grande come il cocco pieno di latte…”.

- Massimiliano, in latenza: “La mia mente è come un radar….ma c’ha le antenne ritirate…e non acchiappa segnali!”.
- Giada, preadolescente: “La mia mente è circondata da militari che fanno
barriera e non lasciano entrare le spiegazioni degli insegnanti…ah e poi
non lasciano manco uscire i miei pensieri…LIMITE INVALICABILE!.”.
Disinvestiti sugli apprendimenti, rinunciatari al compito, sono alunni che
appaiono spesso come se avessero un pensiero paralitico. Si svalutano tanto ma si sentono anche tanto svalutati, le loro potenzialità più che nascoste sembrano proprio sepolte.
Ed allora noi cerchiamo, in gruppo, di farli ridere: per farli pensare su
ciò che li fa ridere. Proponiamo da tempo, con TV e videoregistratore,
un uso cognitivo e metacognitivo del cortometraggio umoristico e per questo abbiamo selezionato degli sketch tratti dalle disavventure di Mr.Bean.

Sono corti senza parole e, dopo la visione, il gruppo è sollecitato ad esplicitare il pensiero degli attori.
Si tratta, come primo scopo, di provare a leggere insieme la mente dell’altro, trovando un giusto distanziamento dal filmato. Pensare il pensiero dell’altro, esplicitare il pensiero interno, pensare il proprio pensiero, mettere parole in una forma descrittiva o, se più coesa, già narrativa, nel gruppo, in un confronto tra pari, per costruzioni condivise: è certo un grande sforzo cognitivo e metacognitivo, che va ben guidato dal conduttore, terapista od educatore che sia. Fasi di attività che hanno inevitabilmente una diversa espansione in relazione alla composizione del gruppo: per età e per compromissione clinica.

Dopo queste prime attività orali di metapensiero, il gruppo può essere coinvolto in una drammatizzazione di scene dello sketch (da riprendere con videocamera) e si può poi cercare di pubblicizzare la videocassetta del corto recitato, costruendo in gruppo la rèclame del prodotto. A questo proposito, ci siamo avvalsi al computer del programma grafico Toon Works (Microforum Inc., Italia,1996), che consente di mettere insieme immagini (già disegnate da cartoonist professionisti) e parole, con l’uso di fumetti. L’effetto è pienamente divertente, in quanto caricaturale. Un altro ausilio interessante che usiamo è il programma al computer 3D Movie Maker (Microsoft Kids, 1995), che dà la possibilità di far assumere al gruppo il ruolo attivo di regista di un corto.

Da questi pochi cenni si può però cogliere che è abbastanza facile suscitare
così partecipazione, investimento, motivazione, alta e pura; ci si allontana
in questo modo dalla posizione astensionistica, così ricorrente per loro
sul compito scolastico. Nel gruppo si costruiscono modificazioni. Con ricadute in altri contesti, familiare, scolastico.


Dai colloqui con gli insegnanti, a trattamento concluso, le osservazioni
più ricorrenti che di solito raccogliamo riguardano:
- L’approccio al compito che è modificato; vengono a scuola portando più
materiale, la loro partecipazione è migliore, chiedono persino delle spiegazioni;
- L’investimento sulle conoscenze che è cresciuto; c’è anche più disponibilità
a stare sull’errore, più vissuto ora come punto di ripartenza per l’apprendimento, sono meno in fuga dalle difficoltà del compito, più disponibili ad essere aiutati;
- La socializzazione che è migliorata; c’è più scambio con i pari anche
nel tempo di ricreazione, più disponibilità al gioco.
Anche i genitori, dopo il ciclo riabilitativo, che ha di consueto una durata
di tre-quattro mesi, riferiscono di cambiamenti osservati: sono più reattivi,
più critici, con proteste più argomentate a sostegno delle proprie ragioni.
Un pò come se fossero riusciti a mettere da parte l’atteggiamento di mortificazione che prima li frenava. E parlano finalmente anche un pò di quel che succede a scuola, argomento prima troppo delicato per parlarne a casa.

Il nostro Laboratorio Umoristico poggia sul potere terapeutico congiunto
della risata e del pensiero che da questa nasce; un aspetto discusso e
condiviso in questi anni da più parti, in alcuni contributi della medicina
occidentale come in esperienze di trattamenti alternativi. Ci piace fare
entrare la risata nell’ambulatorio di neuropsichiatria infantile, ci piacerebbe
ancor di più farla entrare nella scuola, per finalità che possono essere
educative ed anche riabilitative.

 

 
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Roberto Miletto
Neuropsichiatra infantile
e
Maria Rosa Fucci
Psicologa Psicoterapeuta – Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile – Azienda USL Roma H – Pomezia
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