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Negli ultimi anni si è cercato di integrare gli interventi di tipo riabilitativo con esperienze vissute in ambienti naturali e sociali, spesso avvalendosi del supporto di animali che, riconoscendo i segnali non–verbali, stabiliscono con la persona con disabilità un’ interazione reale e profonda.
La terapia assistita con animali (Animal Assisted Therapy) è uno strumento efficace per consentire un percorso riabilitativo in un ambiente naturale, in cui l’incontro con il mondo degli animali diventa un’esperienza unica con un alto potere motivante. La triade terapista, animale e paziente, stabilisce gradualmente un flusso di relazioni che, con meccanismo di tipo feed-back, favorisce l’acquisizione di livelli progressivamente più elevati di abilità comunicative. Il soggetto impara a percepirsi in relazione ad un “altro” che, reagisce soprattutto ai segnali inconsci di chi gli sta accanto, evocando risposte sempre più aderenti alla realtà.

Una delle metodiche maggiormente utilizzate è la “Terapia per Mezzo del Cavallo” (T.M.C.), in quanto le caratteristiche comportamentali del cavallo si sono rivelate particolarmente utili nel recupero funzionale di diverse patologie, inclusi i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS).
Sia nelle attività a terra, che durante la pratica equestre, il soggetto interagisce con l’animale in uno “spazio relazionale condiviso” .

La persona con disabilità stabilisce una comunicazione, fonte di gratificazione e motivazione, in particolar modo in quei casi in cui la patologia d’origine limita la partecipazione all’ambiente. Inoltre, la cura del cavallo e la gestione delle bardature sollecitano movimenti finalizzati che migliorano la coordinazione delle mani e delle braccia, nonché consentono un affinamento della percezione del Sé corporeo con una successiva ricaduta sul miglioramento delle autonomie personali.

La valenza riabilitativa della T.M.C. non si esaurisce negli aspetti di tipo ludico e ricreativo, che pur la caratterizzano in quanto, come intervento riabilitativo, necessita della presa in carico del paziente ad opera di una équipe specializzata che valuta e progetta gli obiettivi e le modalità esecutive del piano di lavoro, comunicandole alla famiglia (contratto terapeutico), verificandone periodicamente i risultati, operando eventuali modifiche in” itinere”.


Terapia per mezzo del cavallo (T.M.C.)

La TMC (comunemente conosciuta come ippoterapia) coniuga la pratica sportiva (sport equestri) e l’intervento riabilitativo che ne rappresenta la finalità specifica. Le basi sulle quali si è sviluppata la TMC sono le tecniche di facilitazione propriocettive messe a punto dalle scuole riabilitative di Bobath e Kabat.
In particolare nel caso dell’ippoterapia sono stati studiati gli effetti prodotti dalle stimolazioni neuromuscolari indotte dalle caratteristiche meccaniche del passo del cavallo.
Questa pratica si sviluppa in Europa negli anni ’60 nei paesi ad alta tradizione equestre (Gran Bretagna, Belgio) e arriva in Italia intorno agli anni ’70.

Nel 1982 dai lavori del convegno Internazionale di Riding terapeutico svoltosi ad Amburgo si individuano tre moduli principali di intervento:

· L’ippoterapia
· La rieducazione equestre
· Sport disabili

Più specificatamente per “Ippoterapia” s’intende la fase iniziale dell’intervento riabilitativo per mezzo del cavallo in cui il paziente inizia a relazionarsi con il cavallo riconoscendone le modalità comportamentali specifiche; successivamente la stimolazione che il paziente riceve dal passo sinusoidale del cavallo incentiva il rilassamento, la percezione corporea, l’equilibrio, la coordinazione dei movimenti. Il beneficio di tale intervento è evidente in particolare in deficit motori causati da lesioni congenite del SNC (Paralisi Cerebrali Infantili). Quando il soggetto diventa capace di svolgere attivamente le azioni necessarie per guidare il cavallo si parla di “Rieducazione Equestre”. Guidare il cavallo comporta l’attivazione di reazioni di orientamento e di equilibrio, il soggetto migliora i tempi di attenzione, e potenzia l’abilità esecutiva. I benefici di tale attività si evidenziano anche dai molteplici input che il soggetto riceve:

· Visivi: il maneggio come ambiente naturale offre numerose scene associate agli animali a cui solitamente il soggetto disabile non è abituato;
· Uditivi: i suoni associati al cavallo e spesso anche ad altri animali (cani, caprette..) ospiti dei maneggi;
· Olfattivi: l’odore del fieno, del cavallo stesso
· Tattili: il bambino sperimenta il manto caldo e morbido del cavallo, le diverse intensità del gesto necessarie per spazzolare, strigliare o pettinare la coda; oltre che la coordinazione necessaria per guidare il cavallo attraverso le redini.

Inoltre attraverso la Rieducazione equestre si hanno delle ricadute positive sulle abilità di comunicazione verbale, oltre che un’incentivazione delle autonomie personali. Va sottolineato, tuttavia, che il merito principale della TMC è nell’attivazione dei processi motivazionali: il soggetto con disabilità motorie in età evolutiva sviluppa il proprio percorso di crescita nella dimensione dell’impossibilità di fare gran parte delle esperienze tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza; gli stessi momenti di gioco sono ridotti, spesso sostituiti da un insieme di interventi riabilitativi che se mirati a ridurre la disabilità paradossalmente la enfatizzano. Le esperienze condotte in un ambiente naturale come quello del maneggio, seppur mantenendo le peculiarità riabilitative necessarie, si arricchiscono e si colorano di una valenza emotiva: il soggetto si sente “capace di fare”, viene portato dal cavallo, ma allo stesso tempo diventa lui stesso che “tiene le redini”. Nell’ultima fase del percorso riabilitativo per mezzo del cavallo, il soggetto il cui livello psicomotorio e cognitivo è tale da consentire l’avvio ad una attività non più riabilitativa bensì sportiva, pre-agonistica viene avviato allo Sport disabili; di questa disciplina si occupano gli Istruttori di equitazione.


La T.M.C. nei disturbi generalizzati dello sviluppo
I cavalli sono “animali sociali”, presentano modalità interattive nel comportamento anche quando non vivono più in branco, manifestando un “linguaggio” corporeo che induce reazioni tipo feed-back.
Essi sono in grado, peraltro, di rispondere ai messaggi corporei inviati dall’essere umano e, pur non avendo una coscienza in grado di mediare le loro percezioni, possono adattarsi agli stimoli verbali e non verbali manifestando variazioni della postura e del movimento con significato adattivo.

Poiché come tutti gli animali non sono in grado di attribuire giudizi di valore, i cavalli non discriminano la persona normale da quella inabile, tuttavia riescono ad avvertire le modificazioni del comportamento e le variazioni temperamentali individuali, a cui essi rispondono talora con interazione positiva, talvolta con modalità di evitamento o tendenza alla fuga.

E’ noto come la relazione “terapeutica “ con i soggetti affetti da disturbi pervasivi è particolarmente difficile, giacchè tali soggetti presentano una compromissione, a volte marcata, a carico dell’area sociale, della comunicazione, degli interessi e della simbolizzazione. In tali condizioni, si ritiene che vi sia una iperselettività sensoriale, per cui certi stimoli vengono percepiti in maniera “antigestaltica”, scollegati dall’insieme e dal contesto. E’ probabile, quindi, che il soggetto con DGS abbia un’alterata elaborazione delle senso-percezioni, una incapacità di integrarle in un’informazione unitaria e completa, una marcata difficoltà nel determinare i propri confini spaziali e nel distinguere il proprio sé corporeo dall’ambiente. A causa della mancanza di coerenza centrale si determinerebbe una incapacità di fare riferimento a modelli complessi di cui i pazienti non riescono a cogliere l’insieme. Le gravi difficoltà nella memoria procedurale e nelle funzioni esecutive determinano una rigidità comportamentale e una incapacità “problem-solving” per cui la risoluzione dei problemi è sempre vincolata all’esperienza.

Abbiamo osservato come il cavallo può diventare un “facilitatore/mediatore” all’interno del rapporto terapeutico terapista/paziente: si costituisce una triade in cui il terapeuta, esperto di “ippoterapia”, guida il soggetto a compiere dei gesti comunicativi che saranno percepiti dall’animale. La relazione tra terapeuta e soggetto viene così integrata rispetto all’animale, che sarà in grado di fornire risposte sempre adattive, sincroniche e adeguate agli stimoli.
Il setting ideale per svolgere la terapia è costituito da un campo circolare di circa 20 metri di diametro dove interagiscono il soggetto, il terapeuta ed il cavallo.

Lo spazio circolare e circoscritto, definito “tondino”, consente una focalizzazione del rapporto terapeutico in un ambito ristretto, in cui è meno probabile la dispersione dell’attenzione.
L’esplorazione dell’ambiente e la relazione a terra con il cavallo da parte del bambino costituiscono la prima parte del percorso riabilitativo.
In questa prima fase il soggetto può dimostrarsi subito disponibile all’interazione sia con il terapeuta che con l’animale, ma, a volte, possono presentarsi reazioni d’ansia o paura rispetto all’animale libero; in questi casi è necessario impiegare più incontri per consentire l’instaurarsi di un rapporto di fiducia sollecitando gradualmente il bambino ad utilizzare il proprio corpo come strumento di comunicazione.
L’approccio terapeutico avviene 2-3 volte per settimana, per cui questi ripetuti incontri tra il soggetto, il terapeuta e l’animale permetteranno progressivamente al bambino di adattarsi all’ambiente e prendere una maggiore coscienza del Sé corporeo e dell’animale.

La modalità di intervento non è standardizzabile, essendo in rapporto alla disponibilità “operativa” del binomio bambino-cavallo: a volte si osserva, come l’intensità di uno stesso gesto o la variazione tonica di un segmento corporeo provocano reazioni diverse (gesti eccessivi delle mani causano ad es. l’allontanamento dell’animale, viceversa, un segnale congruo porterà il cavallo ad avvicinarsi).

In alcuni casi il cavallo reagisce a gesti esagerati e improvvisi con una reazione di fuga, per cui un soggetto con iperattività, avverte che i movimenti del proprio corpo influenzano i comportamenti del cavallo e che quanto più repentino sarà lo stimolo, tanto più rapida sarà la risposta dell’animale.

Si stabiliscono, pertanto, modalità di comunicazione non-verbale, guidate da regole e codici comportamentali, in un ambito che diventa spazio relazionale condiviso, in cui viene facilitata l’acquisizione da parte del soggetto di schemi motori e comunicativi più funzionali.
In uno studio da noi effettuato (Mazzone et al. 2002) sull’impiego del cavallo come “facilitatore comportamentale” nei soggetti con DGS si è evidenziato un miglioramento di alcuni items critici della scala CARS (Childhood Autism Rating Scale) dopo 5-6 mesi di terapia, con un decremento medio di 5 punti.

Le variazioni più significative si riscontravano nell’uso del corpo, nell’adattamento al cambiamento, nelle ricezioni sensoriali, nelle reazioni di ansia e paura e nel livello di attività motoria.


Conclusioni
L’ “Animal assisted therapy” in particolare la TMC è un idoneo strumento di riabilitazione nei DGS e il cavallo è un valido “facilitatore” comportamentale, inducendo modificazioni positive con acquisizione di varie abilità nei soggetti con DGS.
Il contesto naturale del maneggio diventa, inoltre, fonte di benessere per il paziente. Infatti, per un bambino disabile non sono tante le occasioni di fruire di un contatto diretto con la natura.
L’approccio a terra, inoltre, in ambito spaziale definito, crea un feed-back favorevole tra il soggetto, l’animale e il terapista, facilitando l’ acquisizione di modalità comportamentali più funzionali alla comunicazione nei soggetti affetti da DGS, favorendo l’acquisizione di livelli progressivamente più elevati di abilità comunicative.


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Di L. Mazzone Neuropsichiatra Infantile - Università di Catania, G. Morales - Pedagogista


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