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Le Malattie Rare sono condizioni morbose poco frequenti per definizione, ma anche poco conosciute, poco studiate e spesso mancanti di una terapia adeguata. Recentemente, tuttavia, con il completamento del progetto genoma e con sofisticate tecniche di biologia molecolare e cellulare si sta intravedendo la possibilità di trovare la cura anche per le malattie genetiche mediante la terapia cellulare somatica e la terapia genica.
Nella vita professionale di un pediatra uno dei momenti più difficili è informare i genitori che il loro bambino/a potrebbe essere affetto da una malattia di origine genetica. Il condizionale è d’obbligo, perché, pur essendo la malattia genetica la causa più frequente di ospedalizzazione del neonato, spesso i tempi per una diagnosi certa possono essere molto lunghi, data la loro rarità. Le malattie genetiche attualmente conosciute sono oltre 5000 e la stragrande maggioranza di esse, infatti, rientra nel gruppo delle patologie definite rare. Le Malattie Rare sono condizioni morbose poco frequenti per definizione, ma anche poco conosciute, poco studiate e spesso mancanti di una terapia adeguata. Sono spesso chiamate "malattie orfane" perché poco appetibili alla ricerca sperimentale e clinica.

La peculiarità delle Malattie Rare risiede nel fatto che esse richiedono un’assistenza specialistica e continuativa di dimensioni tali da non poter essere supportata senza un importante intervento pubblico. La rarità della malattia comporta un minor interesse della ricerca, una maggiore difficoltà nel descrivere la storia naturale con le sue possibili varianti, nel progettare ricerche cliniche, un minor mercato capace di ammortizzare i costi di una ricerca farmacologica specifica ed infine una scarsa o scarsissima diffusione delle conoscenze comunque disponibili nella pratica corrente. Le Malattie Rare non costituiscono un unico gruppo di malattie, ma un insieme eterogeneo caratterizzato solo dalla comune bassa frequenza. Per questo, per considerare una malattia rara è necessario che colpisca non più di 2 su 10.000, secondo quanto indicato dal Piano Sanitario Nazionale. La comunicazione della diagnosi di malattia rara è un momento devastante per la famiglia e per il medico il quale, la maggior parte delle volte, non può che offrire cure palliative. Recentemente, tuttavia, con il completamento del progetto genoma e con sofisticate tecniche di biologia molecolare e cellulare si sta intravedendo la possibilità di trovare la cura anche per le malattie genetiche mediante la terapia cellulare somatica e la terapia genica.



Per terapia cellulare somatica si intende l’utilizzo di cellule modificate in modo tale da produrre quello che serve al paziente per migliorare le proprie condizioni cliniche; per terapia genica si intende l’inserimento nella cellula affetta di un gene, modificazione del genoma della cellula malata e la sua correzione. Il Dipartimento di Pediatria dell’Università di Padova da circa 20 anni si occupa di Malattie Rare sia dal punto di vista clinico che di ricerca e questo gli è valso il riconoscimento di Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Rare, primo centro ad essere stato istituito in Italia.

Tra i vari progetti attualmente in corso, particolare sforzo è stato dedicato allo sviluppo della tecnologia necessaria per sviluppare nuove terapie, di natura genica e cellulare, per malattie invalidanti letali che colpiscono il sistema nervoso centrale. Come modello, sono state scelte le malattie da accumulo lisosomiale. Le patologie da accumulo lisosomiale comprendono un gruppo di più di quaranta malattie genetiche ereditarie dovute alla mancanza di una proteina lisosomiale deputata alla degradazione di macromolecole essenziali per il rimaneggiamento dei tessuti e la crescita dell’organismo. Oggetto della nostra ricerca sono le Mucopolisaccaridosi, malattie causate da deficit di enzimi lisosomiali deputati alla degradazione dei mucopolisaccaridi. L'incompleta degradazione di queste molecole note anche come glicosaminoglicani (GAG) comporta accumulo progressivo di materiale non degradato provocando dapprima sofferenza e, successivamente, morte cellulare in tutti gli organi. Tutte le MPS sono trasmesse come malattie autosomiche recessive tranne la MPS II, che è legata al cromosoma X. Sono caratterizzate da facies caratteristica, epato-splenomegalia, gravi alterazioni scheletriche, alterazioni della mobilità articolare, dell'apparato cardiovascolare e respiratorio, della vista e dell'udito.

Frequente è anche il coinvolgimento del sistema nervoso centrale associato ad un profondo ritardo mentale. Clinicamente nell’ambito della stessa MPS si distinguono diverse forme a seconda della gravità dei sintomi. Nelle forme più gravi la morte sopraggiunge prima dei dieci anni di vita, mentre pazienti con le forme più lievi possono sopravvivere fino a sessanta anni o più. Nessuna di queste patologie è individuabile alla nascita per l’assenza di caratteristiche fisiche specifiche. In alcuni casi, si può giungere anche fino ai 3-4 anni di vita senza che sia stata possibile una diagnosi corretta della patologia associata alle manifestazioni fenotipiche, ciò a scapito di possibili terapie che hanno maggiori possibilità di riuscita se applicate prima dei 2 anni di età (trapianto di midollo e terapia enzimatica sostitutiva), soprattutto quando è coinvolto anche il sistema nervoso centrale. Fino a qualche anno fa nessuna terapia era disponibile. Tuttavia l’identificazione dei vari geni implicati nella genesi delle malattie, ha segnato la via per sviluppare una terapia per queste malattie letali, la strada per una terapia in grado di migliorare drasticamente la qualità di vita dei pazienti.

Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto mediante il trasferimento genico. L'uso di vettori molecolari (principalmente retrovirus ed adenovirus difettivi per replicazione e vettori sintetici) ha dimostrato che è possibile correggere patologie umane di origine genetica mediante il trasferimento di geni (terapia genica). Negli ultimi anni il nostro laboratorio ha dimostrato che con vettori adenovirali è possibile infettare cellule di pazienti affetti da MPS e correggere stabilmente il difetto. Abbiamo infatti modificato in laboratorio l’apparato genetico dei comuni virus del raffreddore (adenovirus) e siamo riusciti a produrre enzimi lisosomiali in cellule di pazienti affetti. La strategia di per sè è concettualmente molto semplice. In laboratorio si isola il DNA dei virus naturali, si escludono le sequenze che possono indurre replicazione virale e si sostituiscono con i geni umani che vogliamo esprimere. Il nuovo virus ricombinante, in questo modo, avrà acquisito la sola capacità di veicolare e produrre la proteina mancante al paziente.

Mediante questa tecnologia siamo riusciti a produrre la proteina mancante anche a livello delle cellule nervose, le maggiormente colpite dalle malattie da accumulo, gettando le basi per un trasferimento genico in pazienti affetti da MPS.

Lo stesso risultato è stato ottenuto anche su animali modello, cioè animali che recano nel loro DNA errori molto simili a quelli presenti nel bambino affetto e che soffrono quindi della stessa malattia dell’essere umano. Gli animali modello vengono sottoposti alle medesime terapie che sono sperimentate per l’uomo in maniera da poterne studiare i vantaggi e gli eventuali effetti collaterali.

Infatti, oltre ad aver dimostrato la capacità di questi virus di produrre enzima in tutti gli organi colpiti dalla malattia, è stata altresì verificata la produzione di una reazione anticorpale contro la proteina espressa che, se fosse stata generata nel paziente, avrebbe compromesso il trattamento. Abbiamo quindi dovuto cambiare strategia e studiare qualcosa che potesse essere applicato all’uomo in modo più sicuro. Abbiamo pensato di modificare delle cellule, piuttosto che virus, in grado di produrre enzimi terapeutici ad altissima concentrazione. Abbiamo creato i cosiddetti Bioreattori. I Bioreattori sono microcapsule di alginato- polilisina-alginato (APA) strutture sintetiche in grado di incorporare cellule e rilasciare livelli significativi di enzima ricombinante. Gli alginati sono dei polimeri naturali costituiti da polisaccaridi anionici non ramificati che assumono la consistenza di un gel dopo essere stati legati con il Ca 2+.

L’incorporazione delle cellule si effettua semplicemente ponendole a contatto con l’alginato in una siringa ed estrudendole attraverso un ago, in presenza di un flusso d’aria. Di per se le capsule non sono immunogeniche e le cellule eterologhe in esse contenute sono immunoprotette e possono rilasciare l’enzima ricombinante da microporazioni che impediscono, tuttavia, l’entrata delle macromolecole anticorpali. Le microcapsule sono state utilizzate per produrre in vitro e in vivo proteine quali l’ormone della crescita, il fattore VIII della coagulazione e sperimentate in due protocolli clinici per il trattamento della Sclerosi Laterale Amiotrofica e la malattia di Hungtinton. Le microcapsule possono produrre la proteina ricombinante per circa 6-7 mesi dopo l’impianto, la proteina prodotta viene rilasciata rapidamente dalla sede di iniezione e raggiunge i tessuti attraverso il circolo ematico. Se le cellule eterologhe sono ingegnerizzate in modo tale da rilasciare considerevoli quantità della proteina di interesse, quantità sufficienti potrebbero raggiungere gli organi bersaglio anche quando comincerà a diminuire la vitalità delle cellule, garantendo la produzione endogena della proteina di interesse per un periodo prolungato.

I Bioreattori, esprimenti le proteine alfa-L-Iduronidasi e iduronato-e-solfatasi deficitarie rispettivamente nelle Mucopolisaccaridosi tipo I e II, sono stati impiantati a livello peritoneale in topi modello per la mucopolisaccaridosi di tipo I e II e solo dopo 8 settimane si è raggiunta la correzione dell’accumulo in fegato, milza e reni e la guarigione dell’animale. Inoltre, non si sono osservate reazioni avverse nella sede di iniezione delle microcapsule, né produzione di anticorpi contro la proteina secreta. Perché stiamo studiando questo sistema? Da qualche anno per un numero sempre maggiore di malattie da accumulo (non solo Mucopolisaccaridosi tipo I, II, VI, ma anche Malattia di Pompe, Malattia di Gaucher, Malattia di Fabry) è disponibile una terapia detta Terapia Enzimatica Sostitutiva (ERT), che prevede la somministrazione di proteina ricombinante mediante infusione endovenosa settimanale. Mediante la ERT, la storia clinica di queste malattie sarà cambiata nel tempo. Infatti, questa terapia ha dimostrato di essere in grado di migliorare alcuni sintomi particolarmente importanti quali l’epatosplenomegalia, la funzionalità cardiaca e polmonare, la motilità articolare, normalizzando il contenuto di mucopolisaccaridi urinari.

Benché l’ERT possa sembrare la terapia più promettente, il suo limite maggiore è rappresentato dai costi elevati che possono essere stimati in 150-500.000 euro per paziente per anno. Inoltre, la procedura richiede che il paziente si sottoponga settimanalmente a cicli di infusione della durata di circa 4 ore presso una struttura ospedaliera. Primi esperimenti condotti su animali modello hanno però dimostrato che i Bioreattori possono produrre livelli terapeutici di enzima per un periodo minimo di 4 mesi, è quindi prevedibile che i pazienti possano recarsi solo 3 volte l’anno presso la struttura ospedaliera. E’ auspicabile che in un prossimo futuro vi sia un industria interessata a sviluppare questo nuovo tipo di terapia che potrà essere applicato a tutte quelle malattie per le quali lo smaltimento di una sostanza tossica per le cellule rappresenti la causa principale di malattia.

 
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A cura di:

Maurizio Scarpa
Dipartimento di Pediatria, Centro Malattie Rare Università di Padova
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