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A Bellaria Igea Marina l’esperienza di una comunità per soggetti con disabilità acquisita. Una struttura che, pur offrendo garanzie da un punto di vista sanitario, stimola i pazienti a “riappropriarsi” della propria vita, dei propri interessi e della propria autonomia.
L’opportunità di istituire un gruppo appartamento protetto come quello sorto al centro Medico di Riabilitazione “Luce sul mare”, è nata dagli operatori del Settore Handicap Adulti dell’AUSL dopo un periodo di conoscenza e lavoro sul territorio.

Infatti il disabile acquisito che si trova, sia per la qualità del suo handicap sia per l’assenza o difficoltà, nell’impossibilità di rientrare nella famiglia, rimane, anche alla fine della fase acuta, presso strutture strettamente sanitarie, dove le giornate sono scandite dalle cure mediche, riabilitative e i soggetti sono considerati solo come “ammalati” senza che venga formulato per loro un nuovo progetto di vita che tenga in considerazione i cambiamenti determinati dalla patologia e dai limiti.

Avviene così che questi soggetti, pur avendo buone capacità cognitive, finivano per concentrarsi solo sugli aspetti della malattia e sulle possibili cure sanitarie, perdendo ogni interesse.
Le richieste finiscono per concentrarsi solo sulle prestazioni sanitarie vissute come indispensabili e urgenti per migliorare la loro vita (es.: è più importante una seduta di terapia che andare a cena insieme o ad uno spettacolo, ecc.).

Valutando la passività in cui versavano questi utenti nei confronti della vita sociale e ricreativa e la mancanza di autostima, gli operatori dell’AUSL hanno pensato ad una struttura che, pur offrendo garanzie da un punto di vista sanitario (medici, paramedici, fisioterapisti, ecc.), potesse offrire anche la possibilità di stimolare la persona a “riappropriarsi” della propria vita, dei propri interessi e di autogestirsi: bisognava quindi pensare ad uno spazio di tipo familiare.

Tale proposta è stata discussa con l’Équipe del centro Medico di Riabilitazione “Luce sul mare”, i cui referenti, dopo un attento e meticoloso lavoro di documentazione su esperienze di organizzazione comunitaria, sono giunti alla decisione di rendere operativo il progetto. L’attivazione dello stesso ha visto, prima della sua strutturazione definitiva, principalmente due fasi:

1) FASE DI CONOSCENZA DELL’UTENZA:
attraverso le informazioni riportate dagli operatori dell’AUSL nelle diverse strutture in cui i pazienti erano ricoverati.
Questa fase ha visto la collaborazione interattiva delle due Équipe partendo da un’attenta analisi della realtà dei soggetti, esplicitando le necessità specifiche di tipo sanitario e di mantenimento terapeutico (FKT, ausili, ecc.)

2) FASE DI CONOSCENZA DEI SOGGETTI:
questa fase ha visto l’incontro con i pazienti per fare la loro conoscenza in modo diretto al fine di assorbire informazioni importanti anche dal personale medico e paramedico che si occupava di loro in quel momento. Questo incontro è avvenuto alla presenza delle assistenti sociali dell’AUSL, di “Luce sul mare” e della psicologa coordinatrice di “Luce sul mare”.


Questa importantissima prima fase del progetto ha portato le due Équipes a definire in modo preciso l’obiettivo di lavoro che può essere riassunto come segue:

“COSTRUIRE UN NUCLEO DI VITA ATTIVA PROMUOVENDO INIZIATIVE E PROGETTI (INDIVIDUALI E DI GRUPPO) AL FINE DI SVILUPPARE UN NUOVO SENSO DI FIDUCIA NELLE PROPRIE CAPACITA’ E FACILITARE UN’APERTURA ALLE VARIE POSSIBILITA’ DI INTERAZIONE TRA IL SOGGETTO E L’AMBIENTE”.

L’obiettivo primario e condiviso da tutti coloro che hanno pensato il progetto è relativo al non limitarsi al momento curativo, ma al costruire insieme al gruppo il progetto stesso, tenendo in considerazione la realtà di ognuno e sviluppando il senso di appartenenza come riconoscimento del proprio sè in interazione continua con l’altro.

Definiti gli obiettivi del progetto, il pensiero dell’Équipe di Luce sul mare e dell’AUSL è stato quello di ricercare l’ubicazione fisica degli spazi dove collocare il gruppo. Questo spazio è stato appositamente pensato come un appartamento su due piani dotato di un ascensore interno.

A) 1° PIANO:
ZONA DIURNA per spazio comune con angolo cottura e ampia toilette.

B) 2° PIANO:
ZONA NOTTE con una camera singola, una camera a tre letti e un’altra a due letti con adiacenti toilettes.


COSTITUZIONE DEL GRUPPO ::..
Il 12 gennaio 1998 il gruppo si è costituito con quattro disabili, diventati sei a giugno ‘98. Il momento dell’accoglienza è stato organizzato dall’AUSL in collaborazione con l’Équipe di Luce sul mare.

All’atto dell’ingresso erano presenti:
- i familiari degli utenti invitati dalle assistenti sociali dell’AUSL con i quali le stesse avevano già avuto altri incontri;
- l’Assistente Sociale del centro medico Luce sul mare e gli psicologi dell’AUSL e del Centro;
- l’Educatore Professionale;
- il personale infermieristico e assistenziale;
- Il Medico Responsabile.

In questo incontro, dopo una presentazione generale del progetto nella sua globalità (aspetti sociali e sanitari), si è reso fondamentale, visto l’investimento psicologico dei soggetti all’interno di schemi esclusivamente sanitari, rassicurare gli stessi su aspetti relativi a:
- presenza del medico in struttura 24 ore su 24;
- presenza del personale infermieristico,
- presenza del personale assistenziale,
- presenza del medico fisiatra,
- presenza del FKT della riabilitazione,
- presenza dell’educatore professionale.

Questo incontro di apertura si è rivelato di notevole importanza per approfondire la conoscenza degli ospiti e per tracciare una prima osservazione degli stili individuali facendo riferimento alle varie verbalizzazioni dei bisogni esplicitati e dei loro interessi specifici. Si è pensato quindi di costruire contesti di osservazione - ascolto promuovendo diversi tipi di riunioni:

1) RIUNIONI DI ACCENTO ORGANIZZATIVO inizialmente a cadenza settimanale con l’obiettivo di compattare e far dialogare tra loro aspetti sanitari ed aspetti legati alla vita quotidiana. Queste riunioni vedevano la presenza della capo sala, dell’assistente sociale del centro dello psicologo coordinatore e dell’educatore professionale.

2) RIUNIONI SULLE DINAMICHE DI GRUPPO con cadenza quindicinale, dove il lavoro è iniziato cercando di facilitare il racconto dei vissuti dei singoli elaborando aspetti legati all’investimento psicologico sul proprio sè corporeo dove emergeva “l’abbandono” dell’esistenza di un sè psichico. Queste riunioni hanno rappresentato un momento importante per elaborare e contenere ansie e paure date dall’iniziare a riprovarsi in modo olistico.

3) INCONTRI a cadenza quindicinale con la coordinatrice delle assistenti sociali dell’AUSL dei singoli soggetti. Va sottolineato che sin dall’inizio del progetto ogni assistente sociale di riferimento per il caso si recava e si reca tuttora presso il gruppo - appartamento per mantenere rapporti a livello individuale con i soggetti al fine di monitorare l’evoluzione e i cambiamenti dei soggetti all’interno della struttura;

4) RIUNIONI bimestrali con il personale assistenziale al fine del loro coinvolgimento nel progetto di T.O.


LAVORO PROGETTUALE ::..

Il percorso ha avuto inizio con una raccolta dei dati al momento dell’ingresso. Per ogni persona è stata redatta una cartella personale così composta:

1) Storia personale
2) Area autonomie (valutazione delle risorse presenti, livello delle abilità, ricerca ausili)
3) Area tempo libero (interessi culturali, ludici, sportivi, ricreativi)
4) Area vita quotidiana (osservazione riferita ai contesti di vita e al modo di utilizzare gli spazi del gruppo: gestione delle proprie autonomie). E’ stata somministrata individualmente la SCALA FIM in collaborazione con la TdR, come strumento periodico di valutazione delle ADL.
5) Area progetto personale (la persona costruisce il suo progetto personale insieme all’educatore professionale - approccio centrato sulla persona).

L’accento viene posto sull’esigenza di offrire esperienze di psicologicamente gratificanti che portino la persona verso un reinvestimento sul proprio sè psichico - “SAPERE COSA VOLER ESSERE” - e alla differenziazione tra patologia e autonomia. Inizialmente sono state evidenziate quattro aree da sviluppare:
a) desiderio;
b) incontro;
c) realizzazione;
d) autogestione:

a) L’area desiderio (es.: x va al mercato e sceglie il tipo di lametta per radersi, ecc...) è rappresentativa di un movimento dinamico da una dimensione di dipendenza ad un’altra di autonomia progettuale.

b) L’area incontro rappresenta l’avvicinamento al tessuto sociale con finalità ludiche, di divertimento e di conoscenza (possibilità di muoversi per incontrare).

c) L’area realizzazione diventa la possibilità di realizzare, attraverso la disponibilità temporale, le proprie aspirazioni (es.: mostre di pittura, percorsi professionali, ecc...)

d) L’area autogestione rappresenta l’attivazione di modalità progettuali su piccole e medie autonomie (es.: partecipazione a riunioni di autoprogrammazione settimanali in cui si può decidere per es. chi prepara la colazione o chi si occupa del menù settimanale).

Le figure che concorrono alla realizzazione di questi obiettivi sono:
- la persona interessata;
- il T.O. e la T.D.R. (es. in corso: realizzazione di un ausilio che permetta di radere la barba in modo autonomo);
- ricerca di ausili e metodologie per la video scrittura, ecc...

Questo lavoro fa riferimento ai concetti base sulla T.O. (A.D.L.).


RUOLO DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE NEL GRUPPO COSMOS ::..
L’azione dell’educatore professionale (E.P.) si configura come ideale nell’area della riabilitazione e dell’inserimento sociale, nel passaggio dalla fase acuta alla fase degli esiti. In questa “transizione”, l’E.P. ha competenze psicosociali sugli aspetti precari del sè (frustrazione, lesa autostima, ansie di morte generate da patologie invalidanti in evoluzione), competenze tecnico-strumentali (ausili informatici, ergonomia) e di valutazione delle A.d.L. (Activity daily living) per la promozione e la valorizzazione delle performances nella vita quotidiana. Queste competenze, “giocate” in una relazione orizzontale (ci si riconosce entrambi, operatore/utente come persone che si accordano su un lavoro in comune), si traducono in uno stile detto “facilitatore”.

Aree interessate:
- Adattamento individuo/ambiente tramite attività di:
a) ricerca di autonomia nel quotidiano
b) lavoro
c) interessi, tempo libero

Esse promuovono:
- Progetti occupazionali (AdC)
- Attività espressive
- Inserimenti lavorativi
- Strutturazione di progetti di rete con il territorio sviluppando così:
- Una relazione di aiuto e accettazione dell’altro
- Contenimento di situazioni relazionali complesse, precarie o incerte
- Lettura di bisogni emergenti ed orientamento degli stessi in stili di vita
- Supporto di fatiche e disagi, sia del singolo che del gruppo
- Caratterizzazione del singolo come risorsa per il gruppo
- Caratterizzazione del gruppo come risorsa per il singolo
- Promozione delle skills individuali e di gruppo.

La disabilità, in questi termini, viene inglobata in una dimensione sociale e non solamente a carico del singolo. Da un utilizzo del tempo come momento di divertimento si sta passando ad un utilizzo diversificato che risponde maggiormente alla volontà di proiezione verso un futuro che veda i soggetti coinvolti in un ruolo socialmente utile (lezioni di inglese, pittura su stoffa per organizzare mercatini e altro, utilizzazione del canale informatico, mostre di pittura, ecc...).

Con il movimento dei primi conflitti uno degli oggetti d’attacco era l’Équipe, in quanto la possibilità del confronto con chi “ti cura” esplicita il bisogno della dipendenza strutturata intorno al deficit. La ricerca della gratificazione aveva comunque un prezzo, si potrebbe dire che si attivava una messa in discussione di se stessi, ma, di fatto, una soddisfazione qualitativamente più elevata non poteva essere più ottenuta con assistenzialismo attraverso il “Io voglio”, ma con il “Tu puoi” (a questo riguardo si vuole ricordare come l’educazione degli adulti, nei confronti di situazioni di vita autonoma debba comunque confrontarsi con resistenze psicologiche, opposizioni e difficoltà al cambiamento). Il lavoro è partito da un’osservazione partecipata alla dimensione temporale espressa da ognuno di loro.

Il metodo utilizzato si è sviluppato da una conoscenza dei loro ritmi di vita: quanto, ad esempio, lo stare a letto era una necessità reale oppure una forzata attesa in assenza di stimoli; che cosa spontaneamente facevano; quale era il personale orologio nel quale si disegnava la loro quotidianità. Accanto a ciò, contemporaneamente, la proposta di uscite come primo movimento esterno al fine di garantire, in modo inizialmente più generale e poi più particolare, l’esperienza di avere desideri (momento distinto dal bisogno). Ebbene, non è stata nè una discesa dagli inferi, nè un’avventura; tutto ha un prezzo: fatica ed impegno. Il sistema di lavoro è iniziato con una fase detta “Volition” (“avere voglia di”) basata sull’analisi della motivazione esistente. L’utilizzo della scheda personale fungeva come momento in cui l’altro raccontava di sè, dove, però, il ricordo veniva utilizzato come riflessione per reimpostare un progetto di vita, quindi un momento autobiografico serviva non come compilazione di una scheda anamnestica asettica, ma come il provare l’esperienza di “essere secondo le proprie emozioni”.

E’ accaduto, infatti, che non tutti i componenti del gruppo accettassero di narrare la propria storia. Alcuni di loro l’hanno fatto attraverso la richiesta diretta di “fare attività” facendo emergere ad episodi, spezzoni della loro vita, come se ciò, a brevi sorsi, rendesse possibile il confronto con il dolore e la perdita. In questo, l’operatore ha mantenuto, in sintonia con il pensiero di fondo del progetto, un atteggiamento di flessibilità in cui determinante non era l’obbligatorietà di compilare in modo cronologico e formale la scheda, come nemmeno la dimenticanza o il lasciare al vento frammenti preziosi, emergenti in tempi e luoghi inaspettati (una passeggiata od una gita non potevano non comportare ricordi di esperienze passate, così come la fatica a prendere o raccogliere una penna provocavano discussioni sulla difficoltà ad accettare aiuto).

Si è aperta, poi, una seconda fase che chiamiamo “Habituation” nella quale, sia i momenti emersi spontaneamente durante la fase “autobiografica” o quella più frammentata ad episodi, convergevano verso la necessità di stabilire per ogni richiesta un progetto:

• PROGETTO PERSONALE, comprensiva di:
- bisogni (sia che si parli di un progetto di videoscrittura, così come del riuscire a bere da soli e ad apparecchiare la tavola)
- obiettivi di lavoro
- metodologia operativa
- verifica
• AREA AUTONOMIA E AUSILI
• PROGETTO ACCESSIBILITA’
• ATTIVITA’ AREA TEMPO LIBERO

All’interno della fase chiamata “Habituation” si diramano delle correnti. La prima è chiamata ADATTAMENTO.

Insieme alla TDR e al personale di nursing sono state valutate le attività primarie legate alla persona compresi gli aspetti socioculturali.

La necessità, accanto all’emergere di desideri, di tradurli sul piano reale:
• abbonarsi ad un quotidiano per avere informazioni su ciò che avviene nel mondo;
• convenzione con centri culturali e centri di volontariato;
• accordi con il Provveditorato agli Studi per la cogestione di momenti di formazione e/o incontri interni ed esterni;
• contatto con docenti per l’insegnamento di attività a scopi espressivi e/o produttivi;
• gestione di sportelli informativi esterni (Casa della Pace);
• contatti con negozi ed artigiani per la vendita e/o produzione di oggetti prodotti (batik, quadri);
• messa “in cantiere” di atelier transitori in eventi festivi e culturali;
• contatto con gruppi di volontariato come spazi di incontro per la socializzazione;
• contatti con associazioni culturali per la partecipazione a corsi di teatro;
• proposta di gestione di corsi (cucina internazionale, incontri di lettura) come spinta all’aggregazione fra il mondo interno ed esterno;
• rapporti in compartecipazione con ASL, Comune e Assessorati alla Cultura ed allo Studio (è stata avviata una richiesta per insegnanti e/o studenti all’ultimo anno di scuola per portare l’insegnamento di lingue estere ed attività espressive all’interno del gruppo);
• adesione di gruppi esterni seguiti dal Settore Handicap adulto, come scambio di servizi;
• allestimento ergoterapico di un laboratorio informatico per:
- videoscrittura
- ricerche su Internet
- telelavoro
- progetti di grafica
- utilizzo di ausili e software tecnologici per innalzare il livello della qualità di vita quotidiana
- collegamento con ausilioteche e centri di formazione ed informazione.

Lo spazio detto “attività” diventa lo spazio concreto in cui le possibilità si misurano con l’applicabilità. Ognuno degli ambiti precedentemente descritti entra in gioco come modifica di stili di vita. L’impegno per un’attività dava un ritmo alla vita quotidiana, modificando in modo a volte decrescente, altre volte ad intermittenza, altre ancora con estenuanti bracci di ferro, l’investimento psicologico sull’aspetto sanitario. Si sono avute così le prime abilità, “Adaptive Skills”, queste si presentavano come comportamenti efficacemente autonomi (ad esempio, la gestione di uno sportello informativo o la produzione di tessuti artistici dopo avere appreso la tecnica condotta da una persona con tetraparesi da trauma, ecc.). Le attività diventano, così, scuola delle abilità, confrontandosi in una danza creativa dove l’ambiente è sia quello fisico, che biologico e socioculturale, riconoscendo ad esso un ruolo attivo.

 
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A cura di:

Elena Mercutello
Presidente Cooperativa “Luce sul Mare”
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