L’espressione artistica riesce a far comunicare attraverso i gesti, il
corpo, il disegno, la manualità quello che le parole non manifestano,
può portare ad un consolidamento dell’io, ad un aumento
dell’autostima, ad un miglioramento delle capacità di socializzazione.
L’arte terapia, in cui si possono riunire forme espressive
diverse come il disegno, la danza, la musica e il teatro,
può venire utilizzata in vari ambiti: terapeutico, riabilitativo,
educativo. L’espressione artistica riesce a far comunicare
attraverso i gesti, il corpo, il disegno, la manualità
quello che le parole non manifestano, può portare ad un
consolidamento dell’io, ad un aumento dell’autostima,
ad un miglioramento delle capacità di socializzazione
(area terapeutica).
In ambito riabilitativo ricordiamo l’esperienza sempre
più frequente della teatroterapia con carcerati, tossicodipendenti,
persone anziane, disabili, della musicoterapica in pazienti
con danni neurologici ed infine l’utilizzo in persone
non portatrici di disagi specifici come strumento educativo
per arrivare all’accettazione e all’autoconsapevolezza
di sè.
In questi ultimi anni si è registrato anche nel nostro
paese un crescente interesse sia nelle strutture pubbliche
che private per l’uso delle arti espressive e di laboratori
teatrali a beneficio di ragazzi a rischio, di pazienti
psichiatrici o diversamente abili.
In particolar modo l’importanza dell’organizzazione di
laboratori teatrali rivolti a pazienti diversamente abili
ha una duplice valenza in quanto tende non solo a rafforzare
le capacità comunicative - espressive e relazionali del
soggetto, di condivisione, di senso di appartenenza, ma
ha anche un significato di integrazione sociale diffondendo
una immagine positiva delle persone con disabilità, favorendo
lo sviluppo di una società più civile.
Sulla base di questo criterio si stanno anche formando,
sulla scia di esperienze già collaudate con successo all’estero,
laboratori teatrali misti dove il gruppo teatrale si compone
di persone diversamente abili e persone normodotate. Che
l’attività teatrale possa avere un’azione terapeutica
nelle persone sofferenti è un’idea antica.
Nella Poetica, Aristotele affermava che il fine della
tragedia è la catarsi e Aristofane nella commedia “Le
Vespe” racconta di un figlio che per guarire il padre
dalla mania di giudicare ossessivamente gli altri, organizza
con l’aiuto dei servi delle finzioni sceniche, come allestire
un tribunale nel cortile di casa, per far capire al vecchio
la pericolosità sociale della sua abitudine. Inaspettato
precursore della teatroterapia fu il marchese De Sade,
internato non perché folle ma perchè socialmente pericoloso,
che nel manicomio di Charenton, dove venivano appunto
confinati individui socialmente pericolosi, allestiva
lavori teatrali approvati dal direttore ma osteggiati
dal medico primario e recitati dai ricoverati stessi.
In Italia Giovanni Maria Linguiti (1773-1825), abate dei
Servi di Maria, dottore in Legge e in Teologia e non medico,
fu nominato direttore di quello che diverrà l’ospedale
psichiatrico di Aversa. Qui portò a delle innovazioni
importanti che consistevano non solo in “svaghi o distrazioni”
con balli, tarantelle e danze ma allo sviluppo di una
teatroterapia il cui eco si fece ben presto sentire. Per
il Linguiti il percorso terapeutico prevedeva di far interpretare
al paziente la “passione” o “idea fissa” opposta a quella
che affliggeva il malato e doveva essere il medico consulente
a selezionare la parte che doveva interpretare il malato
- attore.
Esquirol,
fu critico verso l’esperienza di De Sade ravvisando alcuni
rischi nel scegliere i pazienti - attori a caso (raccontava
di un malato psichiatrico che credeva di essere un re,
famoso a Parigi per la grazia della sua danza, che a Charenton
interpretò il ruolo di tiranno in modo perfetto, ma che
diventò pericoloso per gli spettatori) lodò il Linguiti
per la sua intuizione di teatroterapia curativa, asserendo
un concetto che è attualissimo: la teatroterapia per essere
curativa deve prima o contemporaneamente avere effetto
curativo sullo spettatore - normale eliminando i “pregiudizi”.
Il lavoro del Linguiti fu continuato da Biagio Gioachino
Miraglia (1814-1885) medico del manicomio di Aversa che
continuò la teatroterapia facendo recitare i suoi malati
(i folli del dottor Miraglia come scrive Alessandro Dumas
in un suo articolo dell’epoca) nel teatro del Fondo oggi
teatro Mercadante con rappresentazioni scritte da lui
stesso. Occorre distinguere tra teatroterapia e psicodramma
termini spesso confusi. Il psicodramma, nasce per opera
del medico e psicologo Moreno (1889-1974).
Si racconta che mentre assisteva a Vienna al dramma “Le
imprese di Zarathustra” il medico alzatosi in piedi, invitò
l’attore protagonista a gettare la maschera e a mettere
a nudo la propria personalità. In quel momento per caso
un attore comparsa ribadì che il vero Zarathustra era
Moreno che non sopportava di essere messo in ridicolo
dalla finzione scenica; questo suscitò le risate del pubblico
e diede così l’avvio alla nascita del “teatro della spontaneità”
che più tardi porterà al psicodramma.
La teatroterapia è un’attività teatrale del tutto tradizionale
senza inversione dei ruoli tra attore e personaggio e
attore spettatore o apertura all’improvvisazione. Tuttavia,
se pur distinta dal psicodramma, la teatroterapia entrando
nelle arti terapie si è parzialmente aperta all’improvvisazione
e ai giochi di ruoli.
Nel psicodramma l’attore spontaneamente improvvisa una
parte per cui è il paziente che decide quando approfondire
il conflitto, a lui il psicoterapeuta chiede di esprimere
quello che sente dentro e cioè di esternare le proprie
angosce, portando le emozioni alla coscienza e quindi
di riviverle e “capirle”. Il conduttore – terapeuta deve
dare solo delle indicazioni generiche sulla trama e sul
tema da trattare sulla scena per non forzare la spontaneità
dei pazienti - attori e a sua volta questi possono aiutare
l’altro compagno – attore a favorire la possibilità di
esplorazione dei sentimenti facilitando l’azione scenica
o viceversa creando un’atmosfera di critica o di ridicolizzazione
che blocca l’azione nel suo sviluppo.
La trama guidata e interpretata spontaneamente elimina
la sensazione e la vergogna di mettere in piazza i propri
vissuti, cioè la finzione scenica elimina la confessione
personale dei propri problemi. Nella teatroterapia l’attore
ha un canovaccio e si prepara al suo lavoro aiutato dal
terapeuta educandosi a stare in scena e, liberandosi dalle
resistenze proprie, (secondo Grotowski formare un attore
non significa insegnargli qualcosa, ma togliere le resistenze
che non permettono “l’atto totale”) a rendere armonico
il rapporto mente, corpo, voce. Qualsiasi spazio può diventare
palcoscenico e dare l’avvio ad un atto teatrale. Moreno
nel psicodramma terapeutico ha introdotto anche “l’Io
ausiliario”, un personaggio – attore di aiuto che ha il
ruolo di interpretare persone che nel passato hanno vissuto
delle problematiche con il paziente per poter far rivivere
una situazione in positivo o stimolare un processo di
interazione per evidenziare i problemi non risolti e capirli.
Moreno oltre al dialogo con i co-attori o ai monologhi
(in cui il paziente fa una cosa artistica e non una confessione)
ha utilizzato anche la tecnica degli scambi di ruolo per
far calare il personaggio nel ruolo dell’altro e rendere
comprensibili atteggiamenti non altrimenti capibili.
La teatroterapia non sostituisce le psicoterapie ma le
affianca e al teatroterapeuta è richiesta una doppia preparazione
sia in campo teatrale che psicologico. La teatroterapia
serve a liberarsi dalle rigidità emotive, muscolari, a
liberarsi dai condizionamenti, ad affrontare con consapevolezza
i propri vissuti, a comunicare con gli altri e stare all’ascolto
del vicino oltre che di sè stessi. Come diceva Cesare
Musatti il lavoro dell’attore e dello psicoterapeuta ha
molto in comune: per entrambi c’è infatti la necessità
di assumere il punto di vista dell’altro. L’altro concetto
importante è che la teatroterapia può essere un buon metodo
per far conoscere le potenzialità umane e creative anche
di quelli che noi chiamiamo diversamente abili favorendo
l’inclusione sociale, fatto di importanza rilevante nella
crescita umana culturale e sociale delle persone.