Curare non
significa necessariamente guarire: è importante rispettare
la dignità della persona e mantenere il benessere mentale
e sociale, potenziando le capacità psicofisiche, nel rispetto
delle condizioni ambientali e relazionali, dei soggetti
in età evolutiva. L’obiettivo dell’umanizzazione del ricovero
del bambino si deve raggiungere attraverso strutture adeguate,
anche se devono essere previste ristrutturazioni radicali,
o la costruzione di nuovi ospedali con reparti pediatrici
forniti di aree ludiche per i bambini e di soggiorno per
le famiglie non residenti.
Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti
dalla ricerca scientifica, la popolazione
dei lungosopravviventi da tumore
pediatrico, da diabete, da cardiopatie congenite,
etc è aumentata rapidamente.(1-2-3)
Importante è dunque valutare tutti gli aspetti
per poter intervenire in modo mirato nel
migliorare la qualità di vita del bambino ospedalizzato,
del bambino con patologia cronica e
dei bambini oncologici lungosopravviventi.
La misura della qualità di vita (QOL) diventa particolarmente
importante quando si deve valutare l'impatto di una malattia
cronica. La percezione soggettiva del proprio stato di
salute e l'effetto che un intervento medico può avere
sulla QOL sono di particolare interesse per i clinici
ed anche per i pazienti. Questa valutazione concorre quindi
insieme alle valutazioni di efficacia clinica alla misura
della qualità di cura. La misurazione della QOL può rappresentare
una delle finalità primarie di uno studio clinico. In
questo caso si tratta di una effettiva necessità di valutare
questo parametro come fattore che condiziona il problema
considerato; ad esempio la scelta tra la ospedalizzazione
e la cura a domicilio del paziente pediatrico, la necessità
di un supporto psicologico, la valutazione di un trattamento
farmacologico, etc. La scelta dello strumento per la misurazione
della QOL rappresenta il problema principale. E’ facile
capire come sia estremamente complesso trasferire in un
unico valore quantitativo un parametro che è difficilmente
oggettivabile. In primo luogo è importante distinguere
le diverse prospettive da cui questa misurazione può essere
condotta: da un lato quella del paziente e dall’altro
quella di un osservatore esterno. La modalità più completa
per eseguire questa misurazione è costituita sicuramente
dai questionari che valutano i vari domini e le loro componenti
con punteggi diversificati. I questionari possono essere
diversi nella forma (breve o più dettagliato, di auto
somministrazione o con intervista diretta o telefonica),
costruiti diversamente a seconda del tipo di interlocutore
(paziente, medico, personale di assistenza) e inoltre
possono essere generici o specifici per patologia. L’obiettivo
che la moderna medicina si prefigge è quello di imprimere
caratteristiche di globalità ad un’assistenza che deve
rispondere ai bisogni dell’infanzia, anche dal punto di
vista umano.
Le attuali strategie terapeutiche sono finalizzate al
conseguimento di un’assistenza “globale” a favore di bambini
e adolescenti malati ai quali può non bastare la terapia
medica o chirurgica. In questi casi, infatti, è necessario
anche il sostegno psicologico, da garantire ai bambini,
ma anche ai loro genitori, mediante attività ludiche,
ricreative, educative, e di supporto scolastico, organizzate
negli ospedali ed istituti di ricovero per l’infanzia.
Contestualmente deve essere totale l’impegno di tutti
gli operatori per migliorare i livelli assistenziali delle
strutture ospedaliere “dedicate” all’infanzia. E’ stata
condotta una indagine sulla qualità di vita, mediante
un questionario, in bambini con cardiopatia congenita.
I bambini hanno riferito un ridotto funzionamento motorio
e una minor autonomia in rapporto con bambini sani. I
genitori riferiscono che i figli hanno una qualità di
vita inferiore nei campi del dolore e dei sintomi, del
funzionamento motorio, dell’autonomia e del funzionamento
cognitivo.(4) In conclusione i bambini con cardiopatia
congenita sentono che la loro qualità di vita è inferiore
a quella dei bambini sani. Ciò significa che l’impatto
emozionale dei problemi è maggiore in bambini con cardiopatia
congenita che in bambini sani.
E’ quindi importante per i medici interessarsi dello stato
emotivo dei bambini e dei loro genitori. Sono stati infatti
istituiti programmi di riabilitazione motoria per questi
pazienti (pz) che hanno mostrato un miglioramento significativo
nella coordinazione motoria, nella velocità di percezione,
nella socializzazione con i coetanei. Per più di un terzo
dei bambini, la fiducia in se stessi e l’ansietà riguardo
agli sport si sono modificate da punteggi molto bassi
o molto alti nei test iniziali a punteggi prossimi alla
normalità nei test finali.(5) Possiamo concludere che
i bambini con cardiopatia congenita dovrebbero il più
presto possibile avere l’opportunità di partecipare a
programmi riabilitativi al fine di migliorare la loro
qualità di vita. In alcuni centri vengono organizzati
soggiorni educativo-terapeutici, rivolti ai genitori ed
ai bambini, per imparare a gestire il diabete e migliorare
la qualità di vita.(6)
L’obiettivo è “far imparare divertendo”, mediante la discussione
dei temi più importanti sul diabete, la sua conoscenza,
la terapia, i fondamenti di una corretta alimentazione,
nozioni di fisiologia dello sport integrata da una parte
pratica inerente la prevenzione, la corretta terapia degli
episodi ipoglicemici ed iperglicemici. Con il miglioramento
della convivenza di questi piccoli pz con il diabete si
otterrà un miglioramento della qualità della loro vita
e una riduzione delle complicanze. Nel nostro reparto
di oncologia pediatrica è stato condotto uno studio sulla
qualità di vita in 251 pz lungosopravviventi da tumori
pediatrici, mediante un questionario, per poter determinare
le difficoltà incontrate nella loro vita sociale e lavorativa.
Tutti erano fuori terapia da almeno 5 anni. A tutti i
pz o ai genitori di pz minorenni o non al corrente della
propria patologia è stato sottoposto un questionario standard
per indagare i seguenti domini: scuola, lavoro, tempo
libero, sport, famiglia, rapporti con gli altri, autostima
e problemi di salute. Dal questionario sottoposto è emerso
che il 22,7% dei pz incontra difficoltà nell’apprendimento
di una o più materie e il 42% dei pz ha interrotto gli
studi.(7-8) Il 96% di coloro che lavorano asserisce di
non avere incontrato difficoltà legate ai propri problemi
oncologici, durante la fase di ricerca del lavoro, ma
solo l’8% di essi ha rivelato la propria malattia durante
i colloqui di valutazione. Lo sport rappresenta parte
integrante della vita di un giovane, il 69% dei nostri
pz pratica uno sport e il 35% di essi più di uno.
Diciannove pz hanno dichiarato di incontrare delle difficoltà
nella pratica sportiva a causa di un’asimmetria pelvica
o degli arti, o a problemi di carattere neurologico o
vestibolare (paralisi, paraparesi, lesioni midollari).
Dei pz intervistati, 132 hanno una età pari o superiore
a 18 anni, il 68% non è sposato, il 31% è sposato e 2
pz sono divorziati.(9) Nell’ambito dei 132 pz compresi
tra i 18 e 47 anni, 22 hanno figli, i rimanenti 110 pz
hanno dichiarato di temere di avere figli a causa della
loro esperienza oncologica in età pediatrica. Per quanto
concerne la socializzazione e l’autoconsiderazione, dal
nostro studio è emerso che l’80% dei pz si definisce tranquillo,
felice e socievole, il 74% non si considera diverso dai
suoi coetanei, fatta eccezione per un maggiore livello
di maturità dovuto all’esperienza di degenza ospedaliera.(10-11)
Analizzando i dati che abbiamo ottenuto è evidente che
un’alta percentuale di studenti abbandonano la scuola
a differenti livelli, con una considerevole difficoltà
nell’apprendimento. Apparentemente l’esperienza oncologica
non crea difficoltà nella ricerca di una occupazione anche
se una buona percentuale dei pz non ha dichiarato di essere
stato affetto da tumore per paura di essere discriminato
per tale ragione. La qualità di vita successiva all’esperienza
della malattia e, di conseguenza, quella durante la malattia
appaiono, dal nostro studio, buone.(12-13) Diversi studi
stanno mettendo in evidenza il ruolo globale giocato dal
referente animale nel processo di crescita del bambino;
il rapporto animale-bambino è carico di valenze affettive,
di sostegno, formative e didattiche. (14)
La pet-therapy non può certo guarire un bambino ma di
sicuro allevia la sofferenza e rende la degenza meno sofferta.
Anche in ambiente ospedaliero è necessario far vivere
ai piccoli pz momenti stimolanti attraverso i quali il
bambino possa rielaborare l’esperienza della malattia
attraverso nuovi canali di comunicazione che si creano
spontaneamente nell’interazione bambino-animale.(15) Nella
cura del malato gli aspetti relazionali e di sostegno
diventano di estrema importanza sia per aiutare il piccolo
paziente ad adattarsi alla sua nuova realtà sia per migliorare
la sua partecipazione alle terapie migliorandone, in tal
modo, la qualità di vita nell’ospedale e nella società.
Inoltre oggi sempre maggior risalto deve essere dato al
supporto psicologico della famiglia; per affrontare problemi
legati alle fasi depressive che coinvolgono i genitori
e i fratelli di un bambino affetto da patologia cronica
che hanno dimostrato di essere fattori rilevanti sia nella
qualità di vita del bambino malato sia nello sviluppo
di patologie a carattere neurologico e oncologico in chi
l’assiste.
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