Innovazione e qualità della vita

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Copertina della rivista


Grafica

10 anni di confronto e
scambio sulle tematiche
più attuali, sulla ricerca,
sulla qualità della vita

Dieci anni fa iniziava questa avventura chiamata D.A. Abbiamo fatto un percorso con tante tappe, con tante idee, intuizioni, incontri. Oggi riguardiamo indietro, per comprendere che cosa è accaduto, ma, soprattutto, per tracciare la linea da seguire d’ora in avanti.


Una nuova Rivista. Tra le tante... E dal titolo strano, tutto da spiegare. “D.A.” sta per Dynamic Air, l’associazione Onlus che ha voluto partire per questa entusiasmante e diffi cile avventura. Una realtà che si impegna per una innovazione culturale nel modo di concepire la disabilità, che promuove azioni e iniziative al fi ne di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su temi fondamentali per la crescita di una società effettivamente civile. Perché una Rivista? Perché è uno strumento attraverso il quale parlare, dire cose, comunicare idee, manifestare pensieri. Il punto di partenza è il concetto di limite. (…)

Perché si parlerà, nelle varie sezioni in cui la Rivista è suddivisa, di temi, limite, diversa-abilità, malattia, handicap, che sono strettamente legati tra loro da ben due fi li: uno si chiama qualità della vita e l’altro cultura. Perché una nuova cultura ed una continua evoluzione verso il concetto di “centralità della persona”, possono portare al miglioramento della qualità della vita, per ognuno di noi. Era questo l’editoriale del primo numero, del novembre 2000. Partiva così, con questi propositi e con tanto entusiasmo questa avventura editoriale. In quel momento, anno del Giubileo, c’era bisogno di affrontare questi temi, di ribadire che l’essere diversi è un patrimonio, non un limite, una risorsa del vivere comune, una straordinaria occasione per costruire un progetto di società in cui non si è “tutti uguali”, ma anzi dove la diversità viene riconosciuta e non annullata; per costruire una nuova “impostazione sociale” in cui tutti possiamo essere uguali nelle opportunità, seppure diversi nelle caratteristiche personali, in maniera più o meno visibile.


LO SCIENZIATO E IL LIMITE DELLA CONOSCENZA

Il limite è nato con l’uomo. Anzi, con l’universo stesso. Fa parte di noi ed è qualcosa con il quale l’essere umano ha sempre dovuto fare i conti. Anche la scienza molto spesso è costretta ad arrendersi di fronte al limite della conoscenza, all’incapacità di andare oltre, oltre le proprie forze. Come ci dice in questo breve contributo Margherita Hack, illustre scienziata dell’Osservatorio Astronomico di Trieste, noi non potremo mai sapere se oltre il nostro universo ne esistono altri. Ognuno di noi si confronta ogni giorno con un limite. C’è il limite visibile di chi non può camminare o vedere e quello nascosto ma grandissimo di chi, nonostante l’intelligenza e il progresso, non può conoscere...
Di Margherita Hack – Osservatorio Astronomico di Trieste

Durante questo secolo XX i grandi progressi della tecnologia e dell’informatica hanno reso possibile conoscere la natura fisica, la composizione chimica, le fonte d’energia delle stelle e di ricostruire le loro evoluzione dal momento della loro formazione fino alla loro fine. Inoltre abbiamo capito qual è la struttura dell’universo, quali erano le sue condizioni fisiche circa 15 miliardi di anni fa, e così si è evoluto da allora dando origine alle galassie e alle stelle coi loro sistemi planetari, come è oggi. Possiamo cercare di spiegare, grazie alle leggi fisiche che sperimentiamo in laboratorio, quella che è stata l’origine dell’universo, COME si è formato, ma non riusciremo mai a spiegare PERCHE’ si è formato. Possiamo ricavare, grazie all’esperimento e all’osservazione, quali sono le leggi fisiche che governano l’universo, ma non riusciremo mai a spiegare perché sono così e non altrimenti, perché la forza di gravità è sempre attrattiva e mai repulsiva, come pure non sapremo mai se quello che chiamiamo UNIVERSO è davvero tutto ciò che esiste o se non esistano anche molti altri universi, con caratteristiche simili, o anche completamente diversi dal nostro.
(D.A. – numero 1 – Novembre 2000)


L’ESCLUSIONE CHE IMPRIGIONA
Una proposta “rivoluzionaria”: diventare tutti “contrabbandieri”. Andare oltre i confini, superare le barriere, aprire brecce in muri che sembrano inabbattibili.
Di Massimo Cacciari - Filosofo, Parlamentare europeo (oggi docente ordinario di Estetica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano)

Nulla al “cattivo” senso comune sembra più evidente e meglio fondato dell’idea di limite, di frontiera, di barriera. Esso tende sempre a pensare per separatezze, per appartenenze esclusive, per identità rigide; si sente minacciato da tutto ciò che non sia sua proprietà; ritiene sempre che uguaglianza significhi “eliminazione” del non uguale.

Ma è un pensare questo? In realtà nulla è più evanescente, nulla più mobile di tutti i nostri confini. Ciò che sembra separarci è una linea incerta, spezzata, “ferita”. Vale per le lingue, per le culture, per le razze; non è possibile descrivere un solo loro aspetto senza ricorrere costantemente ad immagini di relazione. Tragicamente, perfino le guerre ben più che stabilire ferrei confini creano nuove forme di relazione.

Noi dobbiamo perciò togliere le barriere, abbattere ciò che tende a separarci, non solo e non tanto perché questi aspetti materiali e morali della nostra vita sono odiosi e discriminanti, ma anzitutto perché falsi, perché mentono sulla nostra esistenza, perché ne danno un’immagine assolutamente menzognera. E cioè: una “barriera architettonica”, un’architettura non pensata anche in funzione di chi non cammina o non vede, non è “cattiva” soltanto nei riguardi di chi non cammina o non vede, è pessima perché dimostra di non saper pensare il senso dell’esistenza di ciascuno, della vita comune.

Non esiste “abile” astrattamente separato da “disabile”, come non esiste memoria astrattamente altrove da oblio, o conscio da inconscio. La scienza stessa contemporanea ci ha insegnato (proprio come grandi filosofi antichi!) che neppure è tracciabile una barriera tra organico e inorganico. Il senso dei confini consiste in questo. Nel poter essere attraversati. Essi esistono, certamente, vanno riconosciuti, ma per comprendere bene quali porte e finestre aprirvi. Il nostro fine non è quello di trasformarli in muraglie cinesi (illudendoci, magari, così di “proteggerci” meglio), ma di trasformare noi in “contrabbandieri”! Allora, finalmente, il “normale” avvertirebbe nel “disabile” abilità che non possiede, e potrebbe diventare consapevole di tutte le sue innumerevoli infermità.

Allora, finalmente, potrebbe apparirci chiaro come tutto ciò che esclude l’altro, trasforma necessariamente in prigione il luogo dove abitiamo. Aprire i nostri luoghi è condizione della libertà di tutti, ben prima e ben più che del “movimento” di alcuni.
(D.A. – numero 1 – Novembre 2000)


Abbiamo riproposto due degli articoli pubblicati nel primo numero del 2000, per ricordarci che fin da allora lo sguardo andava oltre, si cercavano punti di vista originali, si voleva proporre ai lettori qualcosa di più, uno stimolo a riflettere, a lanciare il pensiero più in là, oltre il limite… Questi gli esordi. Le prime battute di un discorso poi continuato nei numeri successivi, con articoli e contributi di associazioni, di medici, di sociologi, di amministratori, con esperienze e testimonianze di vita vissuta. Per tracciare un quadro il più possibile completo, per dare voce a problematiche difficili, ma anche per valorizzare il lavoro e l’impegno di tantissimi, che operano nel sociale o nella gestione della cosa pubblica, compiendo scelte importanti. Per 5 anni D.A. ha fatto questo, continuando a parlare esclusivamente di diversità, di diversa-abilità, di limite, di salute e sociale. Abbiamo conosciuto tante persone speciali che ci hanno ricordato cosa significa avere coraggio, vivere, anche con un limite imposto dall’handicap, dalla malattia. Ma andando avanti si è sentita la necessità di un cambiamento, soprattutto per rispondere agli stimoli che provenivano dal dibattito scientifico, dalla comunità.

Un primo timido segnale di evoluzione è comparso con il Numero 15 – Febbraio 2006 – Per una società della conoscenza.
In questo numero presentiamo il lavoro di associazioni, aziende, strutture sanitarie che si impegnano quotidianamente per il superamento delle barriere culturali che ancora circondano la diversità, per creare opportunità e servizi. Un numero che dedica molto spazio al mondo della ricerca perché senza di essa i limiti non si possono superare e perché la “società della conoscenza” è il presupposto indispensabile per creare gli strumenti, le tecnologie, le innovazioni che possono migliorare la qualità della vita di tutti noi, e in particolare delle persone in difficoltà. Molto spesso si sente parlare di ricerca scientifica solo in associazione a considerazioni negative: non ci sono sufficienti risorse, mancano investimenti, i nostri ricercatori fuggono all’estero, ecc…Cose vere, purtroppo. Ma è altrettanto vero che il nostro Paese possiede un patrimonio enorme in termini di “intelligenze”, di risorse umane, e può vantare vere eccellenze in diversi settori, che vanno incentivate.

Ma la vera rivoluzione è partita dal Numero 19 – Giugno 2007

Oggi, dopo aver approfondito per anni il discorso sulla disabilità fisica e sui limiti come opportunità, abbiamo deciso di interpretare in un senso più ampio il concetto di diversa abilità, considerando le tematiche sull’ambiente e sull’atteggiamento con cui ciascuno di noi si rapporta ad esso e alle tematiche di urgenza ambientale, sviluppo sostenibile, rinnovo energetico, nuove strategie ambientali. Restano al centro della nostra attenzione le diverse abilità, ma offrendoci lo spunto per dischiudere un nuovo panorama, quello rivolto alle innovazioni tecnologiche, che non più solo nel campo della disabilità offrono la possibilità di superare determinati limiti, ma pure rispetto al problema ambientale globale offrono una speranza di miglioramento. Dal miglioramento delle condizioni di vita personali, al miglioramento delle condizioni di vita ambientali e del pianeta. Questa volta disabile è il MONDO, un mondo malato (…). Era il numero dedicato a Porto Marghera, che conteneva il punto di vista di tutti i soggetti coinvolti, aziende, sindacati, amministratori, politici, associazioni di categoria, sul progetto di riqualificazione del grande polo chimico veneziano. Un bel numero, perché accoglieva tante posizioni, anche contrastanti, spiegava, in modo completo, ciò che stava avvenendo, a favore dello sviluppo sostenibile, lì dove nessuno pensava ci potesse essere sviluppo, rinascita, qualità, innovazione. Il nuovo corso di D.A. è partito da lì: qualità, innovazione e ricerca diventarono il filo conduttore dei numeri successivi. Sono nati i numeri monografici dedicati ai temi trattati nel corso delle Giornate di Studio del Premio Sapio per la Ricerca Italiana, che ha più o meno la stessa età della rivista e che ogni anno premia ricercatori meritevoli e propone occasioni di confronto a favore della ricerca nel nostro Paese: divulgazione scientifica, biotecnologie, ambiente, salute e sociale.

Da quel momento D.A. si è impegnato ad affrontare il tema del superamento del limite in un’accezione più ampia trattando tematiche di urgenza ambientale, sviluppo sostenibile, nuove fonti energetiche, nuove strategie ambientali, nuove terapie, nuove tecnologie e soluzioni per la qualità della vita di tutti.

La Rivista è diventata, pertanto, il megafono del Premio Sapio per la Ricerca Italiana; ne sviluppa e ne approfondisce i temi, fa da ponte tra un’edizione e l’altra mantenendo alto l’interesse della comunità scientifica e delle istituzioni sugli argomenti scientifici trattati.

Non solo: offre la possibilità ai ricercatori candidati al Premio di far conoscere i propri studi, di divulgarli a livello nazionale, presso interlocutori diversi, che non sono solo gli addetti ai lavori. Innovazione e ricerca scientifica, esperienze esemplari di applicazioni industriali, studi all’avanguardia, progetti e idee per uno sviluppo di qualità, in ogni settore, trovano quindi nella rivista D.A. un mezzo per creare interesse, uno strumento per stimolare il confronto, un veicolo per farsi conoscere e apprezzare.

Ora si pensa al futuro. La rivista si è evoluta dalla sua nascita ad oggi e continuerà a farlo, perché vuole essere uno strumento al passo coi tempi, che rispecchia, ma anche anticipa le tematiche che chiedono risposte, proposte, soluzioni. Il nuovo corso sarà nella direzione della divulgazione scientifica, nel suo significato più elevato: vogliamo “scovare” le sperimentazioni, le idee, i progetti più innovativi, più forti, quelli che rappresentano soluzioni reali per la qualità della vita di tutti, per l’ambiente, per la salute, perché possano ottenere visibilità, sostegno, risorse, opportunità di applicazione.

Vogliamo mettere in relazione coloro che possono collaborare concretamente per creare sviluppo e innovazione: le istituzioni con le aziende, i ricercatori con l’industria, le università con il mondo produttivo. Questi primi 10 anni di D.A. sono l’occasione buona per ringraziare tutti coloro che ne hanno permesso il successo, ci hanno consentito di arrivare fino a qui e, confidiamo, continueranno ad aiutarci a costruire il suo futuro.


“Scienza: il tondino del futuro” (estratto dell’articolo di Manuela Arata, TT Officer CNR, pubblicato su D.A. - Marzo 2010)
Mentre si apre un nuovo anno ancora all’insegna dell’incertezza, in cui timidissimi segnali di ripresa non riescono a nascondere la generale inquietudine per una crisi che continua a far sentire i suoi effetti in tutto il mondo industrializzato, sembrano essere diversi i Paesi che hanno compreso che a differenza di molti altri settori, l’high-tech tiene: valga per tutti la scelta del Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama di mettere primo punto dell’agenda del “cambiamento” un programma fortemente incentrato sulla ricerca come via per riappropriarsi di una nuova leadership economica.

L’high tech come motore per uscire dalla crisi dunque?
Sì, e senza indugio. Perché si rivolge a mercati più consapevoli e di nicchia, perché “qualifica” nella misura in cui offre nuove possibilità di specializzazione per le aziende, di formazione innovativa e di impiego più “stabile” per i nostri giovani, e in cui offre prospettive di apertura verso mercati internazionali o non ancora saturi… in una parola, perché genera ricadute a vantaggio dell’occupazione, della concorrenza, dello sviluppo tecnologico, dell’efficienza.

Ma esistono, davvero, ricette per l’innovazione?
Il mio punto di vista è che esista un intero sistema di attori e istituzioni chiamato a mettere a disposizione del Paese tutte le proprie capacità e le proprie risorse: recita un antico detto indiano che il mondo che abitiamo non è nostro, ma è piuttosto un prestito che dobbiamo restituire ai nostri figli; mi piace pensare che possiamo renderlo persino migliore di come lo abbiamo ricevuto, lavorando alla realizzazione di un vero “Progetto Paese”.