Vai direttamente ai contenuti

Copertina della rivista

Immagine: grafica L'Acqua: pubblica o privata?

Gratuita o con tariffa?
Alcune considerazioni di teoria economica.



Da alcuni anni il dibattito sulla riforma del servizio idrico integrato in Italia appare offuscato da una serie di idee dogmatiche, che radicalizzano le posizioni in maniera non costruttiva. Ad una estremità si pongono i sostenitori dell’acqua pubblica e gratuita, i quali contestano al mondo delle imprese, delle banche e dei costruttori, che essi vogliono privatizzare la risorsa e lucrare indebitamente su di essa.

Dall’altro lato si collocano i sostenitori del mercato, che sono a favore della privatizzazione della gestione tramite gara (anche senza una buona regolazione pubblica), al fine di assicurare una maggior efficienza nel settore. Il dialogo tra i due schieramenti è reso difficile dall’alto grado di emozionalità ovviamente legata all’acqua. Il presente articolo cerca di presentare le tematiche secondo un ottica di teoria economica (anche se considerata da alcuni, come diceva Thomas Carlyle, una “dismal science” o scienza triste), che forse potrebbe fornire un ponte tra i due schieramenti, in quanto condivide alcune idee di entrambi, ma con una serie di importanti distinguo.


La duplice natura dell’acqua: una risorsa pubblica scarsa ma anche un bene privato con esternalità
Partendo dal presupposto che l’accesso all’acqua (per lo meno ad una certa quantità) - in quanto bene essenziale per la sopravvivenza - dovrebbe essere un diritto universale, una prima fonte di confusione è che si possono (e debbono) distinguere due tipi di acqua: l’acqua come risorsa comune alla fonte e l’acqua come servizio idrico al rubinetto di casa. Per gli economisti (ed anche per la maggior parte delle legislazioni di acqua esistenti) non vi è nessun dubbio che l’acqua come risorsa sia un bene pubblico2. Ma essendo anche una risorsa limitata dal punto di vista economico non vi si può dare accesso indiscriminato a tutti gli utenti, in quanto ciò condurrebbe al rischio di un sovra-utilizzo (noto come “The Tragedy of the Commons”). Quindi i diritti di accesso all’acqua, anche se riconosciuti, vanno comunque regolamentati da un ente pubblico.

A tale proposito si possono usare strumenti di quantità (allocazioni ex-ante tra i vari utenti) o di prezzo (tariffe volumetriche, che assicurino che gli utenti internalizzino il valore di scarsità della risorsa nelle loro decisioni di consumo). In altre parole, bisogna evitare che la risorsa pubblica comune, ma scarsa venga percepita come una risorsa illimitata e quindi venga sprecata. L’acqua potabile raccolta, trattata, trasportata e fornita a casa da un gestore, insomma l’acqua come servizio è invece per gli economisti un bene privato (in quanto è esclusivo e separabile), ma che ha delle esternalità (effetti in termini di salute e di ambiente). Per assicurare questo servizio è necessario coprirne i costi (investimenti in impianti di trattamento e tubature, costi di personale, energia, materiali e chimici). Anche in questo caso si possono usare due strumenti economici: le tasse (pagate da tutti i cittadini) oppure una tariffa pagata dagli utenti.

Lo strumento adeguato dipende dal livello delle esternalità lungo la filiera del servizio idrico integrato: per i costi dell’acqua potabile e di raccolta delle acque reflue appare preferibile dal punto di vista dell’efficienza economica seguire il principio “chi usa/inquina, paga” (fatto proprio anche dalla Direttiva Quadro Comunitaria sull’Acqua); per i costi di depurazione (che hanno delle esternalità positive in termini di ambiente) oltre al principio “chi inquina, paga”, potrebbe anche essere concepita una tassa (ad esempio sulla proprietà delle persone che beneficiano del miglior ambiente) per sussidiare tali opere.


L’importanza di una regolazione pubblica
InnaffiatoioQuasi tutti gli economisti (incluso il liberalista Milton Friedman nel suo libro “Capitalism and Freedom”) concordano che nel settore idrico è necessaria la presenza di un regolatore pubblico. Come specificato sopra, è fondamentale regolamentare l’accesso alla risorsa comune in termini quantitativi e proteggere tale risorsa anche in modo qualitativo. Ma è anche necessario regolamentare la fornitura del servizio idrico integrato, in quanto esso è un monopolio naturale3.

Senza una tale regolazione gli utenti sarebbero esposti al rischio che il gestore (privato o pubblico) potrebbe richiedere una tariffa molto alta, i gestori a loro volta non avrebbero nessun incentivo a contenere i loro costi o profitti (in quanto non esisterebbe ne concorrenza ne controllo), e la qualità del servizio sarebbe minore di quella ottimale (in quanto i gestori non terrebbero conto delle esternalità positive del servizio nelle loro decisioni – situazione nota come “Market failure”). Mentre è importante assicurare la qualità del regolatore pubblico, non si dovrebbe arrivare all’estremo di alcuni economisti lassez faire, che sono arrivati a sostenere che a causa delle inefficienze, della cattura del regolatore da parte del regolato o dei livelli di corruzione sarebbe preferibile farne a meno. Esistono casi di regolatori virtuosi: ad esempio nel Regno Unito ed anche in Cile.

In Italia si è creato un doppio livello di regolazione: nazionale (il Comitato di Vigilanza delle Risorse Idriche o CoViRi, ma senza che sia una vera Authority indipendente dal Ministero dell’Ambiente) e locale (le Autorità d’Ambito o AATO, spesso però in conflitto di interessi con i gestori inhouse). Considerando l’esempio inglese, i miglioramenti necessari per arrivare ad un regolatore tecnico, efficiente, indipendente, che assicuri una concorrenza nel mercato (ad esempio tramite una analisi comparativa delle imprese nota come competitive benchmarking o yardstick competition), protegga i consumatori e rassicuri gli investitori nel settore, sono notevoli e rappresentano una sfida importante per il Paese.


La minor importanza del tema proprietà e/o gestione pubblica o privata
Se esiste una regolazione pubblica, è invece molto meno rilevante dal punto di vista economico se la proprietà degli assets è pubblica o privata o se la erogazione del servizio è fatta da un gestore pubblico o privato. Intanto esistono pochissimi casi al mondo di un passaggio al privato delle infrastrutture (ad esempio il Regno Unito).

Inoltre anche in questi casi non si può parlare di privatizzazione “dell’acqua”, in quanto la risorsa rimane pubblica. Per quanto riguarda la gestione del servizio, si devono poi distinguere varie forme di partenariato pubblico privato. Il gestore privato può essere chiamato a investire e finanziare nuove infrastrutture e gestire il servizio (concessione), o solamente a gestire il servizio e intraprendere manutenzione ordinaria e straordinaria (leasing), o avere un contratto la cui remunerazione è basata sul raggiungimento di specifici obiettivi operativi (ad esempio riduzione delle perdite), ma dove la gestione rimane pubblica (contratto di servizio). Una serie di analisi econometriche sull’efficienza comparativa (Anwandter/ Ozuna “Can Public Sector Reforms Improve the Efficiency of Water Supply Operations?”, Journal of Environment & Development Economics 2002) dimostrano inoltre un fatto abbastanza intuitivo: non importa se la gestione è pubblica o privata, ma quello che è rilevante sono gli incentivi dati ai gestori dalla regolazione.

Si può ad esempio distinguere una regolazione delle tariffe che copre tutti i costi senza incentivi e penali (“Cost coverage regulation”) da una regolazione che stabilisce dei parametri o obblighi di efficienza, dinamici nel tempo e magari anche comparativi (“Price cap regulation”). Ovviamente la seconda darà più garanzie agli utenti della prima. Il dibattito italiano, che si concentra sul tema pubblico o privato, ma ignora spesso il tema regolazione, appare quindi non cogliere nel segno.


Le tariffe e la sostenibilità finanziaria e sociale del servizio idrico
Sul tema delle tariffe per il servizio idrico integrato si è detto della preferenza degli economisti per una tariffa volumetrica, a causa degli incentivi che una tale tariffa comporta, anche in quanto rende visibili i veri costi del servizio. Ma si è anche accennato ad una certa disponibilità degli economisti di considerare le tasse per coprire i costi che hanno esternalità positive. Conviene a questo punto considerare altri due attori importanti per le tariffe idriche: i politici ed i finanziatori privati.

Quando hanno la possibilità di definire le tariffe, i politici a volte non condividono la voglia di maggior trasparenza su quello che è il vero costo del servizio, preferendo frammentare tali costi su una serie di pagatori di imposte, compiendo cosi anche una funzione redistributiva del reddito4. Il risultato è che in Europa le tariffe medie variano da ca. 1 Euro per mille litri (0.1 cent di Euro al litro: media in Italia5) a più del doppio (in paesi come Francia, Olanda, Germania, Regno Unito). Il risultato pero è anche che in Italia si assiste a quello che viene spesso definito come un “circolo vizioso” o “equilibrio di basso livello”: gestione inefficiente, qualità del servizio bassa, tariffe basse, fondi insufficienti per investire nel miglioramento del servizio, ma scarsa disponibilità degli utenti a pagare per un servizio scadente. Prima le risorse per gli investimenti venivano dal bilancio pubblico, ma attualmente gli elevati livelli di indebitamento del Paese ed i criteri di Maastricht non lo consentono. Si è quindi di fronte a una tipica situazione uovo-gallina: non si può migliorare il servizio senza investimenti adeguati, ma allo stesso tempo è difficile giustificare un aumento delle tariffe di fronte ad un servizio scadente.

Per migliorare il servizio idrico integrato occorre quindi far ricorso ai finanziatori privati (banche, emissione di titoli obbligazionari, fondi di investimento, ma anche collettività di utenti), che potrebbero coprire il gap temporale tra gli investimenti ed il miglioramento della qualità del servizio, consentendo un graduale aumento della disponibilità a pagare e delle tariffe. Appare quindi sorprendente una certa ostilità che si osserva a volte nei confronti delle banche in un settore in cui esse potrebbero essere d’aiuto. Spesso si dice che le banche non fanno abbastanza perché non sono disposte a prendere dei rischi.

Il settore pubblico fa però poco per aiutare le banche a valutare tali rischi: in particolare esso potrebbe (e dovrebbe) creare una maggior trasparenza sull’allocazione dei rischi nelle Convenzioni tra le AATO ed i gestori e stabilire regole e meccanismi chiari per assicurare l’equilibrio economico finanziario, in caso di eventi non imputabili ai gestori/alle banche. Appaiono invece palpabili le paure che con la finanza privata aumenteranno in maniera socialmente insostenibile le tariffe. Senza una regolazione efficace una tale paura è di fatto giustificata, come testimoniano alcune esperienze (vedasi Lobina). Ma un regolatore efficace potrebbe controllare i costi e adottare una serie di strutture tariffarie (ad esempio a blocchi volumetrici crescenti, con una tariffa sociale per un certo volume di consumo pro capite), che consentirebbero anche alle famiglie con difficoltà economiche quell’accesso all’acqua, che è un diritto. Concludendo, il problema non sembra essere se la gestione dell’acqua è pubblica o privata, ma parafrasando il famoso slogan della campagna elettorale americana sul problema di fondo (“It’s the economy”): “It’s regulation”.


1 Queste considerazioni sono basate sulla presentazione “Strumenti Economici e Prevenzione delle Crisi Idriche: dalla Teoria alla Pratica” tenuta nell’occasione del
Premio Sapio a Roma il 12 Ottobre 2007, da parte del sottoscritto con la Dott.sa Monica Scatasta – a cui vanno i miei ringraziamenti per una serie di contributi, soprattutto
nella sezione 2.
2 In economia un bene pubblico viene definito come un bene non separabile e non sclusivo, di cui possono beneficiare in parallelo varie persone. Esempi di beni pubblici
sono l’aria, un bel paesaggio, una spiaggia, un faro.
3 Questa è una differenza chiave con l’energia, dove la concorrenza è possibile usando un common carrier: l’acqua ha un ratio costi di trasporto/tariffa più elevato, che ne riduce l’ambito ottimale di trasporto, ed inoltre l’impatto sulla salute dell’acqua sconsiglia di far usare la stessa tubatura a più fornitori (e due tubature sarebbero un costo inutile).
4 Anche se molti economisti evitano di parlare di redistribuzione del reddito, in quanto ritengono che questa sia una decisione politica, le tariffe idriche sembrano un pessimo strumento per redistribuire il reddito.
5 Un litro di acqua minerale in bottiglia – di cui si fa un alto consumo in Italia - costa almeno 200 volte di più.