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Copertina della rivista

Immagine: Manichetta dell'acqua

 

Acqua diritto umano e bene comune. La sfida culturale del primo decennio del XXI secolo

E’ a partire dai processi di partecipazione delle comunità dei cittadini intorno all’acqua, all’energia, alla scuola, all’ambiente che è possibile ricostruire nuovi modelli del sociale, di mercato, di economia, di difesa e salvaguardia dell’ambiente e, quindi, una vera politica dei ”beni comuni”, premessa per una pacifica convivenza delle future generazioni sul Pianeta Terra.




La cultura tradizionalmente presente in quasi tutte le civiltà, le religioni, la storia stessa dell’umanità è quella che l’acqua costituisce un “bene comune”, una risorsa che appartiene alla comunità mondiale, cioè all’umanità. L’acqua è infatti fonte di vita proprio perché di fatto, senza acqua non c’è vita.

Questa affermazione costituisce una convinzione comune che storicamente ha determinato due livelli di comportamenti: da parte della comunità internazionale quella di considerare l’accesso all’acqua come un diritto umano de facto e a livello sociale, la convinzione che l’acqua è un bene comune, da cui la prassi di non negare un bicchiere d’acqua a nessuno.

graficaL’acqua costituisce pertanto un bene indisponibile, una risorsa che appartiene a tutti gli esseri viventi, un patrimonio di cui gli Stati/Nazioni si sono fatti e si fanno garanti verso i loro cittadini.

Certamente nella storia si sono registrate e si registrano situazioni differenziate e disuguaglianze rispetto alla possibilità di accesso all’acqua per tutti.
Alcune delle cause di disuguaglianze sono di natura ambientale, ma altre hanno specifiche responsabilità politiche ed umane.

E’ la comunità internazionale che non ha finora sancito il diritto all’acqua fra i diritti fondamentali e vuol far credere che il mancato accesso dipende dalla mancanza di risorse finanziarie o dalla eccessiva crescita demografica. In realtà garantire l’accesso all’acqua è un scelta politica. E’ una questione ideologica, è una sfida di civiltà.

Un sfida che alla fine del XIX secolo tutti i principali governi dei Paesi più industrializzati, (Stati Uniti, Regno Unito, principali Paesi europei) hanno saputo affrontare con massicci investimenti pubblici che hanno consentito di realizzare i sistemi fognari e di depurazione dell’acqua, la costruzione di acquedotti e reti di distribuzione, portando acqua e servizi igienici nelle case. Consapevoli che le malattie associate all’acqua ed ai servizi igienico-sanitari, erano alla base della qualità della vita e del benessere collettivo in Europa, i principali Paesi industrializzati hanno fatto in 30 anni gli investimenti necessari per garantire l’accesso all’acqua per tutti.

Ma a questa cultura della “res-pubblica” e dello Stato come garante dell’accesso ai fondamentali diritti umani per tutti si contrappone oggi, in questo XXI secolo, la cultura della delega al “privato” e quindi la prassi di non considerare l’acqua come un patrimonio delle comunità locali e della comunità internazionale (umanità) ma come una semplice merce.
La cultura oggi dominate, in questa fase di globalizzazione, è quella di ritenere l’acqua come un bene economico, l’accesso all’acqua un bisogno individuale, un servizio da erogare a consumatori “solventi”.

Nonostante la terra sia composta per 2/3 dall’acqua cosi come il corpo umano, la prassi prevalente è quella di considerare l’acqua come un “bene comune” solo a livello di dichiarazioni retoriche in occasioni di conferenze e convenzioni internazionali.
Sottratta alla sovranità degli Stati ed alla gestione delle comunità locali, presso le quali l’acqua è sempre stata tradizionalmente considerata un bene naturale, sacro e comune, l’acqua resta in termini di principio un “bene comune” solo quando cade sul pianeta sotto forma di pioggia. Cessa però di essere un bene comune nel momento in cui viene raccolta, estratta, trattata per essere erogata per usi civili, agricoli e industriali.
Contrastare questa cultura di mercificazione dell’acqua, di privatizzazione della sua gestione e di finanziarizzazione dell’accesso all’acqua, costituisce la finalità proposta dal Manifesto per un Contratto Mondiale dell’acqua lanciato a Lisbona nel 1998 e del Comitato italiano per il Contratto Mondiale dell’acqua.

Il riconoscimento formale del diritto umano, universale, all’acqua per tutti, da parte delle Nazioni Unite e l’inserimento di questo diritto nella Di chiarazione dei Diritti Umani e nelle costituzioni dei singoli Stati, il riconoscimento dello status dell’acqua come bene comune pubblico, patrimonio dell’umanità e di tutte le specie viventi associato al finanziamento pubblico degli investimenti necessari per garantire l’accesso all’acqua per tutti, costituiscono infatti gli obbiettivi alla base della sfida culturale lanciata dieci anni fa da un gruppo di economisti, coordinati da Riccardo Petrella, con il Manifesto per un Contratto Mondiale dell’Acqua.

Successivamente questa proposta è stata assunta come paradigma di riferimento da parte dei Comitati, a sostegno del Manifesto, che si sono costituiti nei vari Paesi dell’Europa e del mondo tra i quali il Comitato italiano per il Contratto Mondiale dell’acqua diventata una Onlus nel marzo del 2000, ma già informalmente operativo dal 1998 (www.contrattoacqua.it).
Oggi a distanza di 10 anni dal lancio del Manifesto, il riconoscimento dell’accesso all’acqua come diritto sulla base di un contratto o convenzione sottoscritta dalla comunità internazionale, la mobilitazione contro i processi di privatizzazione, costituiscono obiettivi condivisi da diverse centinaia di movimenti ed associazioni impegnati a difesa dell’acqua nei 4 continenti (Europa, Africa, Asia ed America Latina).
La concretizzazione di questi obiettivi possibilmente entro il 2010, rappresenta la sfida culturale e politica che 
i Comitati aderenti al Contratto Mondiale sull’acqua ed i vari Movimenti impegnati a difesa dell’acqua sono riusciti, soprattutto nel corso degli ultimi cinque anni, a mettere al centro delle priorità dell’agenda politica e quindi del rapporto con la politica, i parlamenti, a livello nazionale ma anche europeo.

Una sfida che di fronte al raddoppio dei consumi individuali e per uso produttivo, ai crescenti livelli di inquinamento ed agli sconvolgimenti determinati dagli effetti climatici, è destinata ad assumere una rilevanza crescente.
Si rende quindi necessario promuovere ed attuare, nell’arco dei prossimi anni, una cultura ed una politica di governo e di gestione dell’acqua, a livello locale come mondiale, fondata sulla formalizzazione del diritto umano all’acqua e sulla sua salvaguardia come bene comune.
Alla luce di queste sfide culturali e politiche, quali sono i risultati che il Comitato italiano per un Contratto Mondiale ed il Movimento dell’acqua sono riusciti a conseguire a distanza di 10 anni dalla redazione del Manifesto di Lisbona? Vediamo di tracciare un bilancio di questa esperienza.

Una nuova narrazione sull’acqua: la sfida del Contratto Mondiale
La prima sfida lanciata dal Comitato italiano e dai Movimenti a sostegno del Contratto Mondale è di tipo politico e consiste nel concretizzare il “diritto all’acqua potabile e sana” per tutti gli abitanti del Pianeta.
Se l’acqua è fonte di vita è ovvio che l’accesso all’acqua ad ogni essere umano deve essere garantito.
Se l’umanità è composta da esseri umani ed esseri viventi, e l’acqua costituisce la componente essenziale per la loro sopravvivenza è chiaro che l’accesso all’acqua vada inserita fra i diritti umani fondamentali.

graficaRiconoscere l’acqua come un diritto umano significa riconoscere la possibilità a tutti cittadini, indipendentemente dalla cittadinanza di avere accesso ad un minimo garantito che il Manifesto propone in 50 litri/giorno. Riconoscere l’acqua come bene comune significa sottrarre quindi la gestione al mercato, la possibilità di partecipare nei rispettivi territori da parte dei cittadini alle decisioni inerenti la gestione dell’acqua, cioè un governo complessivo degli usi e dei consumi ispirato non al mercato ma a principi di solidarietà, di condivisione, di salvaguardia e precauzione. L’acqua è sinonimo di democrazia e governare l’acqua significa attivare strumenti di democrazia partecipativa e responsabilità sociale.
Contrastare la cultura politica dell’acqua come merce, promossa dalle principali imprese multinazionali e condivisa dalle classi politiche di diversi Paesi del mondo, fa assumere al dibattito sui modelli di gestione e di governo delle risorse idriche, in Italia come in Europa ed a livello mondiale, le caratteristiche di un sfida epocale, una sfida di civiltà che se sarà persa potrà incidere pesantemente sulle pacifica convivenza delle future generazioni sul pianeta Terra. Concretizzare il diritto allpotabile per tutti gli abitanti del pianeta Terra, non fra 50 -100 anni, ma entro una generazione, cioè al più tardi entro il 2025, deve diventare un preciso impegno di cui la comunità internazionale deve farsi carico.

La seconda sfida lanciata dal Comitato italiano è stata quella di contrastare i processi di privatizzazione e quindi di riaffermare la ridefinizione dell’acqua come un “bene comune pubblico da salvaguardare e promuovere come un patrimonio dell’umanità e di tutte le specie viventi”. La cultura proposta dai gruppi e dalla cultura dominante è stata quella di voler considerare l’acqua come un bene economico competitivo, una risorsa da gestire secondo le regole dell’economia capitalistica di mercato.
La tendenza a promuovere la partecipazione degli investitori privati nel settore dell’acqua ha preso il via alla fine del 1980 ed è stata la diretta conseguenza di un piano intellettuale di principi che sono stati formulati in occasione della Conferenza internazionale dell’acqua di Dublino (1992). In particolare il principio che l’acqua, utilizzata per molteplici fini, ha un valore economico e quindi dovrà essere considerata come un bene economico. E’ sulla base di questi presupposti che le principali imprese multinazionali europee si sono lanciate nei processi di privatizzazione del settore dell’acqua in America Latina, in Africa ed in Asia, concentrando le loro attività soprattutto nei Paesi a medio reddito e nelle zone urbane più densamente popolate.

Questa corsa al trasferimento della gestione dei servizi idrici ad imprese private ha trovato una tacita formalizzazione da parte della comunità internazionale con l’approvazione della Dichiarazione finale del 2° Forum mondiale dell’Aja (marzo 2000), che ha sancito la trasformazione dell’accesso all’acqua da diritto umano in un bisogno individuale che ciascuno deve soddisfare secondo il proprio potere di acquisto.
Un passaggio che successivamente, attraverso i Forum Mondiali sull’acqua del 2003 e del 2006, promossi dal Consiglio Mondiale dell’acqua, struttura privata finanziata dalle imprese multinazionali, ha portato a delegare la gestione dei servizi idrici, cioè l’accesso all’acqua, alla logica del mercato competitivo e soprattutto a quella dei mercati finanziari.
L’affidamento della gestione degli acquedotti alle imprese private è stata proposta come la soluzione vincente per raggiungere due fondamentali obiettivi: favorire l’accesso ad un buon servizio ad un maggior numero di persone e reperire le risorse necessarie per garantire agli utenti un servizio efficiente e concorrenziale.

Questi presupposti si sono dimostrati fallimentari. Nei Paesi del Sud l’intervento del settore privato dell’acqua è entrato in conflitto nella misura in cui le politiche conflittuali hanno preso il sopravvento sulle politiche sociali locali. Inoltre le imprese private hanno privilegiato la loro azione nella gestione dei grandi progetti i cui budget di investimento erano superiori ai 100 milioni di dollari e la realizzazione dei servizi idrici nelle città con più di un milione di abitanti e categorie sociali con redditi medio-alti.
Il risultato fallimentare è drammaticamente dimostrato dalla constatazione che ancor oggi più di 1,3 miliardi di persone non hanno accesso a fonti di acqua potabile e oltre 2,6 miliardi di persone non dispongono ancor oggi di servizi sanitari adeguati.
Nonostante questi insuccessi, il terzo Forum Mondiale dell’Acqua, è stato trasformato in una occasione per rilanciare il ruolo delle imprese private come il soggetto più efficiente per raggiungere gli obiettivi del millennio per lo sviluppo (OMD) e dall’altro per attivare meccanismi di tutela e riduzione dei rischi di investimento delle imprese multinazionali nei Paesi in via di sviluppo.

I nuovi propositi che vengono rilanciati nell’ambito degli obiettivi del Millennio vengono ridimensionati all’impegno a garantire entro il 2015 l’accesso all’acqua potabile a solo 270.000 persone sul 1,3 miliardi di persone. Questa proiezione si fonda sul fatto che nel corso degli ultimi 10 anni le imprese private sono state capaci di fornire l’accesso all’acqua soltanto a 900 persone al giorno.

A questa filosofia il Contratto Mondiale sull’acqua ed i vari Movimenti hanno saputo contrapporre una progettualità alternativa elaborata attraverso la realizzazione dei Forum Mondiali Alternativi realizzati, a partire nel 2003 a Firenze, nel 2005 a Ginevra, cioè in contemporanea con i Forum promossi dal Consiglio Mondiale sull’acqua.
La proposta di passare da una cultura della gestione mercantile di beni, trasformati in “servizi”, ad una nuova politica e quindi ad un modello di sviluppo fondato su un governo condiviso e solidale dell’accesso ai beni comuni concepiti come “diritti umani”, costituisce una sfida “politica”, profondamente provocatoria, che il Movimento per l’acqua ha saputo lanciare ai partiti, al mondo sindacale, alla Chiesa, ai Parlamenti nazionali e soprattutto ai sostenitori del “mercato” come strumento di redistribuzione di ricchezza e di opportunità di accesso a diritti soggettivi equiparati a bisogni.

La terza sfida lanciata dal Comitato italiano e dal Contratto Mondiale dell’acqua è quella di sollecitare un governo pubblico dell’acqua fondato sulla partecipazione dei cittadini e delle comunità che devono farsi carico della mobilitazione delle risorse pubbliche necessarie per garantire l’accesso all’acqua per tutti.
La cultura e l’atteggiamento oggi prevalente è invece quello di considerare come una fatalità il fatto che oggi un miliardo e mezzo di persone non ha accesso all’acqua e di pensare che non è compito degli Stati nazione e della Comunità Internazionale, attraverso le Nazioni Unite, di mettere a disposizione le risorse per garantire l’accesso all’acqua per tutti, tramite strumenti di fiscalità generale e specifica.
Conseguentemente la pratica politica e sociale è quella di stimolare gli investimenti privati e dei mercati finanziari, di annullare la tutela dei diritti attraverso la nozione di Stato sociale, di welfare mondiale e condividere la trasformazione dei cittadini titolari di diritti in semplici consumatori ed utenti di servizi.

Dopo la mercificazione dell’acqua, dopo la privatizzazione della risorsa che sta concentrando la gestione in 6/7 grandi sorelle multinazionali dell’acqua, la nuova tendenza è quella della finanziarizzazione dell’acqua, cioè di affidare ai mercati finanziari la gestione della risorse idriche e di trasformare l’acqua in una bene sul quale è possibile fare speculazione finanziaria attraverso i Fondi di Investimento garantendo agli investitori alti livelli di remunerazione.

La causa del mancato accesso all’acqua potabile da parte di quel miliardo e mezzo di persone non risiede infatti nella mancanza di acqua nelle rispettive regioni, ma nelle crescenti condizione di povertà che non consentono alla maggioranza dei cittadini di accedere ai diritti fondamentali, come quello all’acqua, alla salute, trasformati in servizi erogati solo a cittadini “solventi”.

Questo approccio è pericoloso, perchè come ha denunciato lo stesso Rapporto UNDP i poveri aumentano al Nord come al Sud, nei paesi industrializzati come nei paesi poveri e questa massa crescente di “esclusi” rischia di essere la polveriera del XXI secolo. L’accesso all’acqua è oggi sempre di più indipendente dalle latitudini e legata allo status sociale dei cittadini; la crescita della povertà nelle varie parti del mondo sta di fatto accrescendo il numero di coloro che non hanno accesso all’acqua: “più sei povero, più ti costa l’accesso all’acqua”.
La povertà assoluta può essere sradicata dal pianeta terra. Allo stesso modo, se l’acqua diventa rara, quindi più cara, ciò è dovuto alle nostre scelte politiche e alla assenza di buone pratiche in materia di usi e di consumo.

Sono i nostri comportamenti di spreco della risorsa, associati alle conseguenze dei cambiamenti climatici, anch’essi di natura antropica, che determineranno di fatto, nei prossimi decenni, un aumento della rarefazione dell’acqua dolce disponibile sul Pianeta. Questa rarefazione associata alla crescita di chi non potrà pagare l’accesso all’acqua condurrà a guerre idriche delle quali noi saremo responsabili. Ma è possibile evitare questi conflitti se, e solo se, ogni comunità locale sarà capace di assumersi le proprie responsabilità.


I risultati raggiunti
La cultura di mercificazione dell’acqua e di privatizzazione dei servizi e la conseguente delega al mercato è il frutto delle politiche praticate ed imposte, a livello mondiale, da soggetti istituzionali finanziari come la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale che hanno subordinato la concessione dei finanziamenti alla accettazione dei programmi di privatizzazione all’apertura ai processi di privatizzazione da parte dei Paesi beneficiari.
A livello Europeo è opportuno ricordare che la Commissione europea ed il Consiglio dei Ministri dell’Europa sono fra gli attori più agguerriti della liberalizzazione dei servizi idrici e ciò è dovuto al fatto che nove delle dieci imprese private multinazionali, specializzate nella gestione dei servizi idrici e della depurazione, sono europee.

graficaSulla base di queste pressioni, a livello europeo, si è andata affermando la convinzione che i servizi idrici debbano essere considerati come servizi commerciali, cioè di tipo industriale e come tali da delegare al mercato, il solo in grado di garantire una gestione efficiente, trasparente e tariffe più basse in funzione della concorrenza e della capacità di reperire sui mercati finanziari le risorse necessarie.
Contrastare la deriva culturale finalizzata ad affermare che l’acqua è una merce, ed i servizi idrici sono commerciali è stato quindi il primo obiettivo politico e culturale che il Comitato Internazionale e quello Italiano per il Contratto mondiale sull’acqua si sono dati nel corso di questi anni.

L’acqua è vita ed al pari della vita è sacra. Allo stesso modo i servizi idrici sono dei servizi comuni pubblici, nella misura in cui essi riguardano il diritto umano alla vita (accesso all’acqua potabile ed ai servizi sanitari) e costituiscono un bene vitale ed insostituibile per la sicurezza dell’esistenza collettiva.
Alcuni importanti risultati sono stati raggiunti nel corso di questo primo decennio del XXI secolo da parte del Contratto Mondiale sull’acqua rispetto a queste sfide.
Un primo risultato, anche se debole, è stato conseguito all’interno della direttiva europea 60/2000, il primo strumento con cui la Commissione ha introdotto il principio dell’acqua come servizio commerciale, il cui costo deve essere ricoperto dalla tariffa. Il Contratto Mondiale è riuscito infatti ad introdurre a precisazione che "l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale".

Un ulteriore passo avanti è stato fatto con il pronunciamento da parte del Parlamento contro i processi di privatizzazione delle risorse idriche che “non possono essere imposti ai Paesi in via di sviluppo” (Risoluzione del 25.3.2003). Un terzo successo è stato registrato l’11 marzo del 2004. L’azione esercitata dal Contratto Mondiale ha ottenuto che il Parlamento europeo rigettasse la proposta del rapporto Miller ("strategia per il mercato interno - priorità 2003 - 2006") ed approvasse (al paragrafo 5) il principio che "essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno”.

Infine nel marzo del 2006, in occasione del 4° Forum Mondiale dell’Acqua di città del Messico, il Contratto Mondiale è riuscito a far riconoscere dal Parlamento Europeo che “l'acqua è un bene comune dell'umanità e come tale l'accesso all'acqua costituisce un diritto fondamentale della persona umana”. Nell’ambito della stessa risoluzione il Parlamento ha chiesto “che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l'accesso all'acqua alle popolazioni più povere entro il 2015” e infine “che l'Unione europea e i suoi Stati membri propongano, nel quadro delle Nazioni Unite, l'elaborazione di un trattato internazionale sull'acqua e la gestione delle risorse idriche che riconosca il diritto all'accesso all'acqua potabile”.

Questi importanti riconoscimenti, sul piano dei pronunciamenti del Parlamento europeo, associati al fatto che anche il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite già nel 
2003 aveva affermato “che il diritto all’acqua è indispensabile per la vita e la salute”, rappresentano alcuni importanti successi rispetto alla tre contro-sfide che il Contratto Mondiale ed i Movimenti sono stati capaci di lanciare alla cultura dominante.
La battaglia è tutt’altro che vinta soprattutto a livello europeo. Non ci si può dimenticare che i principi sanciti dalla Carta di Lisbona (art. 1 e 2) ed alla base del Trattato della Unione Europea, restano quelli di una Europa che si propone di diventare un “mercato altamente competitivo che tenda al progresso sociale”. Mercato e competitività sono i due principi cardini sui quali sono state finora definite tutte le politiche e le direttive europee. Sono queste direttive che hanno puntato all’affermazione delle logiche del mercato interno, quindi alla tendenza a trasformare i servizi pubblici di interesse generale, e come tali gestiti e garantiti dallo Stato e dagli enti locali, in servizi di rilevanza economica da affidare in gestione ai privati secondo le leggi del libero mercato.

La sfida che il Contratto Mondiale sull’acqua ha saputo progettare, è stata quella di portare il dibattito politico e la riflessione sul governo pubblico dell’acqua come diritto umano e dei servizi idrici come servizi pubblici, all’interno dello stesso Parlamento europeo. Questa sfida è stata lanciata nel marzo del 2007 attraverso la realizzazione nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles della 1° Assemblea mondiale dei cittadini e degli eletti per l’acqua (AMECE) .

L’assemblea si è conclusa con una Dichiarazione finale che ha registrato l’impegno del Commissario europeo per lo sviluppo Louis Michel e dei membri di diversi Gruppi politici del Parlamento per la concretizzazione dei quattro obiettivi che costituiscono le sfide mondiali dell’acqua. Va inoltre ricordato cha accanto agli impegni della Commissione, il Ministro Federale Belga alla cooperazione ed i Ministri dell’Ambiente di tre regioni del Belgio, unitamente al Ministro Boliviano dell’acqua, alla Vice Ministra agli Affari Esteri Patrizia Sentinelli e del Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, a nome del Governo italiano hanno assunto l’impegno di promuovere una iniziativa politica internazionale per far riconoscere il diritto all’acqua da parte della Consiglio dei Diritti umani delldell’ONU in occasione del 60° anniversario – nel 2008 – della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Sempre nell’ambito del riconoscimento del diritto all’acqua è opportuno ricordare che a livello dei singoli Stati, i Movimenti e le principali espressioni organizzate della società civile sono stati capaci di raggiungere, sui rispettivi territori, attraverso referendum e processi di mobilitazione, alcuni successi rispetto al riconoscimento costituzionale del diritto all’acqua.
Positivi risultati rispetto alla formalizzazione sono stati raggiunti in alcuni Paesi dell’America Latina come la Bolivia, l’Uruguay, l’Argentina ma anche in Europa. In alcuni casi le azioni sono state intraprese per iniziativa degli stessi governi, come nel caso del Belgio, dell’Olanda, in altri imposti tramite referendum e consultazioni popolari, come nel caso dell’Uruguay e della Bolivia e dei principali Cantoni della Svizzera, dove i cittadini hanno chiesto che il diritto all’acqua fosse inserito nelle Carte costituzionali e negli statuti federali.

Sul fronte italiano il Comitato italiano e l’insieme dei comitati a sostegno delle vertenze territoriali, che hanno dato vita a partire dal 2006 alla nascita del Forum italiano dei Movimenti dell’acqua, hanno saputo raggiungere alcuni importanti risultati.
A livello nazionale, grazie alle pressioni esercitate sui partiti nel programma dell’Ulivo, il Governo Prodi si è impegnato a garantire il principio che proprietà e gestione dei servizi devono restare pubblici. Questo impegno ha fatto si che i servizi idrici siano rimasti esclusi dai provvedimenti di liberalizzazione contenuti nel decreto Bersani e da quelli di regolamentazione dei servizi pubblici locali contenuti nel Decreto Lanzillotta.
Per stimolare il Governo a sancire con nuova legge quadro questi principi ed il riconoscimento del diritto all’acqua, il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua si è fatto carico, di redigere una proposta di legge di iniziativa popolare che è stata supportata da una Campagna di raccolta firme (oltre 400.000) ed è stata depositata il 
10 luglio del 2007 in Parlamento, dove ha avviato il suo iter legislativo presso la Commissione Ambiente.
Sempre sul fronte nazionale è importante ricordare dapprima la proroga al 31 dicembre del 2007 per la scelta da parte degli Ambiti territoriali Ottimali dei modelli di affidamento dei servizi idrici, ed infine nel dicembre del 2007, la “moratoria”, contenuta all’interno della legge finanziaria che sospende per un anno, in attesa della revisione della disciplina sui servizi idrici, tutti i nuovi affidamenti dei servizi idrici e tutte le procedure in corso alla data di entrata del provvedimento. In funzione di questi provvedimenti, il 2008 si presenta quindi come un anno decisivo e determinante rispetto alla definizione, da parte del Governo e del Parlamento di un nuova Legge Quadro che accolga il principio del riconoscimento dell’acqua come diritto umano e l’accesso ai 50 litri individuali con costi a carico della fiscalità generale, il governo e la gestione pubblica dell’acqua, la ripubblicizzazione dei servizi idrici, là dove sono stati affidati a privati.
Ma i più importanti risultati sono stati raggiunti attraverso la partecipazione e mobilitazione territoriale. In alcune regioni italiane, sotto la pressione dei diversi comitati di cittadini per l’acqua, presenti in quasi tutte le città, anche i sindaci si sono mobilitati per contrastare l’accelerazione dei processi di privatizzazione attivati dalle Regioni o dalla Province a livello di ambiti territoriali.

In Lombardia infatti oltre 100 sindaci hanno promosso un Referendum abrogativo della legge regionale lombarda che impone l’affidamento tramite gara. In Puglia diversi comuni hanno dato vita sotto il coordinamento della Provincia di Bari ad un coordinamento di enti locali a sostegno della legge nazionale di ripubblicizzazione dei servizi idrici. In Sicilia, come in Campania, nel Lazio, diversi sindaci si sono mobilitati nell’ambito delle Assemblee di ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) ed hanno contrastato decisioni finalizzate all’affidamento a privati dei servizi idrici.
Accanto alle azioni istituzionali, il Comitato italiano ha promosso e sviluppato anche iniziative specifiche sul fronte del coinvolgimento dei cittadini al fine di accrescere la responsabilità verso gli usi ed i consumi dell’acqua potabile di rubinetto e percorsi educativi. Nel corso del 2006 il Comitato italiano si è inoltre fatto promotore della Campagna “I Portatori d’Acqua”.

Attraverso il coinvolgimento di cittadini, istituzioni, invitati a sottoscrivere i principi della Carta dei Portatori d’Acqua, questa Campagna ha puntato a far mettere in atto comportamenti responsabili rispetto agli usi e consumi individuali proponendo delle buone pratiche dell’acqua e, da parte delle istituzioni, la difesa di modelli di gestione, l’attivazione di strumenti di solidarietà e di partecipazione.
Le categorie sociali coinvolte sono state i singoli cittadini, gli insegnanti e gli operatori della formazione, gli amministratori degli Enti locali. Ciascuno può aderire alla Campagna iscrivendosi tramite il sito www.portatoridacqua.it e sottoscrivere gli impegni di cui intende farsi carico e che dovrà dimostrare di aver realizzato.

La campagna "Portatori d’acqua" si propone infatti di sostenere, a partire dal “locale”, cioè dai territori, dalla vita quotidiana, una nuova cultura ed un impegno politico sull'acqua attraverso assunzione di comportamenti responsabili da parte dei singoli cittadini, degli enti ed istituzioni locali.
Individualmente o come cittadino organizzato, ogni aderente può diventare un Portatore d’acqua impegnandosi a mettere in atto comportamenti responsabili rispetto agli "usi e consumi dell’acqua" quotidiani oppure stimolarli nel proprio contesto lavorativo o da parte delle istituzioni locali.

Istituzionalmente Enti locali, Società ed Aziende di gestione dei servizi idrici possono diventare "Portatori d'acqua" nella misura in cui, sottoscrivendo la Carta dei Portatori d'acqua, si impegnano a realizzare le proposte per governo pubblico e partecipato dell'acqua, una gestione efficace che riduca le perdite e promuova il consumo dell’acqua di rubinetto, e l’adozione di strumenti di solidarietà per garantire l’accesso all’acqua a chi non c’è l’ha. Scuola, Università, possono diventare "Portatori d'acqua” realizzando percorsi e progetti di approfondimento sui temi dell’acqua (ricerche, mostre, saggi, etc.) o azioni di gemellaggio a livello di progetti per garantire l’accesso all’acqua a ragazzi dei Paesi poveri che non possono frequentare le scuole perché costretti a fare i portatori/portatrici di taniche di acqua.

Operatori del mondo dello spettacolo, della cultura possono diventare “Portatori d'acqua” nella misura in cui riescono con la loro creatività artistica a promuovere il coinvolgimento dei cittadini, a suscitare interesse e curiosità da parte di fasce e categorie sociali.
L’insieme di queste “buone pratiche” vuole essere un contributo, a livello di cittadinanza, rispetto all’obiettivo di garantire concretamente a tutti, entro il 2015, l'accesso all'acqua potabile. L’acqua richiede che il pianeta debba diventare il simbolo della vita per tutti, la fonte del "vivere insieme" pacificamente.

Il Comitato italiano ritiene infatti che sia necessario imporre ai Governi, alla politica, alle Istituzioni Internazionali, l’onere di farsi carico di un nuovo progetto politico di “bene comune“, inteso non come sommatoria di politiche differenziate a tutela dei diritti individuali, ma come un nuovo progetto e modello di regole e di sviluppo che pone al centro la vita (non il profitto) ed il vivere insieme (non il mercato).

I Movimenti e le espressioni organizzate della società civile, di ogni comunità locale intesa come insieme di cittadini e di valori, devono diventare i motori di questo risveglio delle comunità. E’ questa la sfida che l’acqua fonte di vita richiede a ciascuno di noi. E’ a partire dai processi di partecipazione delle comunità dei cittadini intorno all’acqua, all’energia, alla scuola, all’ambiente che è possibile ricostruire nuovi modelli del sociale, di mercato, di economia, di difesa e salvaguardia dell’ambiente e quindi una vera politica dei ”beni comuni” premessa per una pacifica convivenza delle future generazioni sul Pianeta Terra.