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Copertina della rivista

Immagine: Bicchiere d'acqua con ghiaccio

 

Il lavoro del Parlamento italiano a supporto dei saperi tradizionali e dell'acqua come bene comune

La sfida sarà quella di dare seguito alle parole di Romano Prodi, pronunciate all'ultima sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU dedicata ai cambiamenti climatici. In quell'occasione il Presidente del Consiglio dichiarò: "Il Governo italiano, come uno dei principali donatori alle istituzioni internazionali per i programmi per l'acqua e la lotta alla desertificazione, ha chiesto il riconoscimento dell'acqua come bene comune e che l'accesso all'acqua sia dichiarato diritto umano inalienabile".



Il 14 giugno 2007 la Commissione Esteri del Parlamento ha approvato all’unanimità, con le firme di tutti i partiti presenti, una risoluzione che si inserisce nel Quadro della Convenzione ONU contro la Desertificazione (UNCCD). La Convenzione affronta anche il problema della scarsità d’acqua, pur non essendo ancora divenuta uno strumento attuativo in grado di porsi degli obiettivi misurabili per quanto concerne, ad esempio, il miglioramento dell’accesso all’acqua. La risoluzione del 14 giugno impegna comunque il Governo ad avviare il processo negoziale per arrivare a stipulare un accordo internazionale - presumibilmente un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione ONU contro la Desertificazione – in cui sia chiara, tra le altre tematiche, la questione dell’accesso all’acqua in termini di definizione dei suoi usi prioritari e di gestione transnazionale delle risorse idriche.

Un'altra iniziativa interessante in tal senso sarebbe quella di coordinare tutti gli strumenti internazionali, nella fattispecie la UNCCD, la Convenzione sui cambiamenti climatici (UNCCC) e la Convenzione sulla tutela della biodiversità (UNCBD), per ottenere un’azione sinergica a livello di diritto e di Direttive internazionali, in modo da potere ridurre il degrado del suolo ed ottenere una maggiore diffusione della gestione sostenibile delle risorse idriche e come strumento principe nella lotta alla desertificazione.

È in questo quadro, infatti, che si deve inserire l’impegno a sostenere il recupero delle tecnologie tradizionali nella gestione e nella conservazione dell’acqua, partendo dal presupposto che i cambiamenti climatici in atto devono essere fronteggiati con impegni atti a mitigare e ridurre le immissioni, come prevede il Protocollo di Kyoto, ma anche con nuove modalità di gestione della risorsa idrica - e non solo nei Paesi in via di sviluppo. Non è poi da trascurare il fatto che la nostra risoluzione impegna il Governo a sostenere l’acqua come bene comune e come diritto umano in tutte le sedi, nazionale ed internazionali, perciò lo chiama ad astenersi da ogni tipo d’iniziativa che favorisca la privatizzazione della gestione e dell’accesso all’acqua.

L'ultimo (ma non per importanza) impegno concreto che il Governo si è assunto accogliendo la risoluzione è quello di sostenere la creazione di un centro di eccellenza internazionale per i saperi tradizionali nella gestione delle risorse idriche. Ciò si è concretizzato con il Centro internazionale sulle conoscenze tradizionali, nato principalmente grazie al sostegno della Regione Toscana e del Ministero degli Esteri.

Senza dimenticare che a settembre si è svolta a Madrid la conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione contro la desertificazione. In quella sede il Vice Ministro per la cooperazione, l’On. Patrizia Sentinelli, ha proposto l’Italia come sede di una Conferenza internazionale da tenersi nel 2008, al fine di costruire un sostegno internazionale per il riconoscimento del diritto all’acqua come bene comune e diritto umano. Naturalmente si tratterà anche di definire il diritto all’accesso all’acqua, nella quantità necessaria a garantire la sopravvivenza non solo delle persone, ma di tutti gli organismi viventi, nonché di stabilire delle garanzie nella gestione dell’acqua per le politiche pubbliche e private che verranno messe in atto.

Questo è sicuramente un primo passo incoraggiante e il Vice Ministro Sentinelli ha riferito, in Commissione, che anche in sede europea tali obiettivi hanno raccolto interesse e sostegno da parte di molti. Il Portogallo, la cui Presidenza dell’Unione Europea si è appena conclusa, aderisce alla Convenzione, condividendone tutti gli obiettivi – non a caso, dato che il Portogallo è toccato da fenomeni di desertificazione, così come l'Italia. Credo pertanto che ci sia finalmente uno spazio concreto per dare un impulso forte e credibile alle politiche di gestione sociale dell’acqua.

Non bisogna dimenticare che esistono tuttora forti dissensi a livello internazionale per quanto riguarda la gestione della risorsa idrica. Basti pensare che a Città del Messico, alla Conferenza Mondiale sull’acqua del 2006, il rappresentante della Banca Mondiale ha avvertito i paesi indisponibili alla privatizzazione dei propri servizi idrici che non avrebbero più avuto accesso ai programmi di aiuto della Banca. Fortunatamente la risposta dell’Italia e della Norvegia è stata molto netta: a gennaio dell'anno scorso questi due paesi sono usciti dal fondo della Banca Mondiale che gestisce i programmi di privatizzazione dell’acqua. Un passo che dovrebbe contribuire ad un atteggiamento più conciliante all'interno della Banca stessa.

Come si vede, idee che all'epoca del primo Social Forum di Porto Alegre potevano sembrare quasi marginali, o comunque patrimonio esclusivo del movimento antiglobalizzazione, di una cultura lontana dalle politiche dei maggiori governi del mondo, si sono fatte strada all’interno di alcune istituzioni internazionali e anche tra i governi europei. Ritengo, dunque, che ci siano buone chances di fare prevalere un approccio nuovo e diverso, quello, per esempio, che è stato alla base della straordinaria raccolta di firme per la proposta di legge di iniziativa popolare del 14 giugno 2007 a sostegno dell'acqua come bene pubblico. Si è trattato di un movimento importante, e anche affascinante, che ha portato alla mobilitazione di quasi mezzo milione di persone che si sono attivate, lontane dai grandi media e della televisione, a sostegno di un’idea in larga misura ignorata dall’agenda politica nazionale. Le amministrazioni locali, da tempo mobilitate su questo tema, hanno contribuito anche loro in modo importante ad un ripensamento per quanto riguarda l'acqua come bene pubblico.

Vorrei infine raccontare un’esperienza che ho vissuto in qualità di parlamentare e che mi ha consentito di verificare l’importanza di questo nuovo approccio nelle politiche di gestione dell’acqua. È stata una visita nel Darfur, in Sudan. Il Darfur, com’è noto, è martoriato da un tremendo conflitto che dura da anni: si calcola, per difetto, che abbia ucciso più di duecentomila persone e costretto alla migrazione più di due milioni. Sorvolando il Darfur con un aereo di trasporto militare, abbiamo potuto vedere nitidamente le cicatrici sul suolo portate dal conflitto, ma anche quelle portate dalla desertificazione, che molto probabilmente è una delle concause della guerra.

Il Darfur è situato nella regione del Sahel, una delle regioni dove il cambiamento climatico si percepisce in modo molto duro, forse più che in qualsiasi altro posto al mondo, e la desertificazione è evidente. Desertificazione nel senso di degrado ambientale, in parte climatico e in parte promosso dall’uomo, in una spirale che si autoalimenta e in cui la vegetazione è aggredita sia dallo sfruttamento che dalla mancanza dell’acqua. Secondo le statistiche dell'UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, in quella parte del Sudan le precipitazioni si sono ridotte del 30% negli untimi ottant'anni, mentre l’avanzamento del deserto procede al ritmo di 100 Km ogni quarant’anni. Ciò significa che in una fascia enorme di territorio non è più possibile la vita umana così come era stata praticata nei secoli - e cioè con agricoltura e attività di pastorizia che convivevano in un delicato anche se non sempre pacifico, equilibrio.

Mancando oggi le risorse d’acqua, gli agricoltori si accalcano nelle poche zone restanti in cui è ancora possibile coltivare, ma ciò crea la reazione dei pastori che da sempre portavano i greggi negli stessi luoghi. Purtroppo, i meccanismi di mediazione tradizionali, in uno stato critico come questo, non funzionano più e rischiano il collasso. I wadi, le zone dove l’acqua viene raccolta dalla formazione del terreno, cioè dove ci sono le fonti, sono fortemente erosi, ma anche aggrediti da un eccesso di presenza animale, poiché i posti dove gli animali possono fermarsi sono sempre meno numerosi. In questo contesto così compromesso, bastava una scintilla per scatenare un conflitto o, meglio, più conflitti: basti pensare che anche il Ciad e la Repubblica Centrafricana, che condividono lo stesso ambiente si trovano nella stessa situazione di conflitto endemico.

In questo contesto è illusorio pensare che l’intervento dei soldati della forza multinazionale che ha cominciato a dispiegarsi porti, da sola, alla pacificazione. La presenza militare dovrà essere accompagnata da nuove politiche di gestione del territorio, di restauro delle zone dove l’acqua veniva raccolta e di ripristino della vegetazione, dell’agricoltura e della pastorizia, da condursi in modo più sostenibile. Bisogna inoltre tener presente che la foresta in quella parte del Sudan è stata compromessa a causa dell’attività umana, a tal punto che dagli anni ’70 ad oggi un terzo è scomparso e il resto potrebbe scomparire nei prossimi 10 anni.

Alla luce di quest’esempio ritengo particolarmente utile un nuovo approccio e nuove azioni che la politica e la cooperazione decentrata stanno già mettendo in atto. Di recente la rivista americana Newsweek ha dedicato la propria copertina alla cooperazione, con il titolo “Healing the world”. Tra i servizi sono rimasta colpita da un articolo sui progetti di cooperazione nei quali si è puntato sul recupero di tecniche tradizionali di gestione dell’acqua, citando due progetti italiani, uno dei quali del professor Pietro Laureano, direttore del Centro internazionale sulle conoscenze tradizionali di Firenze.

La sfida sarà quella di dare seguito alle parole di Romano Prodi, pronunciate all'ultima sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU dedicata ai cambiamenti climatici. In quell'occasione il Presidente del Consiglio dichiarò: "Il Governo italiano, come uno dei principali donatori alle istituzioni internazionali per i programmi per l'acqua e la lotta alla desertificazione, ha chiesto il riconoscimento dell'acqua come bene comune e che l'accesso all'acqua sia dichiarato diritto umano inalienabile".