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Copertina della rivista

 

grafica Ma chi me l’ha fatto fare? Il fascino della ricerca

Prima di insegnare le cose, la scienza insegna i come. Educa a dar retta ai fatti, invece di lasciarsi soggiogare dai fantasmi della superstizione e dell’irrazionalità, incita a ricercare e costruire valori comuni, mediante l’argomentazione e la critica. E’ questo il metodo della ricerca, che è anche il metodo della democrazia e della convivenza.





Vorrei raccontare la mia esperienza nel campo della ricerca scientifica a partire dall’attuale tema di indagine che verte sullo studio dei meccanismi fisico-chimici responsabili dell’efficacia bioprotettiva del trealosio, uno zucchero oggetto di crescente attenzione non solo sotto il profilo della pura ricerca fisica, biologica e chimica, ma anche in vista delle promettenti implicazioni applicative.
L’idea forza della ricerca nasce dall’osservazione che alcuni organismi, quali, ad esempio, criptobionti, artemie saline, batteri e piante, in condizioni ambientali di stress, come disidratazione e congelamento, mostrano straordinarie capacità di sopravvivenza grazie alla sintesi del disaccaride, che permette loro di transire in uno stato criptobiotico, ovvero di “vita nascosta”, e di ripristinare le funzioni vitali quando le condizioni esterne tornano nuovamente favorevoli alla vita. Uno degli esempi più impressivi del ruolo biologico giocato dal trealosio è rappresentato dai Criptobionti, microrganismi capaci di vivere negli ambienti più ostili, che sono in grado di sopportare pressioni superiori a 6000 atmosfere come pure condizioni di vuoto pari a quelle dello spazio interstellare, temperature che vanno da pochi gradi al di sopra dello zero assoluto a oltre 150°C e radiazioni mille volte superiori a quelle considerate letali per gli esseri umani. In condizioni ambientali avverse, questi organismi passano, grazie al trealosio, alla condizione di vita sospesa, per riattivare le normali attività metaboliche allorquando condizioni ambientali ordinarie vengono a ripristinarsi, dilazionando così il loro ciclo di vita nell’arco di tempo di oltre un secolo.

La mia attività di ricerca si prefigge di chiarire i meccanismi molecolari che determinano l’efficacia bioprotettiva del trealosio e le sue potenzialità nel conferire protensività alla stabilità e all’attività di proteine, vitamine antiossidanti e sistemi micellari, correntemente impiegati nell’industria farmaceutica, alimentare e cosmetica, mediante diverse e complementari tecniche spettroscopiche, quali, ad esempio, la diffusione di luce laser, l’assorbimento infrarosso, lo scattering di neutroni e la luce di sincrotrone. Questi studi hanno messo in luce come l’efficacia bioprotettiva del trealosio rifletta un complesso insieme di interazioni a livello strutturale, fisiologico e molecolare che derivano dagli specifici meccanismi di interazione con l, che subisce drastiche modificazioni sia strutturali che dinamiche per la presenza dello zucchero. La più accreditata ipotesi di bioprotezione per il trealosio, suffragata da molteplici evidenze sperimentali, postula che tale zucchero tenda a destrutturare il network tetraedrico dell’acqua impedendo la formazione di ghiaccio, e sia capace di rivestire, proteggendole, le strutture biologiche. Ciò trova curiosamente corrispondenza con l’etimo di xrcptoe le cui accezioni, contestualmente precipue, sono “nascosto” e “coperto”. E infatti la criptobiosi, condizione di vita nascosta, è ascrivibile all’attitudine di molti organismi a ricoprire i propri organi vitali di uno strato rigido di zucchero amorfo, che, su scala nanoscopica, disvela una natura cristallina o, come giustappunto conviene dirsi, “criptocristallina”.

Questa ricerca ha aperto nuovi orizzonti grazie al notevole spin-off in ambito biotecnologico, nel quale il trealosio può essere usato come agente stabilizzante e conservante di prodotti ad elevato valore aggiunto di interesse biomedico, farmaceutico, alimentare e cosmetico. Una delle applicazioni più significative concerne la conservazione in presenza di trealosio del plasma in polvere, che può essere conservato a temperatura ambiente ed essere utilizzato semplicemente aggiungendo acqua, esattamente come il caffè istantaneo. Ciò è straordinariamente utile, ad esempio, per intervenire sui militari feriti che non sempre possono prontamente rifornirsi di plasma, o nelle trasfusioni e nei trapianti. Inoltre il trealosio può essere impiegato per la cura di malattie neurodegenerative e altre patologie associate all’aggregazione anomala di proteine. Lo zucchero, infatti, ha mostrato effetti curativi nella sindrome di Huntington, patologia che si accompagna a movimenti involontari, ipotonia muscolare e turbe psichiche. Il trealosio è in grado di migliorare le funzioni motorie, di inibire l'aggregazione di huntingtina, proteina che nella malattia mostra comportamenti anomali, e di aumentare la durata di vita di circa il 10%. L’assenza di tossicità, l’alta solubilità, l’efficacia nella somministrazione orale e la bassa dolcezza (il trealosio è il 45% meno dolce del comune saccarosio), particolarmente importante per pazienti diabetici, rendono il trealosio molto promettente anche nella cura di malattie per le quali non è stata ancora trovata una cura efficace.

È facile intuire come questo tema di ricerca rivesta molteplici motivi di interesse. In primis il carattere interdisciplinare, che richiede la collaborazione con ricercatori di discipline diverse, quali la biologia, la chimica e la medicina, superando i confini settoriali. Inoltre, la necessità dell’impiego di tecniche di indagine complementari, che mi ha spesso portato ad operare in diversi laboratori siti oltre i confini geografici nazionali, dove ho avuto l’opportunità di conoscere ricercatori di differente formazione e scienziati di grande fama. Ritengo buona pratica commisurarsi con altre realtà scientifiche e confrontarsi con benchmarks di riferimento; e per questo nel 2003 ho lavorato come ricercatore a tempo determinato presso il Laboratoire de Dynamique et Structure des Matériaux Moléculaires dell’Università di Lille in Francia, dove ho svolto, per diciotto mesi, sia attività di ricerca che didattica. È stata un’esperienza formativa di notevole impatto professionale, fondamentale per la mia maturazione come ricercatore e come persona. Ho avuto l’opportunità di operare in seno ad un gruppo di ricerca diverso e ho potuto confrontarmi con realtà lavorative del tutto nuove. A fronte dei notevoli sacrifici contingenti, reputo il periodo trascorso in Francia uno dei più gratificanti della mia vita lavorativa. Non secondario, infine, l’aspetto applicativo, per il quale queste ricerche, oltre a perseguire il progresso delle conoscenze nel settore, concorrono concretamente a migliorare la qualità della vita.

Considero il bilancio della mia esperienza nel campo della ricerca scientifica ampiamente positivo: la passione per la fisica ha sempre trovato e trova ancora alimento e rispondenza nelle attività svolte quotidianamente e i risultati raggiunti sinora mi danno forti motivazioni a continuare. L’attività di ricerca ha prodotto sinora oltre un centinaio di pubblicazioni e alcuni riconoscimenti, quali il Premio della Società Italiana di Fisica 2001 come miglior laureato in Italia; il Premio dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia 2003 per la miglior tesi di dottorato in Italia in spettroscopia neutronica; la Borsa di Studio L’Oréal Italia per le Donne e La Scienza 2005 indetta da L’Oréal-UNESCO per le scienze della vita, assegnatami da una Commissione presieduta dal Professore Umberto Veronesi; il Premio dell’Università di Messina per la migliore produzione scientifica nell’anno 2004; il Premio Sapio per la Ricerca Italiana 2006, patrocinato, tra gli altri, dal Senato della Repubblica, dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento Europeo per aver conseguito risultati di alto valore scientifico; il Premio Internazionale EUWIIN Special Recognition Award 2007 indetto dalla Comunità Europea che ho ricevuto a Berlino lo scorso 16 Giugno.

La vita dello scienziato, come è noto, non è sempre tutta rose e fiori. Le difficoltà che si incontrano non sono solo legate, ad esempio, alla complessità di un esperimento o alle complicazioni di un modello interpretativo, ma anche, e direi soprattutto, al tempo in cui molti giovani ricercatori vivono oggi in uno stato di precarietà lavorativa. La precarietà non è solo umiliante per chi la vive, ma mina le possibilità di sviluppo del Paese stesso e della sua popolazione, preparando il degrado della conoscenza e quindi l’arretramento scientifico, culturale, economico e sociale. Il problema della fuga dei cervelli trova una delle sue cause nella mancanza di trasparenza e legalità nei concorsi universitari. Reputo improcrastinabile una riforma che spezzi le consolidate pratiche di reclutamento basate sulle preferenze personali della governance accademica, che spesso disattendono totalmente la valutazione dei meriti, riconosciuti invece in ambito nazionale e internazionale, attraverso valutazioni basate su “peer review” che garantiscano la terzietà di giudizio. Penso che i criteri per l’accesso alla formazione e alla carriera scientifica non possano prescindere da basi meritocratiche: la selezione basata sul merito è una condizione essenziale per un efficiente funzionamento dei sistemi di ricerca.

La ricerca è stata per me una scelta di cuore e, in forza di ciò, l’ho vissuta e la vivo tuttora con slancio ed entusiasmo. Il primo motore è stata la curiosità, la sete di conoscenza, il desiderio di trovare una spiegazione per i fenomeni non ancora compresi. La ricerca, poi, si alimenta da sé e, quando si crede di aver raggiunto un traguardo, se ne presenta uno nuovo e più ambizioso. Da qui la spinta a coltivare il dubbio e la riflessione critica, a superare i propri limiti e a raccogliere le sfide del nuovo millennio, con la consapevolezza di voler dare un contributo al progresso scientifico per farne gentile dono alla società. La scienza non risponde soltanto ad una esigenza di conoscenza, ma è in grado di promuovere un autentico avanzamento della società, ci aiuta a vivere meglio, a cambiare il nostro modo di pensare e persino il nostro linguaggio.
La scienza rappresenta oggi una forma di globalizzazione riuscita: nessuno spazio per le divisioni nominalistiche, razziali, religiose e politiche, una ricerca del bene comune seguendo il principio della tolleranza del dissenso che viene anzi sostenuto e rappresenta il lievito stesso del dibattito scientifico.

La scienza vive del futuro, produce il futuro: ciascuno di noi può scegliere se parteciparvi attivamente come primo attore o passivamente come comparsa. E poi la scienza costruisce il futuro perché aggiorna di continuo le conoscenze passate, preservandone il valore fondamentale, un valore che non consiste in verità, ma, semplicemente, in un metodo. Il metodo scientifico è il metodo dell’osservazione e dell’ascolto, del dialogo e del ragionamento: un metodo che aiuta l’uomo ad emanciparsi dalle paure e dalle precarietà materiali e lo conduce all’autonomia di pensiero. Prima di insegnare le cose, la scienza insegna i come. Educa a dar retta ai fatti, invece di lasciarsi soggiogare dai fantasmi della superstizione e dell’irrazionalità, incita a ricercare e costruire valori comuni, mediante l’argomentazione e la critica. E’ questo il metodo della ricerca, che è anche il metodo della democrazia e della convivenza.

Peraltro la scienza moderna ha dato un importante contributo alla formazione di una mentalità democratica secondo cui le decisioni vengono prese sulla base di informazioni acquisite con un’analisi il più possibile completa dei fatti. È qui che le controversie si risolvono lasciando libera la competizione di modelli esplicativi diversi e alternativi che si confrontano sulla base di osservazioni, esperimenti, misurazioni e calcoli, secondo un criterio di corrispondenza dei modelli con la realtà. L’educazione scientifica ha così contribuito a diffondere uno spirito democratico stimolando a pensare liberamente, ad accettare l’esistenza di punti di vista diversi e a valutare le differenti opinioni utilizzando criteri plausibili e il più possibile obiettivi.

E’ difficilmente comprensibile come oggi la scienza non sia attrattiva per i più giovani e, anzi, si assista ad una crisi delle vocazioni scientifiche. E oggi una diminuzione degli iscritti ai corsi universitari ad indirizzo tecnico-scientifico, in particolare a quelli che riguardano le discipline di base, Fisica, Chimica e Matematica, è avvertita come una potenziale minaccia per la competitività futura del nostro sistema produttivo giacché i settori di studio più in crisi sono tra quelli che maggiormente contribuiscono alla formazione di lavoratori ad alto potenziale innovativo, ed è evidentemente in controtendenza rispetto alle esigenze della nostra società, che per il suo sviluppo richiede una crescente presenza di professionalità scientifica.

Alcuni sondaggi hanno evidenziato come, ancorché circa la metà dei cittadini europei sia interessata agli sviluppi della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica, i due terzi si considerino poco informati. Le aree seguite con più attenzione sono quelle della medicina e dell’ambiente, nonché temi di grande impatto, come quello relativo ai cambiamenti climatici, mentre altri appaiono ancora piuttosto arcani e complessi come le nanotecnologie. Come purtroppo emerge dai sondaggi sulla percezione della scienza e della tecnologia in Europa, il rapporto tra scienza e società è ancora lontano dall’essere idilliaco: si registrano infatti una certa sfiducia e diffidenza nei confronti della scienza. Questo perché oggi si chiede alla scienza di fornire verità assolute e di sciogliere i nodi che riguardano le nostre responsabilità di cittadini. Come già anticipato, nella scienza si giunge a conclusioni condivise ma raramente definitive, sempre modificabili e perfettibili attraverso il confronto continuo con la realtà empirica: ogni risultato è allo stesso momento il punto di arrivo di un processo di scoperta e quello di partenza per ulteriori ricerche che potrebbero anche contraddire gli assunti precedenti ricomprendendoli in teorizzazioni più generali che ne possono modificare strutturalmente sia la definizione che il significato. Non è scopo della scienza quindi produrre certezze, ma certamente la scienza procede riducendo progressivamente i livelli di incertezza circa la natura dei fenomeni studiati e controllando continuamente l’affidabilità delle procedure utilizzate per progredire nella conoscenza o per valutare la praticabilità delle applicazioni.

Emerge altresì che sono le dimensioni applicative della ricerca ad interessare il pubblico. Questo comporta che, al di là della difficoltà di distinguere la scienza dalla tecnologia, per quanto riguarda alcuni sviluppi di frontiera, come il settore biomedico, la scienza venga spesso identificata con la tecnologia. Se è vero che oggi può risultare difficile in diversi settori separare la ricerca di base dall’innovazione tecnologica, nondimeno lo scopo principale della scienza non è immediatamente quello di produrre ricadute applicative.
I rimedi finalizzati a migliorare i rapporto tra scienza e società, quindi, convergono sulla necessità di intensificare l’educazione scientifica, la comunicazione della scienza, una massiccia “alfabetizzazione scientifica”, l’adeguamento dei curricula scolastici e un atteggiamento aperto e positivo nella comunicazione con i media, comunque perseguendo l’integrazione e non la frammentazione dei saperi scientifici ed umanistici. Sarebbero auspicabili una comunicazione più trasparente ed azioni volte ad esplicitare lo spirito della ricerca fondamentale. Tra i ricercatori si è fatta sempre più strada la consapevolezza che la scienza non può più accontentarsi di essere valida solo all’interno dei laboratori, ma deve esserlo anche fuori, sapendo coinvolgere anche esperti che non sono scienziati e la società stessa. È dovere degli scienziati, quindi, quello di uscire dalla turris eburnea del proprio sapere e assumere un atteggiamento dialettico e di condivisione con la società. L’immagine del ricercatore avulso dal mondo circostante, che cerca solamente l'approvazione del mondo scientifico, è superata; al suo posto emerge una figura di scienziato dinamico e competitivo, il cui lavoro viene messo in discussione dall’opinione pubblica e il cui accesso ai finanziamenti dipende dalla percezione che la società e gli investitori privati hanno dell’impresa scientifica. In tal modo verrà incrementato l’investimento nella ricerca scientifica e sarà possibile attrarre l’opinione pubblica e, in particolare, i più giovani. Agli occhi di questi ultimi, infatti, gli scienziati vengono spesso visti come sfruttati e mal pagati. Per tenere il passo con i tempi, occorre modificare sostanzialmente il sistema della ricerca in Italia: i ricercatori, se lo desiderano, devono poter dedicare parte del tempo agli affari e a nuove società, le start-up, gestendo gli aspetti contrattuali e monetari delle loro scoperte o invenzioni; i brevetti e le royalties devono avere riconosciuto il loro valore come fonte di sviluppo e di ritorno economico, sia in termini patrimoniali che come strumento per incrementare la competitività e la produttività del Paese. Seguendo questo percorso, la ricerca diventerà parte integrante delle decisioni sullo sviluppo economico del Paese, permettendo all’Italia di entrare da protagonista nella società della conoscenza.