Ilrazionale per un approccio
“attivo” alla prevenzione delle malattie cardiovascolari,
che consenta una riduzione della incidenza del primo evento
clinico o di eventi clinici ricorrenti dopo episodio coronarico
acuto, ictus ischemico o arteriopatia periferica, è basato
su una serie di evidenze consolidate. Le malattie cardiovascolari
rimangono, in Europa, la prima causa di morte (il 49%
di tutte le morti e il 30% di quelle prima dei 65 anni)
e di disabilità nonostante i progressi della terapia farmacologica
e l’attenzione crescente verso un approccio sempre più
aggressivo delle fasi acute della malattia coronaria (trombolisi
e angioplastica coronaria).
Le malattie cardiovascolari sono in aumento anche nei
paesi in via di sviluppo. La patologia di base è l’aterosclerosi
che si sviluppa in modo insidioso nel corso degli anni
e le sue manifestazioni più gravi, infarto miocardio,
ictus, morte, si verificano spesso in modo improvviso
e pertanto molti interventi terapeutici possono essere
inattuabili o solo “palliativi”.
La comparsa di malattia cardiovascolare è fortemente correlata
allo stile di vita e le modificazioni dei fattori di rischio
sono in grado di ridurre in modo assai significativo la
mortalità e la morbilità. Quali sono i fattori di rischio
e sono uguali in tutto il mondo? A questo quesito ha risposto
lo studio INTERHEART che ha arruolato oltre 2.500 soggetti
in 52 paesi del mondo.
E’ emerso che i killer del cuore sono nove: fumo, alti
livelli di colesterolo, ipertensione, diabete, obesità
addominale, stress, consumo di alcool, mancato consumo
quotidiano di frutta e verdura e inattività fisica. Questi
fattori, peraltro noti, sembrano essere associati all’infarto
allo stesso modo in tutte le regioni e popolazioni del
mondo, indipendentemente dall’etnia e, tutti insieme,
permettono di prevedere il rischio di un attacco di cuore
nel 90% dei casi. E’ un chiaro segnale che l’approccio
preventivo deve essere uguale ovunque, anche nei paesi
in via di sviluppo.
Si tratta di nemici evitabili di cui i più pericolosi
sono fumo e obesità che sono responsabili di due attacchi
cardiaci su tre. Combatterli, perciò, è la principale
sfida dei prossimi anni: al momento le stime non sono
ottimistiche visto che il numero dei fumatori è in aumento
in Asia e in molti paesi in via di sviluppo, al punto
che il fumo potrebbe diventare la prima causa di morte
nel 2020. La sfida è lanciata e ora sta ai singoli Stati
raccoglierla.
LA PREVENZIONE E’ L’ARMA VINCENTE ::..
Gli interventi di prevenzione sono tanto
più efficaci quanto più sono diretti a soggetti a più
alto rischio e pertanto la più alta priorità è per i pazienti
con malattia coronarica, arteriopatia periferica e malattia
cerebrovascolare nota.
Una attenzione particolare meritano i soggetti con diabete
mellito per i quali è stato documentato un rischio di
infarto miocardico assai simile a quello di soggetti senza
diabete con infarto pregresso.
I soggetti ad alto rischio richiedono innanzitutto interventi
mirati ad un cambiamento reale dello stile di vita (dieta
congrua, attività fisica regolare) e una terapia farmacologica
che consenta di controllare in modo accurato i fattori
di rischio modificabili. Al momento attuale i farmaci
accreditati per una prevenzione secondaria efficace sono
gli Aceinibitori, le Statine, i Beta bloccanti, gli Antiaggreganti
piastrinici, gli n-3 Pufa. Il loro impiego si è dimostrato
in grado di ridurre il rischio di eventi vascolari successivi
di circa il 25% ciascuno. Secondo Yusuf essendo il beneficio
di ogni intervento largamente indipendente, se questi
farmaci fossero impiegati insieme potrebbe essere ragionevole
aspettarsi che si possa realizzare una riduzione di eventi
dei 2/3 o 3/4. Aggiungendo a ciò il beneficio che si può
ottenere con una diminuzione della pressione arteriosa
nei soggetti ipertesi, (una riduzione della PA di 10 mm
di Hg riduce gli eventi vascolari di 1 quarto), sarebbe
ipotizzabile una diminuzione del rischio per gli eventi
vascolari futuri fino a 4/5.
Riprendendo questa ipotesi, Law e Coll hanno sostenuto
che l’impiego simultaneo di farmaci in grado di ridurre
adeguatamente colesterolemia, ipertensione arteriosa,
omocisteina serica e aggregabilità piastrinica, Polypill
strategy, potrebbe prevenire più dell’80% degli eventi
cerebrovascolari con una bassa incidenza di effetti collaterali
rilevanti e perfino indipendentemente dai livelli basali
pretrattamento. Gli autori che definiscono “radicale”
questa loro proposta, si dicono convinti che se fosse
disponibile nel trattamento del cancro una simile opportunità,
sarebbe rapidamente messa in opera, anche se è noto che
la mortalità per le neoplasie è certamente inferiore a
quella che si registra per le malattie cerebrovascolari.
Questa ipotesi di lavoro porta comunque a riconsiderare
la modalità di gestione dei nostri pazienti: eravamo abituati
a misurare un singolo parametro ed iniziare un trattamento,
ora è necessario stratificare il rischio globale e modulare
l’intervento terapeutico tenendo conto che i fattori di
rischio agiscono sinergicamente causando un incremento
geometrico del rischio e pertanto vanno trattati con energia
e convinzione. La valutazione del “rischio cardiovascolare
globale” diventa quindi la modalità più appropriata per
identificare le persone ad alto rischio individuale se
esenti da un precedente evento cardiovascolare; viene
effettuata con carta o punteggio di rischio e consente
al medico curante una obiettiva e accurata valutazione
del rischio di andare incontro ad un evento cardiovascolare
(infarto, ictus) nei successivi 10 anni, confrontandola
anche in tempi successivi. Questo approccio potrebbe consentire
di stimolare i pazienti a modificare lo stile di vita
e a tenere sotto controllo i più noti fattori di rischio
visto che non emerge una riduzione degli infarti ma una
minore letalità legata alle terapie di fase acuta.
A questo proposito lo studio BLITZ offre le informazioni
più aggiornate riguardanti la fase preospedaliera, il
decorso clinico, il follow – up a 30 giorni dei pazienti
con infarto miocardico. Si tratta infatti del più ampio
studio epidemiologico finora condotto in Italia su pazienti
con infarto miocardico acuto consecutivamente ammessi
in Unità Coronarica (90% delle UCIC italiane) quasi 2000
pazienti con diagnosi di infarto entro 48 ore dall’esordio
dei sintomi. Questa istantanea consente di disporre di
dati sulla situazione attuale e consente inoltre, confrontandoli
con quelli del “GISSI Ritardo Evitabile”, di vedere cosa
è cambiato in 10 anni sul piano organizzativo. Emerge
da questo raffronto che il ritardo decisionale si è dimezzato
passando dai 120 min. del GISSI ai 60 minuti nel BLITZ
mentre è aumentata del 14% la quota di pazienti che si
ricoverano entro le prime due ore dall’inizio dei sintomi
(34% vs 48%).
La migliore tempistica ha consentito di aumentare il numero
di pazienti nei quali è stato effettuato il trattamento
riperfusivo salito al 65% (50% trombolisi, 15% PTCA primaria)
e di ridurre la mortalità intraospedaliera globale dal
7.4% al 5.2% nei riperfusi mentre è più che doppia per
i non riperfusi (11.9%). Ciò è legato a campagne sanitarie
a carattere divulgativo, alla migliore informazione fornita
dai medici durante il ricovero e nelle visite ambulatoriali,
mentre sul piano organizzativo ha avuto un notevole impatto
la diffusione del sistema di soccorso 118 che in 10 anni
si è praticamente esteso a tutto il territorio nazionale.
A
CREMONA C’E IL PROGETTO “DOLORE TORACICO” ::..
In sintonia con gli indirizzi delle Società
Cardiologiche Nazionali e Internazionali è nato alla fine
del 2004 il progetto “Cremona Dolore Toracico” per il
riconoscimento e il trattamento rapido dell’infarto miocardico
dal territorio all’Ospedale di Cremona.
Ancora oggi solo il 30% dei pazienti con infarto miocardico
acuto ricorre al 118 e usufruisce quindi di un trasporto
protetto da personale addestrato all’emergenza, ancora
1/3 dei pazienti colpiti da infarto muore prima del ricovero
in Ospedale, spesso entro 1 ora dall’esordio dei sintomi,
un quarto dei pazienti viene ricoverato tardivamente e
non può beneficiare delle terapie in grado di migliorare
la sopravvivenza e la qualità della vita.
La sintesi di questo “campo di battaglia” non è certo
confortante tenendo conto del fatto che la mortalità può
essere molto bassa o molto alta e tutto questo dipende
dalla tempestività dell’intervento che appunto è la variabile
che influisce maggiormente sull’esito in acuto e a distanza.
La punta di diamante di questo progetto è rappresentato
dalla telecardiologia che consente di eseguire e trasmettere
l’elettrocardiogramma dal domicilio del paziente all’Unità
Coronarica dove viene valutato in tempo reale dal Cardiologo
e questo consente di anticipare la diagnosi e l’inizio
delle terapia più adeguata prima del ricovero in Ospedale.
QUANDO L’INFORMAZIONE ARRIVA DRITTA
AL CUORE ::..
Parte integrante del progetto è la Campagna di Informazione
e sensibilizzazione della popolazione cremonese mirata
a migliorare la capacità di riconoscere i segni e sintomi
che più spesso si associano all’infarto e informare capillarmente
sul funzionamento del 118 e sui vantaggi di un trasporto
protetto, attraverso la diffusione di materiale informativo
stampato e video, riunioni, trasmissioni TV e articoli
sulla stampa locale. Il bilancio del primo anno di attività
è positivo soprattutto in termini di percentuale di riperfusione
che sale all’80% per i pazienti soccorsi dal 118.
Il risultato finale dei nostri sforzi dovrebbe portare
ad una riduzione della mortalità per infarto miocardico
attraverso l’incremento del numero di pazienti raggiunti
e curati nelle prime due ore dall’inizio dei sintomi (cioè
nella finestra temporale di massima efficacia di ogni
terapia riperfusiva) oltre che un significativo miglioramento
della qualità della vita dei pazienti dopo la fase acuta
dell’infarto. E’ evidente che si sono aperti nuovi scenari
nell’ambito dei quali la gestione ottimale dell’infarto
miocardio prevede una serie di passaggi importanti che
coinvolgono cardiologi, medici dell’emergenza-urgenza
e “decisori” pubblici.
Deve quindi aumentare il numero di autoambulanze con elettrocardiografi
e possibilità di trasmissione telematica all’Unità Coronarica
di riferimento; occorre contenere il ritardo decisionale
attraverso campagne educazionali ad hoc e reiterate nel
tempo; deve aumentare il ricorso al 118 che consente un
trasporto protetto e di avviare più precocemente il trattamento
riperfusivo. É importante inoltre realizzare un sistematico
collegamento fra le Unità coronariche, il sistema di soccorso
e le “reti collaborative”, fra Centri a diversa dotazione
tecnologica per garantire ai pazienti più gravi il trattamento
più idoneo.
E’ necessaria inoltre una costante verifica della propria
gestione, il confronto e l’interscambio con le esperienze
di altri Centri e di altri Paesi, da implementare nella
nostra realtà operativa con lo scopo di migliorare non
solo la sopravvivenza dei pazienti con infarto miocardico
ma anche la loro qualità di vita. |
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A
cura di |
Salvatore Pirelli
Direttore Unità Operativa di Cardiologia
e
Bianca Maria Fadin
Dirigente medico Unità Operativa di Cardiologia - Presidio
Ospedaliero di Cremona
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