In campo sanitario una delle branche che si è
evoluta maggiormente, nel corso degli anni in questa
direzione, è senz'altro rappresentata dall'odontoiatria.
Basta infatti pensare a cosa era, e a cosa offriva,
l'odontoiatria solo pochi decenni or sono, ed invece
a quali sono le opportunità e le opzioni di trattamento
odierne.
Un esempio è rappresentato dall'utilizzo di materiali
estetici, tipo la ceramica ed i vetro-polimeri di ultima
generazione, dai trattamenti ortodontici di riallineamento,
che possono essere applicati praticamente a tutte le
età, dagli impianti endoossei, che permettono
di riabilitare pazienti che hanno perso parte o tutto
il loro patrimonio dentale.
E abbiamo accennato solo ad alcune delle possibilità,
che permettono un buon ripristino funzionale ed estetico.
Ma oggi cominciano a farsi strada anche trattamenti
che hanno addirittura perso una connotazione terapeutica
acquisendone una cosmetica.
Ribaltando il problema, possiamo dire che tutto ciò
è oggi reso possibile grazie alla assoluta mancanza
di dolore, che può essere normalmente garantita
anche nelle pratiche più complicate.
Per quello che è il nostro stile di vita, tutto
ciò è ormai "scontato", acquisito,
e normalmente disponibile, alla portata di tutti, tanto
che parrebbe perfino superfluo parlarne.
Invece, contrariamente a quanto si pensa oggi giorno,
all'affacciarsi del terzo millennio, esiste ancora una
categoria di persone per le quali tutto quanto è
stato prima elencato, rappresenta una realtà
ben lungi dall'essere acquisita.
Stiamo
parlando dei soggetti disabili o meglio “diversamente
abili”; per una buona maggioranza di persone che,
loro malgrado, appartengono a questa categoria, la semplicissima
seduta odontoiatrica rappresenta infatti un dramma,
un ostacolo che a volte può essere insormontabile.
Questa asserzione non è così inverosimile
come può sembrare se consideriamo che il presupposto
fondamentale per poter fruire di tutte le moderne tecniche
è rappresentato dall’ottenimento di una
buona collaborazione del paziente nei confronti dell'operatore.
O, se si preferisce, in parole semplici, è essenziale
che una volta dominato il dolore, il paziente riesca
a controllarsi e a stare fermo.
Ed è quindi proprio la collaborazione il fattore
limitante nel trattamento del soggetto disabile. Tanto
da distinguere soggetti collaboranti (totalmente o parzialmente)
da soggetti non collaboranti. Questa differenziazione
rende merito della diversità e specificità
dell’approccio necessario per poter trattare i
pazienti affetti dalle varie patologie, approccio che
deve tener conto sia della patologia di base del paziente,
sia della sua capacità di sopportare una seduta
odontoiatrica sia delle eventuali problematiche specifiche
per quel paziente affetto da quella particolare patologia,
trattata con quella data terapia.
Ed è in questo che l’odontoiatria per soggetti
diversamente abili diventa particolare: nel modulare
le modalità di approccio al paziente, arrivando
ad utilizzare tecniche di controllo comportamentale
con grado di sofisticazione crescente, che possono giungere
fino all’utilizzo dell’anestesia generale
nei soggetti non collaboranti.
L’ISTAT stima la presenza in Italia di circa 2.700.000
soggetti, sopra i sei anni, con una qualche forma di
disabilità. Nella stragrande maggioranza dei
casi queste sono persone che hanno difficoltà
ad accedere ad un trattamento odontoiatrico sia esso
semplice o complesso, per una serie infinita di fattori.
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Fig. 1
Odontoiatria “cosmetica”, incollaggio di un brillantino
in paziente senza handicap, 23 anni, a puri fini
estetici.
Fig. 3
Qualità raggiungibile: esempio di otturazione
effettuata in regime ambulatoriale in un bambino
parzialmente collaborante (Tetraparesi Spastica
11 anni).
Fig. 2
Paziente collaborante con ritardo cognitivo, 12
anni. E’ evidente lo stato di degrado dell’apparato
dentario, totalmente inadeguato il mantenimento
igienico, carie destruenti su vari elementi ed
infiammazione gengivale diffusa rendono drammatico
l’impatto estetico. |
Fig. 4
Effetto alone: Sindrome di Down, 4 anni, la condizione
orale è completamente trascurata, l’igiene è inesistente,
le numerose carie dei denti decidui rendono impegnativa
la gestione del piccolo paziente.
Una adeguata istruzione e motivazione avrebbe
impedito il raggiungimento di tale condizione,
semplificando enormemente la gestione del caso.
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Si possono infatti citare problemi legati all’accessibilità
delle strutture, alla gravità della patologia
che li affligge, al timore dell’odontoiatra di
non essere all’altezza e di non saper trattare
questi pazienti, alla paura delle loro reazioni durante
le sedute operative.
Tale tipo di situazione poi configura una vera e propria
tragedia quando si pensa che in Italia l’odontoiatria
privata, che potremmo definire come convenzionale, rappresenta
oltre il 95-96% dell’offerta odontoiatrica globale.
Il che equivale a dire che il rinvio o la rinuncia verso
un trattamento da parte di questa componente, di fatto
costituisce una pressoché impossibilità
di accesso ad un normale trattamento odontoiatrico,
vista la scarsa offerta da parte della componente pubblica,
nonostante negli ultimi anni siano sorti alcuni centri
“dedicati”, i quali vengono saturati con
estrema facilità.
Anche l’incidenza della patologia odontoiatrica
non aiuta: molti soggetti presentano importanti limitazioni
motorie e/o psichiche e le normali operazioni di igiene
e prevenzione sono enormemente ostacolate. I pazienti
necessitano di essere istruiti ed assistiti durante
tali manovre e questo comporta, in caso ciò non
avvenga, un aumento della patologia odontostomatologica
quale l’incidenza di carie con le sue complicanze,
e di malattia parodontale.
Naturalmente il trattamento di questi pazienti non può
non tenere conto delle limitazioni imposte dalla disabilità
del soggetto poiché, se da un lato non è
umanamente, professionalmente e deontologicamente corretto
rifiutare di cimentarsi con questi pazienti, dall’altro
non è nemmeno corretto non voler ammettere la
sussistenza di molte limitazioni.
Questo particolare aspetto della tematica inevitabilmente
si riflette sulla qualità intrinseca della prestazione
che può venire erogata, la quale non sempre potrà
raggiungere gli standard qualitativi che riteniamo ottimali
nel lavoro quotidiano su pazienti “tipici”.
Questa affermazione può essere un concetto di
difficile comprensione e può suonare più
come una scusa o una giustificazione verso trattamenti
sommari, mentre invece va intesa come valutazione realistica
delle difficoltà, proprio in virtù di
tutte quelle limitazioni verso l’espletamento
della seduta odontoiatrica.
E’
importante poi anche chiarire che l’esperienza
personale porta a dire che per i singoli soggetti affetti
da qualche handicap, ed ancor più per le famiglie
di appartenenza, non è tanto importante l’effettuazione
di una otturazione secondo i più recenti dettami
delle tecniche più moderne, bensì la consapevolezza
che esiste un sanitario disponibile a prestare la sua
assistenza (anche qualora questo comporti compromessi
sul livello qualitativo raggiungibile).
Il target di trattamento si pone in termini di qualità
raggiungibile, intendendo proprio il massimo livello
qualitativo che si può raggiungere in quel soggetto,
che deve necessariamente tendere al livello standard
per soggetti “tipici”, ma che può
essere inferiore a questo in virtù di difficoltà
operative opposte dallo stesso paziente.
Dalle brevi note, di carattere generale, sopra esposte
risulta a tutti evidente come lo strumento principe
nel trattamento del soggetto “diversamente abile”
sia rappresentato dalla prevenzione.
E’ solo tramite una serrata attività preventodontica
che si può sperare di mantenere basso il livello
di incidenza di patologia odontoiatrica e di conseguenza
bassa la necessità di trattamenti, con tutti
i rischi che essi comportano specie nei soggetti non
collaboranti.
L’attività di prevenzione assume una importanza
talmente elevata da rendere necessaria una sua instaurazione
quanto più precocemente possibile. E quando si
dice precocemente si intende che sia iniziata immediatamente
alla comparsa dell’handicap stesso. E’ infatti
esperienza comune che nel momento in cui si diagnostica
una patologia invalidante, quale essa sia, l’attenzione
dei familiari è inizialmente rivolta verso gli
aspetti specifici della patologia stessa tendendo a
trascurare tutti gli altri ambiti.
Di fatto questo “effetto alone” porta a
sottovalutare tutta una serie di problematiche, tra
le quali quelle odontoiatriche, che giungono alla ribalta
in tutta la loro drammatica entità solo in un
secondo momento.
E’ auspicabile quindi che si tenda a riconsiderare
la tematica dell’odontoiatria nel soggetto disabile
sotto molte angolazioni, e soprattutto che aumenti la
sensibilità verso questo problema proprio nei
medici che per primi vengono a contatto con questi pazienti,
siano essi neonatologi, neuropsichiatri o quant’altro.
In questo modo è possibile indicare alle famiglie
un percorso da seguire sia in termini di problematiche
di cui occuparsi sia in termini di strutture di riferimento
alle quali rivolgersi per ottenere l’aiuto e l’assistenza
necessari per impedire la formazione di quelle situazioni
disastrose che, purtroppo, ci siamo dovuti abituare
a vedere e che in ultima analisi non fanno che tendere
ad aggravare anche a livello visivo/percettivo l’handicap
di base che affligge il soggetto stesso.
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