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Per la globalizzazione dei diritti Di Luigi Angeletti

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Premio Sapio per la Ricerca Italiana 2004

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Nonostante i progressi realizzati in alcuni campi negli ultimi anni, la para-tetraplegia nella nostra società assume ancora una connotazione di malattia a lungo termine, del tutto irresolubile ed emarginante consegnando la persona mielolesa alla categoria del “non adatto a”, attraverso la quale si esprime la condizione di handicap.
Tutto ciò deve essere tenuto in grande considerazione nella prospettiva di un intervento clinico-riabilitativo “globale” che punti a rispettare e difendere l’individuo nella sua interezza.
L’intervento “a rete” è una tecnica di approccio multidisciplinare, multiprofessionale e multifattoriale finalizzata a ottenere la ricostruzione della possibilità, da parte della persona con lesione midollare, di riportare se stessa alla piena autonomia, non solo di movimento, ma anche di completa capacità di relazione con la realtà sociale, compresa quella lavorativa, mediante l’uso coordinato di tutte le risorse presunte e potenziali.


L’Unità Spinale in sintesi
L’Unità Spinale è la struttura ospedaliera che esplica interventi diagnostici, terapeutici e procedure per pazienti affetti da lesioni di tipo traumatico e non (vascolare, degenerativo, infiammatorio), tenendo presente la possibile coesistenza di molteplici comorbilità, politraumi ed esiti di intervento chirurgico, allettamento, presenza di eventuali lesioni da pressione, tromboflebiti, necessità di alimentazione per via enterale, tracheotomia e/o ossigenoterapia, problematiche vescicali e gastroenteriche. Elemento determinante, come indica la stessa parola di Unità, è che tutto il percorso clinicoriabilitativo sia integrato in una visione veramente unitaria che ha al centro la globalità della persona.


Il percorso assistenziale del paziente mieloleso
Il percorso assistenziale del paziente mieloleso inizia con la fase dell’emergenza e si protrae fino al recupero socio-familiare. Il percorso è finalizzato al raggiungimento della massima autonomia ed indipendenza della persona mielolesa, compatibilmente con il livello di lesione midollare e con le sue condizioni generali.

L’ulteriore fase di inserimento socio-familiare, già avviata durante la prima ospedalizzazione presso l’Unità Spinale, vede il coinvolgimento attivo, coordinato ed armonizzato, sia dell’Unità Spinale che dei distretti sociosanitari e delle strutture riabilitative territoriali di competenza.

Questo periodo deve essere funzionalmente coordinato dall’Unità Spinale attraverso continui contatti con i responsabili del distretto di competenza e la condivisione degli interventi che si riterranno necessari. Tra gli esperti vi è concordia nell’identificare schematicamente nel percorso assistenziale-riabilitativo del paziente mieloleso
4 diverse fasi:
• Fase dell’emergenza
• Fase acuta
• Fase di stabilizzazione
• Fase post-dimissione o di rientro.

Le fasi di emergenza ed acuta vengono gestite in strutture ospedaliere sedi di DEA di II livello. Già nella fase acuta la persona mielolesa viene presa in carico da una equipe multiprofessionale dell’Unità Spinale, le due strutture devono quindi collaborare attraverso il coinvolgimento del personale specificatamente dedicato alla cura del paziente spinale che avrà il compito di formulare la prognosi di recupero, di definire il progetto riabilitativo individuale ed i singoli programmi per il raggiungimento degli obiettivi.

Il progetto ed i programmi verranno periodicamente sottoposti a verifica dei risultati ed eventualmente modificati dalla stessa equipe che seguirà il paziente durante tutto il percorso curativo- assistenziale. Per fase di stabilizzazione si intende la fase in cui le condizioni generali (funzioni vitali) si sono stabilizzate e l’eventuale instabilità delle lesioni vertebrali è stata tutelata con mezzi chirurgici o conservativi. La durata media di questa fase è di 4-6 mesi per i paraplegici e di 8-12 mesi per i tetraplegici.

Per pazienti con lesione incompleta i tempi possono subire delle consistenti variazioni. In questa fase devono essere garantiti programmi coordinati di riabilitazione respiratoria, riabilitazione neuromotoria, valutazione e riabilitazione vescica-sfinterica, trattamento del dolore e della spasticità, aspetti legati alla sessualità e fecondazione, aspetti psicologici e sociali, terapia occupazionale ed ergoterapia, reinserimento sociale e familiare.

Queste attività proprie dell’Unità Spinale prevedono attività integrate cardiologiche, pneumologiche, di diagnostica neuroradiologica, di analisi microbiologiche, neurofisiologiche, di ultrasonologia vascolare e di neurourologia. Nella fase di rientro o post dimissione, l’Unità Spinale deve garantire un’attività ambulatoriale per la prevenzione e la cura delle innumerevoli complicanze che possono sopravvenire dopo le dimissioni. Eventuali ricoveri possono essere effettuati per follow-up periodici, terapia conservativa e chirurgica delle lesioni cutanee, riabilitazione funzionale dell’arto superiore, studio e trattamento delle paraosteoartropatie neurogene, diagnostica neurourologica, riabilitazione respiratoria, diagnostica neurofisiologica, controllo e verifica dell’efficacia e adeguatezza degli ausili.


Alcune considerazioni generali sulle Unità Spinali

Oggi sappiamo che la struttura in cui meglio si realizza questo intervento complesso, per così dire “a rete” per la cura delle persone con lesione midollare è l’Unità Spinale. In essa si riassumono i compiti e le responsabilità di attuare e coordinare una serie complessa di interventi, diversificati per competenza e campo d’azione, che hanno come oggetto la globalità della persona per il mantenimento della sua salute, delle sue valenze relazionali e dei suoi diritti.

L’Unità Spinale si può quindi definire una struttura di diagnosi, cura e riabilitazione medica e sociale che risponde al concetto di riabilitazione come valutazione e presa in carico globale della persona mielolesa. Il termine di U.S. è stato utilizzato per la prima volta per il Centro di Stoke Mandeville in Inghilterra, realizzato durante la 2° Guerra Mondiale, ampliato dopo, e divenuto poi quasi un “faro” sul piano concettuale ed organizzativo. Peraltro già prima in altri Paesi erano sorte iniziative similari e da alcuni anni anche in Italia era stato realizzato ad Ostia un Centro di Riabilitazione per medullolesi (tutt’ora esistente e recentemente ben riorganizzato) che probabilmente è stata la prima struttura in Europa, qualificata per le conoscenze dell’epoca per il recupero di queste persone. Un esempio della completa presa in carico delle persone mielolese attuata nel Centro di Ostia è stato lo sviluppo della sport-terapia con la nascita delle ParaOlimpiadi; altrettanto anticipatoria è stata l’intuizione della importanza e della validità riabilitativa della ergoterapia e della realizzazione di ortesi ed altre apparecchiature di supporto sia al trattamento di recupero che alle attività di autonomia personale.

Sono poi sorti in molti Paesi (in Europa e nell’America del nord in particolare) tanti altri Centri di Riabilitazione per medullolesi in cui i soggetti si ricoveravano ad una certa distanza temporale dalla lesione, dopo esser sopravvissuti e quando le condizioni cliniche si erano stabilizzate; solo successivamente la ricerca medica ha cominciato a segnalare l’utilità di effettuare trattamenti specifici, intensivi e tempestivi (come del resto per ogni altra attività riabilitativa) fin dai primi momenti dopo il trauma midollare. Si è così progressivamente modificata la concezione organizzativa e strutturale di quella che doveva esser la risposta ottimale per questi pazienti e si è convenuto a livello internazionale che debba esistere una forte e sinergica integrazione tra le cure effettuate sin dai primi momenti dell’urgenza e le attività riabilitative. Sappiamo infatti come molte decisioni della prima fase di trattamento (anche chirurgico) hanno poi una forte influenza sui percorsi successivi; inoltre alcune di esse devono esser prese proprio sulla base di motivazioni connesse con i successivi interventi riabilitativi (basti pensare alla stabilizzazione del rachide oppure alla mano “funzionale”).

Più di recente si è sviluppata anche la ricerca farmacologica per trattamenti a sostegno del recupero funzionale del midollo leso, ed anche persino per il recupero anatomico tramite le potenzialità delle cellule staminali (molto discussi e controversi sono gli esperimenti di impianti neuronali); tutto ciò ha ulteriormente accresciuto l’evidenza di una indispensabile integrazione di competenze in ogni fase del trattamento per giungere ad una ottimale sinergia. Queste considerazioni danno in parte la spiegazione di come sia nata nel nostro Paese la concezione di “unipolare” come paradigma ottimale della Unità Spinale: tutte le competenze e tutte le attività diagnostico-terapeutiche riunite in un solo luogo fin dalla accettazione in emergenza del soggetto (quindi dalla rianimazione e neurochirurgia alle attività di reinserimento sociale, lavorativo e scolastico).

Questa è una impostazione senza dubbio valida ma non del tutto condivisibile: basti pensare come le problematiche veramente riabilitative abbiano l’esigenza di esser prioritarie, mentre invece altre attività diagnostiche e cliniche peraltro importanti ma settoriali, rischiano di prendere il sopravvento nell’organizzazione di un Ospedale per acuti. Peraltro questa impostazione è stata fortemente alimentata negli anni passati dal fatto che purtroppo molti italiani, per la carenza delle strutture di riabilitazione del nostro Paese, hanno dovuto subire percorsi di cura molto contorti, frammentati e talvolta scientificamente autoaccreditati: da un luogo dedicato ai problemi chirurgici, ad un altro per l’intervento ortopedico o neurochirurgico, ad un altro ancora per i problemi urologici, ad un altro per il recupero motorio, ad un altro per la prescrizione della carrozzina etc. In tal modo spesso non hanno ricevuto trattamenti completi, tempestivi ed idonei, hanno dovuto affrontare grandi oneri socio-familiari ma anche finanziari, hanno subito anche reali danni alle loro potenzialità di recupero.

Viceversa altrettanti italiani costretti ad “emigrare” in altri Ospedali e Centri di Riabilitazione in Europa hanno potuto constatare come l’integrazione delle competenze e delle attività potesse offrire ben altre garanzie, ed hanno riportato queste positive esperienze promuovendo un movimento associazionistico molto forte e fattivo che ha giustamente saputo modificare progressivamente la situazione. Questo per dire come la concezione di Unità Spinale Unipolare appare senza dubbio una soluzione valida ed utile, ma non è certamente l’unica, né quella che prevale a livello internazionale. Appare chiaro che invece debbano esser sempre seriamente rispettate quelle esigenze di integrazione, sinergia e contestualità tra le diverse competenze e le diverse prestazioni nella cura della persona con mielolesione. Peraltro la realizzazione di apposite strutture ove sia presente tutto il possibile, ha intuitivamente dei costi molto maggiori di ogni altra soluzione; così come molto elevati sono anche i costi sociali per le “migrazioni” che i pazienti e le famiglie sono costretti a subire per l’esigenza di concentrare la casistica nel centro unipolare e per la conseguente distanza con le strutture riabilitativo-sociali del territorio di appartenenza negli anni dil follow-up.

Oggi infatti, accanto alla prioritaria esigenza di rendere ottimale tutto il percorso di cura e riabilitazione, esiste anche il “problema” di garantire una continuità qualificata di cura, nel quadro del Progetto Riabilitativo Individuale, per i moltissimi anni di sopravvivenza che queste persone possono avere. Anche in Italia, infatti, le persone con lesione midollare non muoiono più fortunatamente nei primi anni per ulcere da decubito, malattie renali da ritenzione od incontinenza oppure per denutrizione ed abbandono, ma invece hanno oramai una speranza di vita quasi uguale ai coetanei e debbono temere piuttosto problemi legati alla ridotta attività muscolare come alterazioni metaboliche e conseguente obesità e cardio-vascolari (ipertensione, infarto etc.).

Sappiamo come fortissimamente in crescita sia la domanda di salute e di cure, di recupero dell’autonomia e dell’autosufficienza personale che ci viene rivolta da fasce sempre più grandi di persone che per molteplici e diversissimi motivi vedono ridotta la loro condizione di benessere. Le ricerche e le acquisizioni cliniche della nostra disciplina ci possono offrire sempre maggiori possibilità positive di rispondere a questa domanda, sul versante del trattamento intrinseco, rieducativo e compensatorio con metodiche e procedure terapeutiche che sintetizzano risorse e potenzialità muscolo-scheletriche, cinesiologiche, neuropsicologiche, motivazionali, occupazionali etc. In questo senso è da sottolineare ad es. l’esigenza urgente nel nostro Paese di ampliare al massimo la formazione del Terapista Occupazionale, che è il professionista che più di ogni altro è in grado di sviluppare questo settore verso il functioning individuale e vocazionale della persona.


Le problematiche cliniche che devono essere affrontate
La costruzione di un organico progetto riabilitativo per la persona colpita da lesione midollare deve necessariamente esser fondato su una presa in carico riabilitativa estremamente precoce per poter seguire anche gli interventi da realizzarsi in questa fase, e deve poi espandersi fino alla concretizzazione di una autonomia al proprio domicilio. Per far questo è indispensabile che lo Specialista responsabile del coordinamento complessivo degli interventi sia in grado di affrontare una vastissima serie di problematiche medico-chirurgiche, socio-assistenziali, psicologico-relazionali, attitudinali, ambientali e familiari.

Ciò significa che la competenza essenziale che segna come un “fil rouge” tutto l’insieme non può che essere quella riabilitativa, ed in particolare sul piano del percorso di recupero motorio, funzionale e dell’autonomia.
La formazione culturale e professionale di questo Specialista deve quindi esser prima di tutto riabilitativa ma poi arricchita con un’esperienza forte in altri settori come le problematiche neurofunzionali, cardio-respiratorie e nutrizionali, uroginecologiche, ergonomiche, posturali, psicologiche e con solide competenze farmacoterapiche. Prima di tutto è essenziale il coinvolgimento inteso come consapevolezza delle decisioni chirurgiche della fase acutissima (interventi di decompressione, stabilizzazione, interventi per problematiche traumatiche in altre regioni osteoarticolari o viscerali) e della impostazione fin dall’inizio di una eventuale tutorizzazione.

Quindi in sintesi estrema le principali aree (ovviamente correlate al livello lesionale come gravità e complessità) da valutare e prendere in cura fin dalla fase post-acuta sono:
• Alterazioni cardio-vascolari (ritmo, frequenza, ipo o ipertensione, iperreflessia autonomica)
• Alterazioni respiratorie (ostruzione delle vie, insufficienza cronica)
• Alterazioni della nutrizione ed intestinali (problematiche cataboliche, ritmo e quantità dell’alimentazione, stipsi)
• Alterazioni della minzione e gravi conseguenze renali ed infettive
• Alterazioni della sfera sessuale e riproduttiva
• Alterazioni dell’integrità cutanea e delle unghie.

A tutto ciò si associa quello che è il quadro più direttamente connesso alla profonda trasformazione dello schema corporeo e dello schema di sè (autostima) che la persona deve affrontare per poter ricostruire un suo progetto di vita cui si correla l’esigenza di impostare nel modo più tempestivo possibile un programma di recupero della integrazione scolastica, lavorativa, affettiva e familiare. Infine interferiscono con tutto il percorso di recupero dell’autonomia tutti i problemi connessi con gli organi di movimento (spasticità, alterazioni muscolari ed articolari, osteoporosi) ed in particolare l’esigenza di trattamento tempestivo della mano per ottenerne uno strumento funzionale ed efficace per le attività di vita quotidiana. Elemento centrale attorno al quale si correlano (positivamente o negativamente) tutti questi aspetti è poi la mobilità (dalla postura corretta alla stazione eretta, ai tutori, alla deambulazione come possibile, all’utilizzo della carrozzina, alla guida dell’auto, a tutti gli strumenti ed apparecchiature di ausilio per rendere funzionale il rapporto tra la persona ed il contesto fisico di vita in casa e fuori). Questo infatti è il parametro fondamentale su cui può esser costruito con la persona un vero progetto di vita dopo e nonostante la lesione midollare.


La persona con lesione midollare
• La mielolesione, anche se si differenzia per gravità nei diversi livelli di lesione, è responsabile sempre di irreversibili danni biologici che provocano nella persona che la subisce alterazioni o perdita di importanti funzioni e che determinano una condizione in qualche modo di “corpo diviso a metà”. E’ l’espressione tangibile della costante precarietà della condizione di vita e di salute e della conseguente necessità di delega, per il mantenimento dello stato di salute, ad un apparato di assistenza. Non solo sanitaria, spesso molto carente e frammentato. Costantemente vi sono gravi ed obiettive difficoltà a gestire se stessi nell’uso degli spazi di vita (domicilio, scuola, lavoro, luoghi comunitari e pubblici) e negli spostamenti, per il continuo confronto con barriere architettoniche e con barriere culturali, ben più gravi e meno eliminabili delle prime.

Nonostante i progressi realizzati in alcuni campi negli ultimi anni, la para-tetraplegia oggettivamente nella nostra società assume ancora una connotazione di malattia a lungo termine, del tutto irresolubile ed emarginante consegnando la persona mielolesa alla categoria del “non adatto a” , attraverso la quale si esprime la condizione di handicap.

Tutto ciò deve essere tenuto in grande considerazione nella prospettiva di un intervento clinico-riabilitativo “globale” che punti a rispettare e difendere l’individuo nella sua interezza. La letteratura specializzata a livello internazionale presenta diverse tipologie di approccio: chirurgico, clinico, tecnologico, socio-assistenziale, ma la sostanziale distinzione può esser fatta tra un approccio centrato sulle problematiche biologiche della malattia ed uno invece centrato sull’individuo e sulle sue potenzialità. Queste due categorie spesso si estrinsecano in interventi alternativamente e talora antiteticamente orientati: esse infatti sono tra loro contraddittorie se non sottomesse ad un principio etico di priorità ed irripetibilità della persona. Solo rispettando questo principio si può manifestare la positiva sinergia che le acquisizioni della ricerca biologico-funzionale sono in grado di offrire alla ricostruzione della qualità di vita che la persona sceglie per sè e per il proprio futuro. La centralità della persona con le sue scelte di vita (ma anche di lavoro, mobilità, autonomia, di relazioni etc.) potrà esser realmente al centro di tutti gli interventi sanitari e sociali.

Nessuno di tali interventi dovrà essere autoreferenziato o autonomo ma tutti dovranno rispondere alla unitaria logica del progetto di vita . Partendo da queste constatazioni, diventa evidente comprendere come l’efficacia possa essere raggiunta solo tramite un intervento “a rete”,mutuato da riflessioni sull’esperienza estera, e dalle teorie attualmente più accreditate sulla possibilità di modificare la condizione di disabilità. L’intervento “a rete” è una tecnica di approccio multidisciplinare, multiprofessionale e multifattoriale finalizzata a ottenere la ricostruzione della possibilità, da parte della persona con lesione midollare, di riportare se stessa alla piena autonomia, non solo di movimento, ma anche di completa capacità di relazione con la realtà sociale, compresa quella lavorativa, mediante l’uso coordinato di tutte le risorse presunte e potenziali.


Questa peraltro è una delle più evidenti manifestazioni di come e quanto la Riabilitazione sia cresciuta in questi ultimi anni in Italia e nel Mondo (Fig 2 ). In realtà tutte queste considerazioni hanno valore in ogni condizione di disabilità ed in ogni Progetto Riabilitativo, naturalmente non solo nel caso della lesione midollare: in qualche modo però questa patologia rappresenta un paradigma estremo e particolarmente significativo per alcuni motivi che vanno sottolineati sinteticamente:
• lesione gravissima sul piano funzionale e grandemente condizionante l’autonomia sotto ogni aspetto,
• lesione altrettanto grave, complessa e variegata anche sul versante biologico tanto da comportare (almeno fino ad oggi) una sostanziale diminuzione della speranza media di vita per questi soggetti,
• età mediamente molto giovanile dei soggetti colpiti (quindi con grande significatività ed attenzione sociale),
• potenzialità molto grandi di recupero di questi soggetti se correttamente curati ed assistiti,
• capacità e volontà di questi soggetti di comprendere, partecipare e guidare in un certo senso tutto il loro percorso di recupero.

Tutto ciò appunto configura questo settore, tra quelli della Medicina Riabilitativa moderna, come il più delicato ed importante, ma anche il più ricco di grandi risultati riabilitativi, di grandi soddisfazioni professionali e contemporaneamente umane per gli stessi operatori e per le istituzioni. L’esperienza della Fondazione Salvatore Maugeri Come abbiamo visto l’aumento dell’incidenza della patologia “mielolesione” (25 nuovi casi per milione di abitanti l’anno) e la conseguente necessità di interventi riabilitativi specifici hanno sollecitato l’istituzione di varie Unità Spinali, ancora insufficienti sul territorio nazionale, con il mandato di realizzare un progetto di cura unitario e continuo che possa coprire l’intero arco di vita del mieloleso.

In considerazione dell’importanza di questa domanda, e della nuova cultura di intervento medico che si muove “intorno” alla persona con mielolesione, alcuni Istituti della Fondazione S. Maugeri, già dedicati alla riabilitazione qualificata di pazienti con problematiche neurologiche, si sono impegnati in modo sempre più approfondito alla cura delle patologie midollari. In qualche modo la impostazione naturalmente interdisciplinare e multiprofessionale presente sempre nelle attività riabilitative della Fondazione Maugeri ha favorito concretamente lo svilupparsi di quella caratteristica di unitarietà e sinergia di prestazione che abbiamo visto esser il punto fondamentale in questo settore.

La prima Unità Spinale con piena autonomia funzionale e organizzativa nella Fondazione Maugeri è stata istituita e riconosciuta dalla Regione Lombardia presso l’Istituto Scientifico di Montescano (Pavia) nel febbraio 2000.- La dotazione di 12 posti letto specificamente dedicati ai soggetti con lesione acuta e recente, non solo traumatica del midollo, è supportata e collegata con la Unità Operativa attigua di Neuroriabilitazione Intensiva di 24 posti letto. Nella medesima ottica stanno nascendo nei Centri Riabilitativi di Cassano-Murge in Puglia e di Telese in Campania, altre strutture analoghe per offrire a quelle aree geografiche del tutto prive di servizi qualificati e specifici in questo settore, delle risposte adeguate ai bisogni delle persone che sono state sempre costrette ad “emigrare”.

Contemporaneamente, per potenziare al meglio l’integrazione con le attività dell’Emergenza – Urgenza e quindi ampliare la tempestività ed efficacia degli interventi, la Fondazione sta realizzando, mettendo in atto tutte le necessarie procedure di accreditamento regionale, il trasferimento della Unità Spinale da Montescano all’Istituto di Pavia: per garantire una reale unitarietà della presa in cura fin dal primo accesso in Emergenza, sino al ritorno a casa con il massimo recupero possibile dell’autonomia è stata rafforzata la cooperazione con il Policlinico IRCCS San Matteo di Pavia.

Questa impostazione unitaria delle attività all’interno della Fondazione potrà far crescere anche il contributo per la ricerca scientifica, per l’innovazione terapeutica e la verifica dei risultati, ovviamente in rapporto anche con le altre Unità Spinali presenti sul territorio nazionale (solamente) a Roma, Pietra Ligure, Milano, Vicenza, Cagliari, Perugia e Firenze.


La Multiprofessionalità come fondamento per la Qualità
Per concretizzare la complessa ed unitaria responsabilità clinica e deontologica è indispensabile realizzare una presa in cura della persona mielolesa con modalità multidisciplinare-multiprofessionale che al tempo stesso sia fortemente ricca e partecipata, ma anche fortemente unitaria e sintetica. Del resto come in tutte le altre problematiche riabilitative tale metodologia operativa e clinica si traduce nella coerente responsabilità gestionale della complessità sia sul piano organizzativo che finanziario.

Nelle Unità Spinali questo problema è forse più complesso per la esigenza di integrare fin dal primo approccio di Emergenza tutte le problematiche diagnostico-terapeutiche e tutti i programmi di cura, mantenendo sempre però ben saldo il timone verso le priorità del recupero dell’autonomia e della qualità di vita della persona. Quindi, interdisciplinarità e multiprofessionalità non significano solo un elenco di compiti specifici, ma piuttosto una metodologia di lavoro che deve esser conosciuta e praticata in rapporto alle esigenze del caso individuale e del progetto da definire.

Sul versante gestionale ed organizzativo deve esistere un gruppo di Professionisti specificamente competenti in questa area riabilitativa, che debbono caratterizzare il requisito minimo perché una struttura e le sue prestazioni possano definirsi Unità Spinale; ma questo non basta perché deve esistere una completa rete di integrazioni multidisciplinari continue e strutturate (cioè non occasionali ed incompetenti) per poter affrontare assieme anche tutte le altre problematiche che la lesione midollare pone sia per la difesa della vita che per il recupero della qualità di vita.

Non può esser sufficiente la presenza dei fisiatri, ma neppure dei fisioterapisti, infermieri, logopedisti, ergonomisti, terapisti occupazionali, neuropsicologi, tecnici ortopedici per determinare l’esistenza di una struttura idonea per le persone con lesione midollare. Ma parimenti non bastano neppure urologi, o neurochirurghi, o rianimatori anche se esperti ed impegnati seriamente nel settore. Debbono esistere tutti questi (ed anche altri ancora come chirurghi plastici, ortopedici etc.) ma il loro comune denominatore indispensabile deve esser la capacità di comunicare, di confrontarsi sugli stessi obbiettivi e non solo sui propri specifici atti di competenza.

In caso opposto le loro potrebbero valere solo come prestazioni isolate e del tutto incongrue rispetto ai valori intrinseci dei bisogni riabilitativi; non sarebbe sufficiente neppure se fossero tantissimi, perché mancherebbe loro il requisito essenziale che è la globalità della presa in cura rispetto alla persona, che si concretizza solo con il Progetto Riabilitativo (Schema a). La pratica clinica in Riabilitazione si configura così come un’attività di programmazione e verifica progressiva dell’appropriatezza e congruità di tutti gli interventi finalizzati e necessari per il percorso riabilitativo, che coinvolge elementi di responsabilità che si susseguono dal primo momento della presa in carico fino al termine dell’iter riabilitativo.

La partecipazione dei diversi professionisti può variare in rapporto alle esigenze definite nel singolo progetto individuale, ed in rapporto ai molteplici programmi di intervento di volta in volta necessari. Sono evidenti in tutto ciò elementi chiari di “peculiarità” di questa attività rispetto ad altri specialisti medici, in particolare rispetto a quelli che concentrano la loro competenza su organi, apparati, età o condizioni funzionali specifiche e settoriali. Tali competenze sono necessarie (interdisciplinarità) ma debbono ciascuna acquisire nel campo della lesione midollare anche una particolare esperienza che consenta di sviluppare al massimo ogni contributo.

La crescita di questa domanda, e i grandi costi che queste Unità comportano, così come la consapevolezza dei grandi risultati ottenibili se il trattamento è tempestivo e ben condotto, generano anche un’ulteriore peculiarità per il settore: l’Unità Spinale ed il suo Responsabile, ma contemporaneamente tutto il team, deve essere sempre e costantemente responsabile oltre che dell’aspetto clinico anche della gestione di una serie complessa di elementi finanziari, di risorse umane ed economiche. Ciò indica come sulle basi formative, anche in termini di problematiche e rischi medico-legali oltre che professionali, gestionali ed economici, tutto il personale coinvolto nella attività multiprofessionale della U.S., debba saper rispondere positivamente per realizzare un sistema di garanzie in favore della persona disabile a tutela del suo diritto di raggiungere il massimo risultato in termini di autonomia personale.




 
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L'unità spinale

 
 
 

di Caterina Pistarini
Direttore dell’Unità Spinale di Pavia Fondazione Salvatore Maugeri- Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico

e Alessandro Giustini
Direttore del Dipartimento Riabilitazione Neuromotoria Fondazione Salvatore Maugeri
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