Nonostante i progressi realizzati in alcuni
campi negli ultimi anni, la para-tetraplegia nella nostra
società assume ancora una connotazione di malattia a lungo
termine, del tutto irresolubile ed emarginante consegnando
la persona mielolesa alla categoria del “non adatto a”,
attraverso la quale si esprime la condizione di handicap.
Tutto ciò deve essere tenuto in grande considerazione
nella prospettiva di un intervento clinico-riabilitativo
“globale” che punti a rispettare e difendere l’individuo
nella sua interezza.
L’intervento “a rete” è una
tecnica di approccio multidisciplinare, multiprofessionale
e multifattoriale finalizzata a ottenere la ricostruzione
della possibilità, da parte della persona con lesione
midollare, di riportare se stessa alla piena autonomia,
non solo di movimento, ma anche di completa capacità di
relazione con la realtà sociale, compresa quella lavorativa,
mediante l’uso coordinato di tutte le risorse presunte
e potenziali.
L’Unità
Spinale in sintesi
L’Unità Spinale è la struttura ospedaliera che esplica
interventi diagnostici, terapeutici e procedure per pazienti
affetti da lesioni di tipo traumatico e non (vascolare,
degenerativo, infiammatorio), tenendo presente la possibile
coesistenza di molteplici comorbilità, politraumi ed esiti
di intervento chirurgico, allettamento, presenza di eventuali
lesioni da pressione, tromboflebiti, necessità di alimentazione
per via enterale, tracheotomia e/o ossigenoterapia, problematiche
vescicali e gastroenteriche. Elemento determinante, come
indica la stessa parola di Unità, è che tutto il percorso
clinicoriabilitativo sia integrato in una visione veramente
unitaria che ha al centro la globalità della persona.
Il percorso assistenziale del paziente mieloleso
Il percorso assistenziale del paziente mieloleso inizia
con la fase dell’emergenza e si protrae fino al recupero
socio-familiare. Il percorso è finalizzato al raggiungimento
della massima autonomia ed indipendenza della persona
mielolesa, compatibilmente con il livello di lesione midollare
e con le sue condizioni generali.
L’ulteriore fase di inserimento socio-familiare, già avviata
durante la prima ospedalizzazione presso l’Unità Spinale,
vede il coinvolgimento attivo, coordinato ed armonizzato,
sia dell’Unità Spinale che dei distretti sociosanitari
e delle strutture riabilitative territoriali di competenza.
Questo periodo deve essere funzionalmente coordinato dall’Unità
Spinale attraverso continui contatti con i responsabili
del distretto di competenza e la condivisione degli interventi
che si riterranno necessari. Tra gli esperti vi è concordia
nell’identificare schematicamente nel percorso assistenziale-riabilitativo
del paziente mieloleso 4 diverse fasi:
• Fase dell’emergenza
• Fase acuta
• Fase di stabilizzazione
• Fase post-dimissione o di rientro.
Le fasi di emergenza ed acuta vengono gestite in strutture
ospedaliere sedi di DEA di II livello. Già nella fase
acuta la persona mielolesa viene presa in carico da una
equipe multiprofessionale dell’Unità Spinale, le due strutture
devono quindi collaborare attraverso il coinvolgimento
del personale specificatamente dedicato alla cura del
paziente spinale che avrà il compito di formulare la prognosi
di recupero, di definire il progetto riabilitativo individuale
ed i singoli programmi per il raggiungimento degli obiettivi.
Il progetto ed i programmi verranno periodicamente sottoposti
a verifica dei risultati ed eventualmente modificati dalla
stessa equipe che seguirà il paziente durante tutto il
percorso curativo- assistenziale. Per fase di stabilizzazione
si intende la fase in cui le condizioni generali (funzioni
vitali) si sono stabilizzate e l’eventuale instabilità
delle lesioni vertebrali è stata tutelata con mezzi chirurgici
o conservativi. La durata media di questa fase è di 4-6
mesi per i paraplegici e di 8-12 mesi per i tetraplegici.
Per pazienti con lesione incompleta i tempi possono subire
delle consistenti variazioni. In questa fase devono essere
garantiti programmi coordinati di riabilitazione respiratoria,
riabilitazione neuromotoria, valutazione e riabilitazione
vescica-sfinterica, trattamento del dolore e della spasticità,
aspetti legati alla sessualità e fecondazione, aspetti
psicologici e sociali, terapia occupazionale ed ergoterapia,
reinserimento sociale e familiare.
Queste attività proprie dell’Unità Spinale prevedono attività
integrate cardiologiche, pneumologiche, di diagnostica
neuroradiologica, di analisi microbiologiche, neurofisiologiche,
di ultrasonologia vascolare e di neurourologia. Nella
fase di rientro o post dimissione, l’Unità Spinale deve
garantire un’attività ambulatoriale
per la prevenzione e la cura
delle innumerevoli complicanze
che possono sopravvenire dopo
le dimissioni. Eventuali ricoveri
possono essere effettuati per
follow-up periodici, terapia conservativa
e chirurgica delle lesioni
cutanee, riabilitazione funzionale
dell’arto superiore, studio e
trattamento delle paraosteoartropatie
neurogene, diagnostica
neurourologica, riabilitazione respiratoria,
diagnostica neurofisiologica,
controllo e verifica dell’efficacia
e adeguatezza degli ausili.
Alcune considerazioni generali sulle Unità Spinali
Oggi sappiamo che la struttura in cui meglio si realizza
questo intervento complesso, per così dire “a rete” per
la cura delle persone con lesione midollare è l’Unità
Spinale. In essa si riassumono i compiti e le responsabilità
di attuare e coordinare una serie complessa di interventi,
diversificati per competenza e campo d’azione, che hanno
come oggetto la globalità della persona per il mantenimento
della sua salute, delle sue valenze relazionali e dei
suoi diritti.
L’Unità Spinale si può quindi definire una struttura di
diagnosi, cura e riabilitazione medica e sociale che risponde
al concetto di riabilitazione come valutazione e presa
in carico globale della persona mielolesa. Il termine
di U.S. è stato utilizzato per la prima volta per il Centro
di Stoke Mandeville in Inghilterra, realizzato durante
la 2° Guerra Mondiale, ampliato dopo, e divenuto poi quasi
un “faro” sul piano concettuale ed organizzativo. Peraltro
già prima in altri Paesi erano sorte iniziative similari
e da alcuni anni anche in Italia era stato realizzato
ad Ostia un Centro di Riabilitazione per medullolesi (tutt’ora
esistente e recentemente ben riorganizzato) che probabilmente
è stata la prima struttura in Europa, qualificata per
le conoscenze dell’epoca per il recupero di queste persone.
Un esempio della completa presa in carico delle persone
mielolese attuata nel Centro di Ostia è stato lo sviluppo
della sport-terapia con la nascita delle ParaOlimpiadi;
altrettanto anticipatoria è stata l’intuizione della importanza
e della validità riabilitativa della ergoterapia e della
realizzazione di ortesi ed altre apparecchiature di supporto
sia al trattamento di recupero che alle attività di autonomia
personale.
Sono poi sorti in molti Paesi (in Europa e nell’America
del nord in particolare) tanti altri Centri di Riabilitazione
per medullolesi in cui i soggetti si ricoveravano ad una
certa distanza temporale dalla lesione, dopo esser sopravvissuti
e quando le condizioni cliniche si erano stabilizzate;
solo successivamente la ricerca medica ha cominciato a
segnalare l’utilità di effettuare trattamenti specifici,
intensivi e tempestivi (come del resto per ogni altra
attività riabilitativa) fin dai primi momenti dopo il
trauma midollare. Si è così progressivamente modificata
la concezione organizzativa e strutturale di quella che
doveva esser la risposta ottimale per questi pazienti
e si è convenuto a livello internazionale che debba esistere
una forte e sinergica integrazione tra le cure effettuate
sin dai primi momenti dell’urgenza e le attività riabilitative.
Sappiamo infatti come molte decisioni della prima fase
di trattamento (anche chirurgico) hanno poi una forte
influenza sui percorsi successivi; inoltre alcune di esse
devono esser prese proprio sulla base di motivazioni connesse
con i successivi interventi riabilitativi (basti pensare
alla stabilizzazione del rachide oppure alla mano “funzionale”).
Più di recente si è sviluppata anche la ricerca farmacologica
per trattamenti a sostegno del recupero funzionale del
midollo leso, ed anche persino per il recupero anatomico
tramite le potenzialità delle cellule staminali (molto
discussi e controversi sono gli esperimenti di impianti
neuronali); tutto ciò ha ulteriormente accresciuto l’evidenza
di una indispensabile integrazione di competenze in ogni
fase del trattamento per giungere ad una ottimale sinergia.
Queste considerazioni danno in parte la spiegazione di
come sia nata nel nostro Paese la concezione di “unipolare”
come paradigma ottimale della Unità Spinale: tutte le
competenze e tutte le attività diagnostico-terapeutiche
riunite in un solo luogo fin dalla accettazione in emergenza
del soggetto (quindi dalla rianimazione e neurochirurgia
alle attività di reinserimento sociale, lavorativo e scolastico).
Questa è una impostazione senza dubbio valida ma non del
tutto condivisibile: basti pensare come le problematiche
veramente riabilitative abbiano l’esigenza di esser prioritarie,
mentre invece altre attività diagnostiche e cliniche peraltro
importanti ma settoriali, rischiano di prendere il sopravvento
nell’organizzazione di un Ospedale per acuti. Peraltro
questa impostazione è stata fortemente alimentata negli
anni passati dal fatto che purtroppo molti italiani, per
la carenza delle strutture di riabilitazione del nostro
Paese, hanno dovuto subire percorsi di cura molto contorti,
frammentati e talvolta scientificamente autoaccreditati:
da un luogo dedicato ai problemi chirurgici, ad un altro
per l’intervento ortopedico o neurochirurgico, ad un altro
ancora per i problemi urologici, ad un altro per il recupero
motorio, ad un altro per la prescrizione della carrozzina
etc. In tal modo spesso non hanno ricevuto trattamenti
completi, tempestivi ed idonei, hanno dovuto affrontare
grandi oneri socio-familiari ma anche finanziari, hanno
subito anche reali danni alle loro potenzialità di recupero.
Viceversa altrettanti italiani costretti ad “emigrare”
in altri Ospedali e Centri di Riabilitazione in Europa
hanno potuto constatare come l’integrazione delle competenze
e delle attività potesse offrire ben altre garanzie, ed
hanno riportato queste positive esperienze promuovendo
un movimento associazionistico molto forte e fattivo che
ha giustamente saputo modificare progressivamente la situazione.
Questo per dire come la concezione di Unità Spinale Unipolare
appare senza dubbio una soluzione valida ed utile, ma
non è certamente l’unica, né quella che prevale a livello
internazionale. Appare chiaro che invece debbano esser
sempre seriamente rispettate quelle esigenze di integrazione,
sinergia e contestualità tra le diverse competenze e le
diverse prestazioni nella cura della persona con mielolesione.
Peraltro la realizzazione di apposite strutture ove sia
presente tutto il possibile, ha intuitivamente dei costi
molto maggiori di ogni altra soluzione; così come molto
elevati sono anche i costi sociali per le “migrazioni”
che i pazienti e le famiglie sono costretti a subire per
l’esigenza di concentrare la casistica nel centro unipolare
e per la conseguente distanza con le strutture riabilitativo-sociali
del territorio di appartenenza negli anni dil follow-up.
Oggi infatti, accanto alla prioritaria esigenza di rendere
ottimale tutto il percorso di cura e riabilitazione, esiste
anche il “problema” di garantire una continuità qualificata
di cura, nel quadro del Progetto Riabilitativo Individuale,
per i moltissimi anni di sopravvivenza che queste persone
possono avere. Anche in Italia, infatti, le persone con
lesione midollare non muoiono più fortunatamente nei primi
anni per ulcere da decubito, malattie renali da ritenzione
od incontinenza oppure per denutrizione ed abbandono,
ma invece hanno oramai una speranza di vita quasi uguale
ai coetanei e debbono temere piuttosto problemi legati
alla ridotta attività muscolare come alterazioni metaboliche
e conseguente obesità e cardio-vascolari (ipertensione,
infarto etc.).
Sappiamo come fortissimamente in crescita sia la domanda
di salute e di cure, di recupero dell’autonomia
e dell’autosufficienza personale che ci viene
rivolta da fasce sempre più grandi di persone
che per molteplici e diversissimi motivi vedono ridotta
la loro condizione di benessere. Le ricerche e le acquisizioni
cliniche della nostra disciplina ci possono offrire
sempre maggiori possibilità positive di rispondere
a questa domanda, sul versante del trattamento intrinseco,
rieducativo e compensatorio con metodiche e procedure
terapeutiche che sintetizzano risorse e potenzialità
muscolo-scheletriche, cinesiologiche, neuropsicologiche,
motivazionali, occupazionali etc. In questo senso è
da sottolineare ad es. l’esigenza urgente nel
nostro Paese di ampliare al massimo la formazione del
Terapista Occupazionale, che è il professionista
che più di ogni altro è in grado di sviluppare
questo settore verso il functioning individuale e vocazionale
della persona.
Le problematiche cliniche che devono essere affrontate
La costruzione di un organico progetto riabilitativo per
la persona colpita da lesione midollare deve necessariamente
esser fondato su una presa in carico riabilitativa estremamente
precoce per poter seguire anche gli interventi da realizzarsi
in questa fase, e deve poi espandersi fino alla concretizzazione
di una autonomia al proprio domicilio. Per far questo
è indispensabile che lo Specialista responsabile del coordinamento
complessivo degli interventi sia in grado di affrontare
una vastissima serie di problematiche medico-chirurgiche,
socio-assistenziali, psicologico-relazionali, attitudinali,
ambientali e familiari.
Ciò significa che la competenza essenziale che segna come
un “fil rouge” tutto l’insieme non può che essere quella
riabilitativa, ed in particolare sul piano del percorso
di recupero motorio, funzionale e dell’autonomia.
La formazione culturale e professionale di questo Specialista
deve quindi esser prima di tutto riabilitativa ma poi
arricchita con un’esperienza forte in altri settori come
le problematiche neurofunzionali, cardio-respiratorie
e nutrizionali, uroginecologiche, ergonomiche, posturali,
psicologiche e con solide competenze farmacoterapiche.
Prima di tutto è essenziale il coinvolgimento inteso come
consapevolezza delle decisioni chirurgiche della fase
acutissima (interventi di decompressione, stabilizzazione,
interventi per problematiche traumatiche in altre regioni
osteoarticolari o viscerali) e della impostazione fin
dall’inizio di una eventuale tutorizzazione.
Quindi in sintesi estrema le principali aree
(ovviamente correlate al livello lesionale come gravità
e complessità) da valutare e prendere in cura fin dalla
fase post-acuta sono:
• Alterazioni cardio-vascolari (ritmo, frequenza, ipo
o ipertensione, iperreflessia autonomica)
• Alterazioni respiratorie (ostruzione delle vie, insufficienza
cronica)
• Alterazioni della nutrizione ed intestinali (problematiche
cataboliche, ritmo e quantità dell’alimentazione, stipsi)
• Alterazioni della minzione e gravi conseguenze renali
ed infettive
• Alterazioni della sfera sessuale e riproduttiva
• Alterazioni dell’integrità cutanea e delle unghie.
A tutto ciò si associa quello che è il quadro più direttamente
connesso alla profonda trasformazione dello schema corporeo
e dello schema di sè (autostima) che la persona deve affrontare
per poter ricostruire un suo progetto di vita cui si correla
l’esigenza di impostare nel modo più tempestivo possibile
un programma di recupero della integrazione scolastica,
lavorativa, affettiva e familiare. Infine interferiscono
con tutto il percorso di recupero dell’autonomia tutti
i problemi connessi con gli organi di movimento (spasticità,
alterazioni muscolari ed articolari, osteoporosi) ed in
particolare l’esigenza di trattamento tempestivo della
mano per ottenerne uno strumento funzionale ed efficace
per le attività di vita quotidiana. Elemento centrale
attorno al quale si correlano (positivamente o negativamente)
tutti questi aspetti è poi la mobilità (dalla postura
corretta alla stazione eretta, ai tutori, alla deambulazione
come possibile, all’utilizzo della carrozzina, alla guida
dell’auto, a tutti gli strumenti ed apparecchiature di
ausilio per rendere funzionale il rapporto tra la persona
ed il contesto fisico di vita in casa e fuori). Questo
infatti è il parametro fondamentale su cui può esser costruito
con la persona un vero progetto di vita dopo e nonostante
la lesione midollare.
La persona con lesione midollare
• La mielolesione, anche se si differenzia per gravità
nei diversi livelli di lesione, è responsabile sempre
di irreversibili danni biologici che provocano nella persona
che la subisce alterazioni o perdita di importanti funzioni
e che determinano una condizione in qualche modo di “corpo
diviso a metà”. E’ l’espressione tangibile della costante
precarietà della condizione di vita e di salute e della
conseguente necessità di delega, per il mantenimento dello
stato di salute, ad un apparato di assistenza. Non solo
sanitaria, spesso molto carente e frammentato. Costantemente
vi sono gravi ed obiettive difficoltà a gestire se stessi
nell’uso degli spazi di vita (domicilio, scuola, lavoro,
luoghi comunitari e pubblici) e negli spostamenti, per
il continuo confronto con barriere architettoniche e con
barriere culturali, ben più gravi e meno eliminabili delle
prime.
Nonostante i progressi realizzati in alcuni campi negli
ultimi anni, la para-tetraplegia oggettivamente nella
nostra società assume ancora una connotazione di malattia
a lungo termine, del tutto irresolubile ed emarginante
consegnando la persona mielolesa alla categoria del “non
adatto a” , attraverso la quale si esprime la condizione
di handicap.
Tutto ciò deve essere tenuto in grande considerazione
nella prospettiva di un intervento clinico-riabilitativo
“globale” che punti a rispettare e difendere l’individuo
nella sua interezza. La letteratura specializzata a livello
internazionale presenta diverse tipologie di approccio:
chirurgico, clinico, tecnologico, socio-assistenziale,
ma la sostanziale distinzione può esser fatta tra un approccio
centrato sulle problematiche biologiche della malattia
ed uno invece centrato sull’individuo e sulle sue potenzialità.
Queste due categorie spesso si estrinsecano in interventi
alternativamente e talora antiteticamente orientati: esse
infatti sono tra loro contraddittorie se non sottomesse
ad un principio etico di priorità ed irripetibilità della
persona. Solo rispettando questo principio si può manifestare
la positiva sinergia che le acquisizioni della ricerca
biologico-funzionale sono in grado di offrire alla ricostruzione
della qualità di vita che la persona sceglie per sè e
per il proprio futuro. La centralità della persona con
le sue scelte di vita (ma anche di lavoro, mobilità, autonomia,
di relazioni etc.) potrà esser realmente al centro di
tutti gli interventi sanitari e sociali.
Nessuno di tali interventi dovrà essere autoreferenziato
o autonomo ma tutti dovranno rispondere alla unitaria
logica del progetto di vita . Partendo da queste constatazioni,
diventa evidente comprendere come l’efficacia possa essere
raggiunta solo tramite un intervento “a rete”,mutuato
da riflessioni sull’esperienza estera, e dalle teorie
attualmente più accreditate sulla possibilità di modificare
la condizione di disabilità. L’intervento “a rete” è una
tecnica di approccio multidisciplinare, multiprofessionale
e multifattoriale finalizzata a ottenere la ricostruzione
della possibilità, da parte della persona con lesione
midollare, di riportare se stessa alla piena autonomia,
non solo di movimento, ma anche di completa capacità di
relazione con la realtà sociale, compresa quella lavorativa,
mediante l’uso coordinato di tutte le risorse presunte
e potenziali.
Questa peraltro è una delle più evidenti manifestazioni
di come e quanto la Riabilitazione sia cresciuta in questi
ultimi anni in Italia e nel Mondo (Fig 2 ). In realtà
tutte queste considerazioni hanno valore in ogni condizione
di disabilità ed in ogni Progetto Riabilitativo, naturalmente
non solo nel caso della lesione midollare: in qualche
modo però questa patologia rappresenta un paradigma estremo
e particolarmente significativo per alcuni motivi
che vanno sottolineati sinteticamente:
• lesione gravissima sul piano funzionale e grandemente
condizionante l’autonomia sotto ogni aspetto,
• lesione altrettanto grave, complessa e variegata anche
sul versante biologico tanto da comportare (almeno fino
ad oggi) una sostanziale diminuzione della speranza media
di vita per questi soggetti,
• età mediamente molto giovanile dei soggetti colpiti
(quindi con grande significatività ed attenzione sociale),
• potenzialità molto grandi di recupero di questi soggetti
se correttamente curati ed assistiti,
• capacità e volontà di questi soggetti di comprendere,
partecipare e guidare in un certo senso tutto il loro
percorso di recupero.
Tutto ciò appunto configura questo settore, tra quelli
della Medicina Riabilitativa moderna, come il più delicato
ed importante, ma anche il più ricco di grandi risultati
riabilitativi, di grandi soddisfazioni professionali e
contemporaneamente umane per gli stessi operatori e per
le istituzioni. L’esperienza della Fondazione Salvatore
Maugeri Come abbiamo visto l’aumento dell’incidenza della
patologia “mielolesione” (25 nuovi casi per milione di
abitanti l’anno) e la conseguente necessità di interventi
riabilitativi specifici hanno sollecitato l’istituzione
di varie Unità Spinali, ancora insufficienti sul territorio
nazionale, con il mandato di realizzare un progetto di
cura unitario e continuo che possa coprire l’intero arco
di vita del mieloleso.
In considerazione dell’importanza di questa domanda, e
della nuova cultura di intervento medico che si muove
“intorno” alla persona con mielolesione, alcuni Istituti
della Fondazione S. Maugeri, già dedicati alla riabilitazione
qualificata di pazienti con problematiche neurologiche,
si sono impegnati in modo sempre più approfondito alla
cura delle patologie midollari. In qualche modo la impostazione
naturalmente interdisciplinare e multiprofessionale presente
sempre nelle attività riabilitative della Fondazione Maugeri
ha favorito concretamente lo svilupparsi di quella caratteristica
di unitarietà e sinergia di prestazione che abbiamo visto
esser il punto fondamentale in questo settore.
La prima Unità Spinale con piena autonomia funzionale
e organizzativa nella Fondazione Maugeri è stata istituita
e riconosciuta dalla Regione Lombardia presso l’Istituto
Scientifico di Montescano (Pavia) nel febbraio 2000.-
La dotazione di 12 posti letto specificamente dedicati
ai soggetti con lesione acuta e recente, non solo traumatica
del midollo, è supportata e collegata con la Unità Operativa
attigua di Neuroriabilitazione Intensiva di 24 posti letto.
Nella medesima ottica stanno nascendo nei Centri Riabilitativi
di Cassano-Murge in Puglia e di Telese in Campania, altre
strutture analoghe per offrire a quelle aree geografiche
del tutto prive di servizi qualificati e specifici in
questo settore, delle risposte adeguate ai bisogni delle
persone che sono state sempre costrette ad “emigrare”.
Contemporaneamente, per potenziare al meglio l’integrazione
con le attività dell’Emergenza – Urgenza e quindi ampliare
la tempestività ed efficacia degli interventi, la Fondazione
sta realizzando, mettendo in atto tutte le necessarie
procedure di accreditamento regionale, il trasferimento
della Unità Spinale da Montescano all’Istituto di Pavia:
per garantire una reale unitarietà della presa in cura
fin dal primo accesso in Emergenza, sino al ritorno a
casa con il massimo recupero possibile dell’autonomia
è stata rafforzata la cooperazione con il Policlinico
IRCCS San Matteo di Pavia.
Questa impostazione unitaria delle attività all’interno
della Fondazione potrà far crescere anche il contributo
per la ricerca scientifica, per l’innovazione terapeutica
e la verifica dei risultati, ovviamente in rapporto anche
con le altre Unità Spinali presenti sul territorio nazionale
(solamente) a Roma, Pietra Ligure, Milano, Vicenza, Cagliari,
Perugia e Firenze.
La Multiprofessionalità
come fondamento per la
Qualità
Per concretizzare la complessa ed unitaria responsabilità
clinica e deontologica è indispensabile realizzare una
presa in cura della persona mielolesa con modalità multidisciplinare-multiprofessionale
che al tempo stesso sia fortemente ricca e partecipata,
ma anche fortemente unitaria e sintetica. Del resto come
in tutte le altre problematiche riabilitative tale metodologia
operativa e clinica si traduce nella coerente responsabilità
gestionale della complessità sia sul piano organizzativo
che finanziario.
Nelle Unità Spinali questo problema è forse più complesso
per la esigenza di integrare fin dal primo approccio di
Emergenza tutte le problematiche diagnostico-terapeutiche
e tutti i programmi di cura, mantenendo sempre però ben
saldo il timone verso le priorità del recupero dell’autonomia
e della qualità di vita della persona. Quindi, interdisciplinarità
e multiprofessionalità non significano solo un elenco
di compiti specifici, ma piuttosto una metodologia di
lavoro che deve esser conosciuta e praticata in rapporto
alle esigenze del caso individuale e del progetto da definire.
Sul versante gestionale ed organizzativo deve esistere
un gruppo di Professionisti specificamente competenti
in questa area riabilitativa, che debbono caratterizzare
il requisito minimo perché una struttura e le sue prestazioni
possano definirsi Unità Spinale; ma questo non basta perché
deve esistere una completa rete di integrazioni multidisciplinari
continue e strutturate (cioè non occasionali ed incompetenti)
per poter affrontare assieme anche tutte le altre problematiche
che la lesione midollare pone sia per la difesa della
vita che per il recupero della qualità di vita.
Non può esser sufficiente la presenza dei fisiatri, ma
neppure dei fisioterapisti, infermieri, logopedisti, ergonomisti,
terapisti occupazionali, neuropsicologi, tecnici ortopedici
per determinare l’esistenza di una struttura idonea per
le persone con lesione midollare. Ma parimenti non bastano
neppure urologi, o neurochirurghi, o rianimatori anche
se esperti ed impegnati seriamente nel settore. Debbono
esistere tutti questi (ed anche altri ancora come chirurghi
plastici, ortopedici etc.) ma il loro comune denominatore
indispensabile deve esser la capacità di comunicare, di
confrontarsi sugli stessi obbiettivi e non solo sui propri
specifici atti di competenza.
In caso opposto le loro potrebbero valere solo come prestazioni
isolate e del tutto incongrue rispetto ai valori intrinseci
dei bisogni riabilitativi; non sarebbe sufficiente neppure
se fossero tantissimi, perché mancherebbe loro il requisito
essenziale che è la globalità della presa in cura rispetto
alla persona, che si concretizza solo con il Progetto
Riabilitativo (Schema a). La pratica clinica in Riabilitazione
si configura così come un’attività di programmazione e
verifica progressiva dell’appropriatezza e congruità di
tutti gli interventi finalizzati e necessari per il percorso
riabilitativo, che coinvolge elementi di responsabilità
che si susseguono dal primo momento della presa in carico
fino al termine dell’iter riabilitativo.
La partecipazione dei diversi professionisti può variare
in rapporto alle esigenze definite nel singolo progetto
individuale, ed in rapporto ai molteplici programmi di
intervento di volta in volta necessari. Sono evidenti
in tutto ciò elementi chiari di “peculiarità” di questa
attività rispetto ad altri specialisti medici, in particolare
rispetto a quelli che concentrano la loro competenza su
organi, apparati, età o condizioni funzionali specifiche
e settoriali. Tali competenze sono necessarie (interdisciplinarità)
ma debbono ciascuna acquisire nel campo della lesione
midollare anche una particolare esperienza che consenta
di sviluppare al massimo ogni contributo.
La crescita di questa domanda, e i grandi costi che queste
Unità comportano, così come la consapevolezza dei grandi
risultati ottenibili se il trattamento è tempestivo e
ben condotto, generano anche un’ulteriore peculiarità
per il settore: l’Unità Spinale ed il suo Responsabile,
ma contemporaneamente tutto il team, deve essere sempre
e costantemente responsabile oltre che dell’aspetto clinico
anche della gestione di una serie complessa di elementi
finanziari, di risorse umane ed economiche. Ciò indica
come sulle basi formative, anche in termini di problematiche
e rischi medico-legali oltre che professionali, gestionali
ed economici, tutto il personale coinvolto nella attività
multiprofessionale della U.S., debba saper rispondere
positivamente per realizzare un sistema di garanzie in
favore della persona disabile a tutela del suo diritto
di raggiungere il massimo risultato in termini di autonomia
personale.