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Si chiama “Il ponte del sorriso”, una fondazione nata con l’obiettivo di assistere i minori che in Romania vivono in condizioni di disagio fisico, psichico, economico, sociale o familiare. In questi primissimi mesi di vita della fondazione sono già stati realizzati due progetti: il primo relativo all’istituzione di un servizio di mensa gratuito per bambini bisognosi di Bucarest e l’altro a favore di 130 minori portatori di handicap ospiti dell’orfanotrofio di Breaza. Un esempio concreto di come la delocalizzazione, di cui tanto si parla oggi in riferimento alle nostre imprese che scelgono di portare in paesi svantaggiati le proprie produzioni, possa e debba essere non solo produttiva ma anche sociale. Di come cioè si possa portare in queste nazioni non solo insediamenti industriali, ma anche solidarietà, civiltà, cultura dei diritti. Ce ne parla Luigi Angeletti, Segretario Generale della UIL, che insieme a Confindustria ha costruito questo “ponte” speciale tra Italia e Romania.
Iprocessi economici e produttivi degli ultimi decenni sono, al tempo stesso, causa ed effetto della globalizzazione. Ma le teorie del villaggio globale sono ormai una realtà con cui fare i conti facendo appello a valutazioni concrete piuttosto che a considerazioni ideologiche. Non c’è dubbio: la globalizzazione appare a volte contraddittoria e tuttavia ciò che va emergendo ed affermandosi non può essere demonizzato ma deve essere governato come occasione di nuove opportunità, come nuova frontiera su cui spostare il confronto e l’azione dei soggetti che operano nel sociale. Ecco perché a sollevare preoccupazione dovrebbe essere, piuttosto, la persistenza del divario tra quanti godono dei vantaggi di questa nuova condizione e quanti ne sono invece esclusi.

Se questo è l’approccio, è del tutto evidente allora che gli stessi processi di delocalizzazione produttiva che stanno interessando il nostro Paese, a vantaggio dei Paesi emergenti o in via di sviluppo, vanno letti ed affrontati in un’ottica di reciproca opportunità. In questo quadro, il mutare delle condizioni economiche e le trasformazioni industriali vanno intimamente connesse alla dimensione del sociale. Non solo per motivi solidaristici, che pure sarebbero sufficienti, di per sé, a giustificare un tale collegamento, ma anche e soprattutto per porre le premesse di una globalizzazione dei diritti e di una riduzione dei fenomeni di dumping sociale, a tutto vantaggio di un riequilibrio verso l’alto delle condizioni di lavoro e dei sistemi di welfare.

Con questa impostazione siamo, comunque, sul piano delle politiche economiche e sociali interne ed internazionali, rispetto alle quali ogni soggetto istituzionalmente o statutariamente coinvolto è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità per la parte di sua competenza.
Anche il Sindacato, dunque, ha il suo ruolo che svolge e intende continuare a svolgere con l’obiettivo di determinare un cambiamento nella direzione della valorizzazione del fattore lavoro e un miglioramento complessivo delle condizioni sociali a livello globale. Nulla impedisce, tuttavia, che a questo impegno se ne affianchi un altro che dal primo possa anche trarre motivazione e linfa, che con esso sia in qualche misura interconnesso e che attinga però, nella sua attuazione, a ragioni filantropiche più che politiche.
Un volontariato sociale, insomma, che sappia coniugare, in piena autonomia, l’esperienza del proprio ruolo professionale con motivazioni del tutto personali e che segni l’inizio di una sorta di rinascenza culturale e sociale fondata sui valori della persona, della solidarietà e dello sviluppo. Il punto è: i processi economici e sociali e i loro auspicati cambiamenti pur essendo destinati alla collettività ed avendo dunque il privilegio di una fruibilità diffusa hanno tuttavia tempi di attuazione che sono sostanzialmente dettati dall’evoluzione della Storia. L’intervento umanitario, invece, che parta da analoghe considerazioni culturali pur essendo rivolto ad un’individuata e definita fascia di fruitori, può raggiungere il suo scopo in tempi rapidi perché fondato sulla scelta volontaria del soggetto che lo attua.

E’ a partire da questa logica, su impulso della Confindustria e della Uil, che nasce la fondazione “Il Ponte del sorriso”, con l’obiettivo di assistere i minori svantaggiati in Romania. In quel Paese ci sono migliaia di persone che lavorano in imprese italiane. Ebbene noi vogliamo sfatare l’immagine che la nostra presenza in quel Paese sia legata solo all’utilizzo di manodopera locale, con una presenza avulsa dal contesto sociale; vogliamo determinare, con la nostra azione concreta, un aiuto certo per quei bambini che si trovino in condizione di disagio sociale; vogliamo insomma che singole specifiche persone possano vedere mutata la propria condizione di difficoltà grazie al nostro personale impegno. E’ un modo per porre le basi di una rinnovata convivenza civile, per “dare” e non solo per “dire” solidarietà, in una visione in cui l’obiettivo resta quello dell’emancipazione della persona e della sua crescita, nella prospettiva dello sviluppo socio-economico di una collettività. La Uil è uno dei soci di questa Onlus insieme a Fundatia Sistema Italia Romania, organismo di internazionalizzazione del sistema associativo italiano costituito da Confindustria, Confartigianato, Confagricoltura, Ance, Federlegno, otto associazioni industriali, Agitec, Banca Italo Romena, Cuoa, Finest, Nova Europa e Unicredit Romania.

Il “Ponte del sorriso” persegue esclusivamente finalità di assistenza socio-sanitaria, in particolare nel campo della tutela dei minori in condizioni di disagio fisico, psichico, economico, sociale o familiare. In questi primissimi mesi di vita della fondazione sono già stati realizzati due progetti: il primo relativo all’istituzione di un servizio di mensa gratuito per bambini bisognosi di Bucarest e l’altro a favore di 130 minori portatori di handicap ospiti dell’orfanatrofio di Breaza a cui sono stati consegnati vestiti, scarpe, giochi e cioccolata in occasione dello scorso Natale. Sono stati questi i primi “sorrisi” che l’Associazione è stata in grado di regalare a chi vive il disagio dell’emarginazione e della povertà.
Altri certamente ne seguiranno. Progetti mirati per migliorare la vita ai minori meno fortunati della Romania. Iniziative che confermano l’intenzione di dar inizio - come si diceva in apertura - ad un tipo di delocalizzazione sociale che faccia seguito a quella produttiva. Una conferma della volontà di rafforzare la presenza amichevole degli italiani in Romania nel tentativo di dare un aiuto ad un Paese che sta vivendo una grande ed importante trasformazione per sé e per l’Europa. Anche questo è un volto della globalizzazione.



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di Luigi Angeletti


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