I temi della ricerca, dell'innovazione, dello sviluppo sono divenuti ormai imprescindibili per affrontare e superare le difficili sfide poste in essere dalla globalizzazione.
Mai come in questo periodo, si sente
crescere l’esigenza di restituire il giusto
valore alla ricerca scientifica e all’impatto
naturale che questa dovrebbe
avere e che avrà, nel risolvere molti
problemi che oggi ci troviamo ad
affrontare. Probabilmente aver concepito
nel passato il concetto di globalizzazione
o mondializzazione, in modo
prevalentemente mercantilistico, basato
cioè più sullo scambio delle merci e
dei materiali, ci ha fatto trascurare un
elemento a mio avviso centrale per
una crescita qualitativa, ossia la consapevolezza
che la crescita di una società
è profondamente legata alla produzione
dei saperi, alla ricerca. In poche
parole una “Knowledge based
society”.
Da qui l’esigenza di creare
una globalizzazione scientifica e di
ricerca che esuli e superi il solo aspetto
nazionale ma che guardi, con maggiore
enfasi, alla costruzione comune
di uno Spazio Europeo della Ricerca.
Siamo ormai tutti consapevoli del
fatto che “conoscenze e competenze”
costituiscono una componente centrale
e decisiva del capitale necessario per
innescare, sostenere e sviluppare i
nuovi modelli di produzione e di
organizzazione della società. Esse
compongono insieme, quello che
viene definito ”capitale immateriale”
che è stato indicato come la nuova ricchezza
delle Nazioni; è dunque fondamentale
che i processi per la sua accumulazione
e la sua distribuzione, siano
decisivi per partecipare alla creazione e
alla distribuzione di questa ricchezza.
Noi abbiamo un grande “capitale
immateriale” tra i migliori del mondo
ed oggi ne abbiamo la dimostrazione,
non possiamo lasciarcelo sfuggire,
dobbiamo creare e rafforzare alcune
iniziative che ci permettano di tenere
questa ricchezza immateriale, ponendo
in essere, contestualmente, provvedimenti
innovativi per permettere il
rientro degli studiosi che hanno lasciato
il nostro Paese.
Il Premio Sapio per la Ricerca Italiana,
ormai giunto al suo decimo appuntamento,
ha colto pienamente queste
nuove esigenze e lo dimostra attraverso
convegni che affrontano temi centrali
di ricerca quali quelli relativi
all’Ambiente ed ai cambiamenti climatici,
all’Economia ed Energia, alle
Biotecnologie, alla salute ed al sociale.
Il Premio è uno strumento importante
per la circolazione delle informazioni
e delle idee relative alla promozione
dell’innovazione, alla conoscenza di
nuove tecnologie, alla discussione
scientifica.
Ha anche il grande merito, quello che
a volte manca nel nostro Paese, di far
dialogare tra loro i vari attori della
ricerca e dell’innovazione, sia pubblici
sia privati, una prerogativa senza la
quale è impossibile guardare all’innovazione
e allo sviluppo.
Questo ultimo
aspetto, a mio avviso, è centrale poiché
non esistono varie ricerche, esiste
la Ricerca poggiata su tre pilastri fondamentali,
e tutti e tre insieme cooperano
verso la ricerca oltre i confini,
internazionale ed Europea:
1) la Ricerca di base realizzata nelle
Università;
2) la Ricerca finalizzata che si attua
negli Enti di ricerca;
3) la Ricerca industriale che si sviluppa
all’interno dell’impresa privata.
Tre gambe di uno stesso tavolo, se una
gamba cede, o ancor peggio viene a
mancare, il tavolo non potrà stare in
piedi. E questo lo si può facilmente
constatare guardando lo sviluppo dei
nostri territori.
Permettetemi di ricordare che all’inizio
degli anni ‘90 il PIL in ricerca si
attestava intorno all’1,5%, percentuale
che permetteva di collocare il nostro
sistema di ricerca e formazione tra il
quarto ed il quinto posto dei Paesi più
industrializzati in Europa. Oggi
siamo scesi all’1,1% o forse meno,
dipende da che parte si guarda il
paniere.
Il Governo, ed il Ministro Mariastella
Gelmini, in questo momento particolare
per l’economia nazionale ed internazionale,
sta attuando iniziative
rivolte ad un ammodernamento del
sistema, a richiamare criteri che guardino
all’aspetto meritocratico dell’individuo,
ma soprattutto al concetto
della valutazione del sistema ricerca.
Il tema dell’impatto della ricerca sul
settore socio-economico è considerato
dall’OCSE la pietra angolare della
politica dell’innovazione.
Diviene
sempre più urgente da parte dei
Governi, quindi, motivare gli stanziamenti
degli investimenti e quali settori
vengono ritenuti prioritari per poter
successivamente giustificare l’impatto
che tali investimenti avranno, nel
medio e lungo termine, sul pubblico.
Ritornare quindi ad una consapevolezza
etica della ricerca e del suo significato
più reale, diventa centrale per il
Paese sia per permettere quel recupero
di tutto il sistema, ma soprattutto perché
ricerca è sinonimo di occupazione,
ed occupazione vuol dire creazione
di un futuro migliore per le giovani
generazioni.
Se si punta al recupero e all’ammodernamento
del sistema Ricerca ed Alta
Formazione è, a mio avviso, importante
tenere presenti alcuni aspetti differenti
tra loro, che si sono profondamente
modificati negli anni, in tutto il
mondo; aspetti che credo tuttavia alla
fine convergenti, ai fini del risultato
definitivo. Oggi si pensi che i dati statistici
dell’OCSE dimostrano che
l’81% della ricerca mondiale viene sviluppata
per il 35% dagli Stati Uniti, il
14% dal Giappone e nell’UE con il
27%.
I cinquanta Paesi più ricchi sviluppavano
il 98% della ricerca, concentrandola
geograficamente nella triade
USA-Giappone-UE.
La distribuzione
globale della R & S sta cambiando. La
spesa interna lorda per la R & S della
Cina è cresciuta ad un ritmo annuo
del 19% in termini reali dal 2001 al
2006.
Nel Sud Africa si è passati da
1.6 miliardi di dollari del 1997 a 3.7
miliardi di dollari nel 2005. Così la
Russia ha registrato una forte crescita
da 9 miliardi di dollari del 1996 a 20
nel 2006, mentre l’India ha raggiunto
27.7 miliardi di dollari nel 2004.
Segno di un cambiamento in atto profondo,
avvalorato anche dallo sviluppo
dei tre nuovi Stati industriali del
Pacifico: Corea del Sud, Singapore,
Taiwan. Ormai vi è da parte di tutto il
mondo la consapevolezza piena di dover aumentare il potenziale in
Ricerca.
La suddetta concentrazione crea e
creerà in futuro problemi ancor più
seri, poiché anche i Paesi in via di sviluppo
stanno prendendo coscienza
che il capitale immateriale è la sola
nuova ricchezza e non potrà accettare
definitivamente di essere escluso.
E
questo è un primo aspetto della complessità
della situazione e dell’importanza
che gli altri Stati danno ai temi
della ricerca. Di qui l’esigenza, per il
nostro Paese, di intervenire con forza
ed immediatezza.
Un altro aspetto fondamentale per
proiettare il sistema ricerca verso il
futuro è il modo in cui il nostro Paese
affronta ed affronterà la nuova sfida
della globalizzazione, ossia come interverrà
nel campo delle conoscenze per
collaborare ad uno spazio della ricerca
nazionale condiviso da tutti, sia pubblico
che privato, ma che abbia l’obiettivo
primario di inserirsi nel più ampio
contesto della creazione di uno Spazio
Europeo della Ricerca, in cui l’Italia
ritorni ad essere un attore principale e
non una semplice comparsa, sia a livello
internazionale, sia a livello europeo.
Abbiamo di fronte a noi poco tempo e
ricordo a tutti, ma soprattutto a me
stesso, la “Strategia di Lisbona rinnovata”,
il raggiungimento dei suoi obiettivi;
credo quindi sia opportuno confrontarci
su un progetto a media-lunga
scadenza con obiettivi e finalità chiare,
ma soprattutto che individui le risorse
necessarie per realizzarlo. Ho detto in
precedenza che la spesa in ricerca e sviluppo
è ferma in Italia da quasi 10 anni
attorno all’1,1% del PIL.
L’obiettivo per l’Italia, stabilito nell’ambito
della Strategia di Lisbona -
2,5% di spesa in ricerca e sviluppo
rispetto al PIL entro il 2010 -, è stato
a giusto titolo ribattezzato la “chimera
di Lisbona”.
Queste sono difficoltà accumulate
negli anni passati, ma sono convinto
oggi, che il nostro Paese e la nostra rete
di ricerca abbiano tutte le carte in
regola per superare questo momento.
Per fare questo, occorre però che il
nostro sistema di ricerca si doti di una
programmazione più coordinata e che
guardi a medio-lungo termine. Cito
ad esempio: la “High-Tech Strategy”
del Governo Tedesco, varata nel 2006,
forte dei 6 miliardi di euro addizionali
stanziati per raggiungere l’obiettivo
del 3% di spesa in ricerca sul PIL
entro il 2010; lo “Science and
Innovation Investment Framework”
del Governo britannico con una visione
a 10 anni, che stabilisce un target
del 2,5% sul PIL entro il 2014, dall’attuale
1,8%.
Per non parlare della
Spagna che ha investito circa 18
miliardi di euro nel 7° PQ per un
ritorno di circa l’8%.
Sembra ormai a tutti chiaro che la
ricerca diviene il mezzo necessario per
la crescita di un sistema Paese, ma è
altrettanto chiaro che l’accresciuta globalizzazione
della produzione e delle
attività di R&S e forme più aperte di
reti collaborative nel settore dell’innovazione,
creano una forte competitività
internazionale, europea, nazionale.
I Paesi, ed in particolare il nostro,
dovranno avere una grande capacità di
ricerca e di innovazione nazionale per
attrarre investimenti esteri in R & S.
In un contesto caratterizzato inoltre
da enormi carenze finanziarie nazionali, credo sia giunto il momento, per
non penalizzare le future generazioni,
di guardare con maggiore enfasi ai
programmi europei.
In tal senso, come ho ricordato nel
precedente convegno, il Settimo
Programma Quadro per la ricerca e lo
sviluppo tecnologico dell’Unione
Europea, destinato a rafforzare la crescita
e l'occupazione dell'Unione
Europea in un’economia globalizzata,
rappresenta un pilastro fondamentale
nell’ambito di queste dinamiche per le
sue peculiarità quali:
• specificità tematiche, molto vicine
a quelle italiane;
• tempo (2007-2013): l’arco di 7
anni del Programma Quadro permette
una programmazione a
medio-lungo termine;
• il budget di oltre 50 miliardi di
euro.
In particolare è necessario considerare
sempre di più la partecipazione alle
iniziative europee una priorità e non
un’attività secondaria rispetto a quelle
nazionali, con le quali, peraltro, esse si
devono sempre maggiormente integrare;
è in quest’ottica che il 7° PQ
costituisce un forte elemento propulsore
per la crescita dell’occupazione
delle giovani generazioni, ed in particolare
con riferimento ad alcune novità
previste dal 7° Programma Quadro,
quali le Iniziative Tecnologiche
Congiunte.
Le Iniziative Tecnologiche Congiunte
- Joint Technology Initiatives (JTI) - ,
che abbiamo discusso presso il
Comitato Interministeriale per gli
affari Comunitari Europei (CIACE), e
di cui abbiamo ottenuto il coordinamento
da parte del nostro Ministero,
rappresentano una nuova forma di
collaborazione pubblico-privato nel
campo della R&S, che derivano principalmente
dalle Piattaforme
Tecnologiche Europee (ETP).
E su
queste specifiche tematiche di ricerca
abbiamo realizzato dei tavoli di lavoro
per la realizzazione di singoli programmi
nazionali di ricerca.
- Il tavolo di coordinamento è
importante perché permette di
mettere insieme tutti gli attori
coinvolti in questo importante
progetto, pubblici e privati.
- Diviene uno strumento necessario
per sviluppare ed accrescere la collaborazione
fra pubblico e privato
in settori che si ritengono strategici
per la crescita qualitativa del
sistema Paese.
- Un punto di riferimento essenziale
per permettere di individuare
finalità ed obiettivi chiari.
- Un tavolo che permette di far
emergere punti di forza, che
dovremo come istituzione difendere,
e punti di debolezza che
dovremo, viceversa, come istituzioni,
sostenere sia a livello nazionale,
sia a livello europeo ed internazionale.
Su questi specifici progetti stiamo
lavorando con forza e siamo molto
soddisfatti dei risultati che si stanno
raggiungendo a Bruxelles; l’azione di
coordinamento sta dando i suoi frutti.
E’ indispensabile, ora più che mai,
risvegliare l’attenzione su un tema
centrale per la crescita qualitativa e
quantitativa del nostro sistema Paese,
quello cioè del rilancio della nostra
economia attraverso la ricerca sia a
livello nazionale ma soprattutto a
livello internazionale.