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Copertina della rivista

Immagine: Distesa di ghiaccio

 

Continuità assistenziale dall'ospedale al territorio: modello sostenibile?

Oggi, la complessità della domanda di salute richiede lo spiegamento di forze qualificate, l'adozione di requisiti organizzativi specifici ed una intensità assistenziale che sia adeguata alla complessità ed alla natura dei problemi. E' dunque necessario accogliere i bisogni dei pazienti per elaborare un piano di assistenza che si integri perfettamente con la rete dei servizi che si tradurrà nell'erogazione delle cure.


In questi ultimi anni si è assistito ad un graduale cambiamento nell’ambito della sanità. Gli Ospedali sono diventati Aziende Ospedaliere con obiettivi e budget da rispettare. D’altra parte, l’evoluzione della domanda di salute ha portato a una revisione del ruolo dell’ospedale nell’ambito della rete dei servizi: da erogatore unico dell’assistenza, l’ospedale diventa sempre più luogo destinato a prestazioni complesse e di alta tecnologia riservate a pazienti acuti.

Tuttavia, in un contesto demografico caratterizzato da un sempre maggiore peso delle patologie croniche e dell’età senile, questo ruolo è insostenibile senza un adeguato sviluppo di tutto ciò che deve intervenire prima e dopo l’ospedale nell’assistenza alla persona. La realizzazione di un modello di sistema a rete per la gestione del percorso complessivo del paziente non rappresenta oggi un’opzione ma, forse, l’unica soluzione possibile per garantire alla popolazione una copertura adeguata della domanda di salute.

Come si presenta oggi questa domanda?
Anzitutto, l’invecchiamento della popolazione ha portato a un aumento della fragilità. Le condizioni cliniche dei pazienti sono sempre più complesse ed instabili per il sovrapporsi di malattie croniche soggette a riacutizzazione. La stessa scienza medica ha difficoltà a tenere il passo con una domanda di salute non più rappresentativa della nosografia classica. Cambiano anche gli obiettivi della cura: una guarigione sempre meno probabile lascia spazio alla presa in carico delle disabilità, nel tentativo di raggiungere la migliore qualità di vita possibile.

La tipologia di affezioni, sempre più di carattere degenerativo, ha comportato in questi ultimi decenni una modificazione dell’epidemiologia ed il fenomeno dei ricoveri reiterati è divenuto sempre meno sostenibile dagli ospedali, gravati dalla pressione dei ricoveri in emergenza-urgenza. Vi è stata, inoltre, a livello globale, una presa di coscienza della scarsità delle risorse e quindi più volte è stata ribadita la necessità di una buona amministrazione della sanità. In virtù di quanto detto sopra, si è reso necessario individuare nuovi strumenti gestionali che fossero capaci di valorizzare la globalità delle cure, che fossero flessibili ed idonei per definire i bisogni assistenziali personalizzati e che fossero orientati al monitoraggio delle risorse impiegate e dell’appropriatezza.

Questo scenario ha fatto sì che sempre di più si dovesse ragionare in termini di “cura sanitaria sociale integrata” volta al benessere ed alla conservazione dello stato di salute possibile e soprattutto finalizzata alla centralità del paziente.

Oggi assistiamo ad una vera e propria crisi del modello sociale: la cura della malattia è parte integrante della “capacità di vivere” della persona fragile, coinvolge la dimensione affettiva, la relazione sociale e richiede assistenza tutelare continua. Si è così andata affermando a gran voce la necessità di istituire forme assistenziali alternative al ricovero ospedaliero che potessero garantire da un lato il proseguimento delle cure al domicilio, dall’altro la sostenibilità di un ricovero breve che di fatto non andasse a ledere la salute dei pazienti. È nata così l’Assistenza Domiciliare Integrata ADI nelle sue varie sfaccettature e nei suoi diversi modelli e finalità.

L’ospedale all’interno della rete dei servizi ha la finalità di curare i malati acuti lasciando il compito di gestire la cronicità al territorio e all’ADI. La complessità della domanda di salute richiede lo spiegamento di forze qualificate (Medici di Medicina Generale, Specialisti, Infermieri, Terapisti della Riabilitazione, Dietisti, Psicologi, Assistenti Sociali, Volontari ed Associazioni), l’adozione di requisiti organizzativi specifici (protocolli operativi e procedure concordate dalle parti, reperibilità medica ed infermieristica sulle 24 ore e 7 giorni la settimana) ed una intensità assistenziale che sia adeguata alla complessità ed alla natura dei problemi. E’ dunque necessario accogliere i bisogni dei pazienti per elaborare un piano di assistenza che si integri perfettamente con la rete dei servizi, che si tradurrà nell’erogazione delle cure.

Per meglio gestire la domanda, partendo da esperienze documentate, si è cercato di individuare degli indicatori che suggerissero che cosa fare e come risolvere il problema legato alla difficoltà che si ha nel garantire standard adeguati: i livelli essenziali di assistenza (i cosiddetti LEA) nelle cure domiciliari e, soprattutto, come quantificarli e qualificarli. Tutto ciò non è realizzabile senza una metodologia di valorizzazione dell’assistenza che sia in grado di riconoscere e caratterizzare processi di cura in base a bisogni assistenziali specifici, definiti dalle condizioni della persona più che dalla diagnosi clinica. La tecnologia è venuta incontro agli operatori del settore che, usufruendo di apparecchiature altamente sofisticate ed affidabili, oggi possono ricreare al domicilio quasi un’unità di sub intensiva ospedaliera. La telemedicina, il call center medico/infermieristico, i ventilatori polmonari, i comunicatori, la protesica hanno inoltre permesso di portare al domicilio anche pazienti considerati prima indimissibili e costretti a proseguire il resto della propria vita in strutture ospedaliere. Tutto questo modello è sostenibile solo dove sia presente una società basata sulla famiglia che diventa indispensabile al fine di poter garantire l’erogazione prevista dai servizi di assistenza domiciliare. Inoltre, se la famiglia deve assorbire un carico assistenziale per consentire la gestione domiciliare del paziente, deve essere considerata a tutti gli effetti una risorsa del servizio sanitario e va sostenuta anche economicamente.

Nonostante alcune Regioni si siano attivate in questa direzione (es.: voucher socio-sanitario in Lombardia), questa sensibilità non è ancora diffusa a livello di sanità pubblica, il che non aiuta lo sviluppo dei servizi domiciliari. Vanno inoltre considerati aspetti culturali e di costume: purtroppo la famiglia come unità base della società non è più un modello rappresentativo dei nostri tempi. In futuro sarà necessario ridefinire totalmente i percorsi di cura anche e soprattutto in funzione della loro attuabilità. Assistiamo oggi al paradosso quando vediamo che a prendersi cura dei ”very old” (grandi anziani) sono i figli anch’essi molto anziani e dunque non più così in grado di garantire anche a se stessi l’autosufficienza.

Per non parlare poi della disgregazione totale delle famiglie che quando sono composte da tre elementi sono già fuori media! Si evince dunque la necessità di una rivoluzione culturale e dei servizi offerti dai vari attori che forniscono assistenza ai malati ed alle loro famiglie.