Soltanto nell’area del Mediterraneo
vivono tra i 15 e i 25 milioni di portatori sani per il
gene talassemico; questo significa che ogni anno nascono
un migliaio di bambini talassemici per ogni milione di
abitanti, ognuno dei quali, per una corretta terapia,
necessita di una trasfusione di sangue ogni due –
tre settimane.
Oggi è possibile curare la malattia effettuando
il trapianto del midollo osseo; l’Istituto Italiano
di Ematologia (IME) ha lo scopo di sviluppare un progetto
di cura, formazione e ricerca in campo sanitario, per
il trapianto di midollo osseo nella talassemia, oltre
che in altre patologie ematologiche maligne.
Questo progetto nasce dall’esperienza
accumulata dal professor Lucarelli e dal suo gruppo professionale
all’Ospedale di Pesaro, che ha ora attivato a Roma
un centro di eccellenza e di alta specializzazione.
Le
talassemie sono un gruppo di disturbi ereditari dovuti
ad alterazioni nella sintesi dei componenti di una molecola
chiamata emoglobina.
L'emoglobina è una grossa proteina contenuta nei
globuli rossi, la cui funzione è quella di trasportare
l'ossigeno dai polmoni ai diversi tessuti.
Negli adulti circa il 97% di ogni molecola di emoglobina
contiene due subunità di tipo alfa e due subunità
di tipo beta.
Nei pazienti talassemici, l’assenza o la difettosa
produzione di una catena globinica causa un abbassamento
dei livelli di emoglobina nei globuli rossi, ma ha anche
una serie di gravi conseguenze ematologiche che dipendono
dall’accumulo della catena che non viene incorporata
nell’emoglobina adulta.
Ne deriva la distruzione precoce dei precursori dei globuli
rossi nel midollo osseo (eritropoiesi inefficace) e, in
misura minore, la loro distruzione nella milza (emolisi).
A differenza delle ß-talassemie, dove la maggior
parte delle mutazioni sono causate da delezioni nel cluster
del gene della ß-globina, i difetti molecolari associati
alle ß-talassemie sono generalmente mutazioni puntiformi,
che determinano la sostituzione di singole basi, quasi
sempre all’interno del gene della ß-globina.
Le ß-talassemie sono un gruppo molto vario di malattie
che hanno una forte rilevanza dal punto di vista clinico.
Tra queste la ß-Talassemia Major, nota anche come
Anemia Mediterranea, è la forma più grave.
La probabilità che un bambino nasca affetto da
Talassemia Major è del 25% se i genitori sono portatori
sani; vale a dire se entrambi possiedono all'interno del
loro corredo cromosomico uno dei due geni per l`emoglobina
codificanti in maniera errata. Il difetto genetico che
caratterizza la Talassemia Major è intrinseco alle
cellule emopoietiche, le cellule progenitrici degli elementi
figurati del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine)
che sono presenti nel midollo osseo. Attualmente si conoscono
più di 200 alterazioni di questo gene che possono
causare una ß-Talassemia.
I pazienti affetti da ß-Talassemia Major dipendono
dalla terapia trasfusionale a cui sono sottoposti; ma
nonostante questo trattamento sia migliorato sensibilmente
in questi ultimi anni, la ß-Talassemia è
considerata una malattia progressiva, con gravi complicazioni
- come l’accumulo di ferro in diversi tessuti o
l’insorgenza di epatite - con esito letale.
E’ una malattia diffusa tra le popolazioni del Bacino
mediterraneo, del Sud-Est asiatico e di alcuni paesi dell'Africa
equatoriale che in seguito ai consistenti movimenti migratori
verificatisi negli ultimi decenni è attualmente
presente in quasi tutte le regioni del mondo.
Si calcola che soltanto nell’area del Mediterraneo,
vivano tra i 15 e 25 milioni di portatori sani per il
gene talassemico. Questo significa purtroppo che ogni
anno nascono un migliaio di bambini talassemici per ogni
milione di abitanti. Per una corretta terapia - peraltro
non risolutiva della malattia, ma soltanto di supporto
- ognuno di loro necessita di una trasfusione di sangue
ogni due – tre settimane.
Inoltre, per cercare di limitare i danni dell’accumulo
di ferro presente nei globuli rossi trasfusi in organi
come fegato e cuore, essi devono essere sottoposti ad
una terapia ferro chelante, costituita cioè dall’infusione
sottocutanea giornaliera di un farmaco chiamato desferioxamina.
Alla luce di ciò è quindi evidente quale
sia il peso socio-economico di questa malattia per ogni
singolo paese e come i pazienti talassemici, soprattutto
in luoghi dove la capacità di reperire elevate
quantità di sangue e di eseguire la corretta terapia
ferrochelante sono limitate, vivano una vita diversa rispetto
ai loro coetanei sani più fortunati. Se fino a
poco tempo fa la corretta terapia trasfusionale ha rappresentato
l'unico trattamento possibile, anche se non risolutivo,
per il paziente affetto da Talassemia Major, oggi è
possibile curare la malattia effettuando il trapianto
del midollo osseo, attuando cioè la sostituzione
delle cellule malate, con cellule sane. Il trapianto di
cellule staminali raccolte dal midollo osseo o dal sangue
periferico viene utilizzato da molti anni con successo
per il trattamento di immunodeficienze, anemie aplastiche,
leucemie e disordini genetici del sistema emopoietico.
Per effettuare il trapianto, tutti i pazienti devono essere
sottoposti ad una terapia intensiva con farmaci o radiazioni,
chiamato regime di condizionamento, che permette di eliminare
l’emopoiesi malata del paziente e ripristinare le
normali funzioni del midollo osseo dopo una fase chiamata
di aplasia. Il donatore, generalmente un fratello o una
sorella, deve essere compatibile con il paziente, cioè
identico a livello del sistema maggiore di istocompatibilità,
che nell’uomo è chiamato HLA (Human Leukocytes
Antigens). La possibilità che tra il paziente e
i propri fratelli ci sia un donatore compatibile è
del 25%. La probabilità invece di trovare un donatore
compatibile al di fuori dell'ambito familiare è
bassissima: per aumentare tale probabilità, sono
state create delle banche informatizzate che contengono
i dati di migliaia di donatori volontari. Il Professor
Lucarelli con il suo gruppo ha effettuato più di
1000 trapianti di midollo osseo nella talassemia.
Questo trattamento, se eseguito in soggetti senza complicanze,
utilizzando un donatore familiare compatibile, produce
una sopravvivenza libera da malattia del 90% in soggetti
di classe 1, cioè in pazienti generalmente giovani,
in cui i danni legati alla terapia trasfusionale e alla
progressione della malattia stessa non sono ancora evidenti.
Tuttavia, circa il 60% dei pazienti non ha a disposizione
un donatore HLA-identico familiare o non-consanguineo.
Per questi pazienti, l’utilizzo di nuovi protocolli
di condizionamento e il trapianto aploidentico da cellule
materne (trapianto aplo-madre) rappresentano attualmente
le nuove strade che permetteranno di aumentare con successo
l’utilizzo di questa terapia.
Inoltre è sempre attiva la ricerca per lo sviluppo
di un sistema efficace per il trasferimento del gene della
ß-globina all’interno di cellule staminali
autologhe - cioè appartenenti allo stesso paziente
- da utilizzarsi per la terapia genica nella talassemia.
Vista l’ampiezza del problema legato alla notevole
diffusione della ß-Talassemia nel mondo e visto
che in Italia esistono competenze scientifico specifiche
di alto livello in questo settore, il Governo Italiano,
all’inizio del 2003 ha costituito l’Istituto
Italiano di Ematologia (IME) – nominando il dottor
Ilja Gardi commissario - con lo scopo di sviluppare un
progetto di cura, formazione e ricerca in campo sanitario,
per il trapianto di midollo osseo nella Talassemia, oltre
che in altre patologie ematologiche maligne.
Tale progetto nasce dall’esperienza accumulata dal
professor Lucarelli e dal suo gruppo professionale all’Ospedale
di Pesaro, ma che ha ora attivato un centro di eccellenza
e di alta specializzazione a Roma. Contestualmente sta
realizzando, nell’ambito della cooperazione e interscambio,
un progetto “a rete” attraverso le relazioni
e l’integrazione di strutture italiane ed estere,
in particolare del bacino del Mediterraneo.
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Per il perseguimento delle sue finalità, la Fondazione
sta coordinando e aggregando le competenze scientifiche
specialistiche e le risorse presenti presso divisioni
e strutture di realtà ospedaliere del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN), mediante apposite convenzioni.
Tra queste va ricordato il San Raffaele di Milano, il
Mayer di Firenze, il Gaslini di Genova e il San Camillo
di Roma.
Il Prof. Franco Mandelli e il Prof. Guido Lucarelli sono
stati nominati Responsabili clinico-scientifici di IME,
rispettivamente, per la cura e la ricerca sulle malattie
ematiche, e per il trattamento e lo studio della talassemia
e delle emoglobinopatie.
La “sfida” di IME è quella di mettere
insieme i capitali clinici e scientifici di professionisti
in un progetto unico e condiviso, il quale parte dal postulato
etico che le conoscenze e le competenze conseguite dai
singoli determinino la loro autorevolezza e affidabilità,
e debbano essere a disposizione di chi ne ha bisogno,
ovvero delle comunità, sia dei pazienti sia dei
medici e degli operatori sanitari.
Non solo concentrandole in una “scuola nazionale”,
bensì impegnandosi per diffonderle in ogni area
di confine, presso altre culture.
Il mandato istituzionale, poi, soprattutto a livello internazionale,
consente l’incontro anche con le Istituzioni dei
possibili Paesi partner, ossia con le rappresentanze che
hanno influenza sulla vita delle rispettive popolazioni.
In questo senso, per IME, il viaggio è occasione
di conoscenza diretta e non mediata e il mandato rappresenta
una occasione per operare.
Detto ciò, è evidente che l’IME vuole
essere una organizzazione sanitaria per la cooperazione
allo sviluppo, in ambito nazionale e internazionale, specializzata
in cura, ricerca e formazione, nel settore dell’ematologia,
in pianificazione e organizzazione sanitaria.
La missione di IME è quindi quella di offrire le
“best practice” nella cura delle malattie
ematiche e delle emoglobinopatie; di fare ricerca clinica,
anche in partnership nazionali e internazionali; di fare
ricerca organizzativa/gestionale e informatico-tecnologica;
di essere una organizzazione che impara continuativamente
e che fa formazione; di viaggiare e incontrarsi sulla
rete, per fare interscambi di saperi, competenze, aiuti
e ospitalità.
Inoltre, di essere uno strumento di politica sanitaria
nazionale e di cooperazione allo sviluppo in partnership
con i migliori centri nazionali e internazionali con cui
condividere la ricerca; per garantire la migliore cura
e offrire formazione in più ambiti di conoscenze/competenze
a più popolazioni.
Con l’obiettivo in ultima analisi di realizzare
più interventi di interscambio, con la possibilità
di intervenire concretamente nella direzione positiva
dell’incontro delle culture, a partire dalla universalità
dei bisogni.
Marco Andreani
Ph.D. - Direttore del Laboratorio di Immunogenetica
e Biologia dei Trapianti della Fondazione IME - Istituto
Mediterraneo di Ematologia, Roma