Le celle solari a base di semiconduttori inorganici sensibilizzate da coloranti (Dye-sensitized Solar Cells o DSC), presentano una stretta analogia nel meccanismo di funzionamento con la fotosintesi clorofilliana e sono vantaggiosi rispetto alle tecnologie convenzionali in termini economici, in quanto caratterizzati da costi di materiali e di produzione estremamente contenuti.
Lo sfruttamento dell’energia solare
rappresenta sicuramente una sfida per
questo millennio a causa della possibilità
di produrre energia elettrica in
maniera inesauribile e pulita.
La sempre più ridotta disponibilità di
combustibili fossili a basso costo e di
facile accesso, associata alla crescente
domanda di energia ed ai problemi di
inquinamento ambientale e cambiamento
climatico, è percepita da vasti
strati dell’opinione pubblica e della
classe politica.
La coscienza di questa emergenza si sta
affacciando anche in Italia, Paese poverissimo
di risorse energetiche convenzionali
e quindi inesorabilmente
obbligato ad esplorare lo sfruttamento
di fonti alternative.
Tale tendenza è stata recentemente
formalizzata dalla UE che ha stabilito
l’equazione 20 + 20 - 20 = 2020,
ovvero incrementare il risparmio energetico
e l’utilizzo di fonti rinnovabili
del 20% riducendo allo stesso tempo
la produzione di CO2 del 20% entro
l’anno 2020.
Fra le varie fonti rinnovabili, la possibilità
di utilizzare l’energia solare per
produrre direttamente energia elettrica,
tramite l’effetto fotovoltaico, risulta
particolarmente interessante per
almeno tre motivi:
1. è gratuita ed inesauribile;
2. può essere convertita localmente anche
in piccole installazioni in modo
assolutamente eco-compatibile;
3. è abbondante alle nostre latitudini.
Si pensi, ad esempio, che per soddisfare
il fabbisogno elettrico complessivo
italiano con le tecnologie
fotovoltaiche oggi disponibili occorrerebbe
coprire di pannelli solari
un’area pari allo 0.8% del territorio
nazionale (2440 km2, ad es. la provincia
di Piacenza).
Figura 1. Pannelli fotovoltaici a silicio.
La tecnologia
fotovoltaica convenzionale consente
oggi di ottenere rese di conversione
anche molto elevate, fino al 40% per
dispositivi prototipo multigiunzione,
sebbene le celle solari comunemente
in commercio garantiscano rese del
12-18%.
Tuttavia, la tecnologia fotovoltaica
attualmente in commercio, basata su
giunzioni p-n di semiconduttori inorganici,
presenta un costo di produzione
molto elevato a causa dell’elevato costo
dei materiali (gli stessi utilizzati
per la produzione di microprocessori),
degli elevati requisiti di purezza
degli stessi e dell’elevato contenuto
energetico dei materiali stessi (che
vengono prodotti impiegando alte
temperature e condizioni di ultra-alto
vuoto). Tali caratteristiche svantaggiose
comportano un costo per Watt
di potenza di picco prodotta con tecnologia
fotovoltaica anche 10 volte
più elevato rispetto al costo medio
dell’energia elettrica sul mercato (2-4
euro vs. 0.2-0.4 euro per Wpeak).
Oltre all’aspetto economico, i pannelli
solari al silicio presentano alcune
intrinseche costrizioni tecniche che
ne limitano fondamentalmente l’impiego
in contesti di valore architettonico
storico-artistico e paesaggistico:
sono di colore scuro, sono rigidi e
vanno posizionati a 45° rispetto alla
incidenza della luce solare per un’efficienza
ottimale. Il problema che si
pone alla comunità scientifica oggi è
quindi quello di pervenire a soluzioni
che permettano di sfruttare l’energia
solare ad un prezzo economicamente
conveniente. In questo contesto la
Chimica gioca un ruolo fondamentale
nella ricerca e sviluppo di nuove
molecole e materiali che costituiscano
la base per una nuova e rivoluzionaria
tecnologia fotovoltaica ecocompatibile,
a basso costo e che risponda anche
a particolari requisiti estetici o di utilizzo
in ambienti particolari.
La natura fornisce alla scienza una
fonte inesauribile di ispirazione per
contribuire al progresso umano. In
particolare il processo di conversione
di energia luminosa maggiormente
utilizzato in natura è la cosiddetta
fotosintesi clorofilliana.
Schema 1. Meccanismo di funzionamento di un dispositivo DSC.
Tale processo
utilizzato dalle piante è alla base della
vita sulla Terra e sfrutta l’energia solare
per produrre amido usando come
“combustibili” anidride carbonica ed
acqua, producendo come prodotto
“di scarto” ossigeno. Nella fotosintesi
un colorante (la clorofilla) assorbe
la radiazione solare nelle regioni del
rosso e del blu, trasmettendo quindi
il colore verde tipico delle piante, per
produrre uno stato eccitato a trasferimento
di carica che rende disponibile un elettrone per essere rilasciato
ad un sistema di trasporto di cariche.
Gli elettroni foto-prodotti servono
alle piante per operare la riduzione
della CO2 a cellulosa (costituente
dell’amido). La clorofilla foto-ossidata
(ovvero che ha perso un elettrone)
viene rigenerata al suo stato di partenza
trasferendo la lacuna di carica
foto-generata al centro di ossidazione
dell’acqua, dove appunto molecole di
acqua sono ossidate ad ossigeno molecolare.
Dallo studio approfondito dei processi
fondamentali sottostanti alla
base della conversione dell’energia
luminosa nella fotosintesi, si è pervenuti
negli anni a sistemi artificiali che
siano in grado di operare in maniera
analoga, sfruttando l’energia luminosa
per produrre corrente elettrica.
In questo contesto, si collocano le celle
solari a base di materiali organici
o ibride organiche-inorganiche. Tali
dispositivi, di cui la classe più nota è
rappresentata dalle celle solari a base
di semiconduttori inorganici sensibilizzate
da coloranti (Dye-sensitized
Solar Cells o DSC), presentano una
stretta analogia nel meccanismo di
funzionamento con la fotosintesi
clorofilliana. Un colorante capace di
assorbire la luce solare, tipicamente
un complesso metallico o una molecola
organica, è adsorbito sulla superficie
di un semiconduttore inorganico
nano strutturato (tipicamente TiO2),
che depositato in forma di film sottile
(6-12 μm) su un vetro conduttore,
costituisce il fotoanodo della cella.
Figura 2. Celle fotovoltaiche DSSC e pannelli in vari colori, leggere e flessibili. Il annello in basso mostra prototipi di celle DSSC realizzate nel laboratorio
CNR-ISTM di Perugia in vari colori ed in varie forme, con disegni che mostrano i loghi della Regione dell’Umbria e del Comune di Perugia.
A seguito dell’assorbimento di radiazione
solare il colorante, che potremmo
immaginare anche essere la stessa
clorofilla (esistono infatti DSC basate
su coloranti naturali) produce uno
stato eccitato a trasferimento di carica
dal quale un elettrone è iniettato
nello stato di conduzione del semiconduttore
inorganico. Il colorante è
quindi foto-ossidato e viene rigenerato
da un elettrolita di supporto (tipicamente
costituito dalla coppia iodio/
ioduro o da un conduttore di lacune
allo stato solido o gel), che viene a sue
volta rigenerato al catodo (tipicamente
un film sottile di Pt depositato su
un secondo vetro conduttore) dopo
aver rilasciato la differenza di energia
tra gli stati iniziali e finali al circuito.
Oltre all’interesse iniziale accademico,
i dispositivi DSC hanno riscontrato
crescente interesse applicativo
ed industriale.
Tali dispositivi sono
infatti caratterizzati da leggerezza,
trasparenza e flessibilità; i materiali
utilizzati possono essere depositati
su qualsiasi tipo di superficie (inclusi
tessuti); le celle possono essere realizzate
con materiali semi-trasparenti
(film di TiO2 di spessore micrometrico
sono appunto trasparenti) ed in diversi
colori, variando la natura chimica
del colorante sensibilizzante, colori
che passono agevolmente dal rosso al
verde al giallo al blu. Tali dispositivi
fotovoltaici presentano quindi elevate
potenzialità in termini di adattabilità
ed integrabilità con l’ambiente in cui
vengono ad inserirsi, fatto che diventa
assolutamente prioritario nel contesto
di territori di rilevanza paesaggistica e
culturale.
Come immediata possibile
applicazione, si pensi ad esempio alla
realizzazione di finestre o tetti o ancora
pensiline fotovoltaiche in centri
storici. Tali elementi sarebbero ovviamente
irrealizzabili con l’attuale
tecnologia al silicio a causa delle limitazioni
sopra citate. Oltre agli ovvi
benefici ambientali ed economici, va
inoltre citata la possibilità di produrre
energia elettrica in situ, che abbatte i
problemi associati al cablaggio delle
convenzionali reti elettriche.
Un aspetto fondamentale che ha scaturito
sostanziale interesse dal punto
di vista industriale è rappresentato dal
fatto che i dispositivi DSC sono vantaggiosi
rispetto alle tecnologie convenzionali
in termini economici, in
quanto caratterizzati da costi di materiali
e di produzione estremamente
contenuti (stimati sull’ordine di <1
euro/Wpeak), essendo tipicamente
processate da soluzione ed a temperature
non superiori a 500 C.
Figura 3. Simulazione del meccanismo di funzionamento
di un dispositivo fotovoltaico dye-sensitized
solar cell. In alto, geometria di adsorbimento del
complesso foto sensibilizzatore di rutenio su TiO2 e
simulazione del relativo spettro di assorbimento. In
basso, simulazione del processo di foto-eccitazione e
trasferimento di carica dallo stato eccitato del sensibilizzatore
a TiO2.
Si pensi,
a titolo di esempio, che allo stato attuale
il costo maggiore per la realizzazione
di un modulo basato su DSC è
quello dei due vetri conduttori, che si
aggirano intorno ai 20 euro/m2. Con
efficienze in cella superiori all’11%,
che si traducono in efficienze in moduli
su larga scala comprese tra il 6 e
l’8%, tale tecnologia offre la prospettiva
di rappresentare una vera rivoluzione
nel campo dello sfruttamento
dell’energia solare. Anche assumendo
i costi di produzione attuali, moduli
basati su DSC sono competitivi con sistemi convenzionali basati su silicio
amorfo. Le esigenze dei diversi settori
tecnologici alla base delle tecnologia
DSC impongono miglioramenti continui
delle caratteristiche strutturali,
elettroniche ed ottiche dei materiali
utilizzati, realizzabili solo mediante
tecniche design chimico di elevata
selettività ed efficienza in linea con
i principi di una chimica sostenibile.
Il settore è attualmente in forte evoluzione
anche in Italia e si contano
diverse iniziative industriali e miste
pubblico/privato per l’implementazione
di impianti pilota di produzione
di pannelli DSC. La Chimica
è un ingrediente fondamentale per
l’ulteriore sviluppo dei materiali costituenti
i dispositivi DSC (colorante,
semiconduttore inorganico, elettrolita
e contro elettrodo). Le competenze
sintetiche, proprie della comunità
chimica, sono quelle che trovano un
più immediato impiego nel campo
delle DSC. Infatti, la possibilità di
disegnare e sintetizzare molecole e
materiali con le opportune caratteristiche
elettroniche ed ottiche (un
colorante opportuno che assorba in
maniera completa l’intero spettro
visibile consentirebbe un balzo nelle
prestazioni anche del 50%) risulta un
aspetto particolarmente importante
per l’avanzamento della tecnologia
DSC ed in effetti buona parte degli
sviluppi fondamentali che si sono riscontrati
nel settore sono relazionabili
alla sintesi di nuovi coloranti.
Inoltre, un aspetto che ha consentito
notevoli passi avanti è stato la comprensione
approfondita dei fenomeni
fondamentali sottostanti al funzionamento
dei dispositivi DSC, quali
quelli relazionati alla comprensione
delle interazione tra radiazione luminosa
e materia ed al possibile successivo
trasferimento di carica.
Un ultimo ma non meno importante
aspetto in cui la chimica moderna sta
giocando un ruolo centrale è quello
della simulazione tramite elaborate
tecniche di calcolo sia delle proprietà
elettroniche ed ottiche di nuovi materiali
che dei processi di trasferimento
di carica ed energia sottostanti al funzionamento
dei dispositivi DSC.