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Copertina della rivista


Prato con 2010 sullo sfondo

Dalla fotosintesi alle celle solari

Le celle solari a base di semiconduttori inorganici sensibilizzate da coloranti (Dye-sensitized Solar Cells o DSC), presentano una stretta analogia nel meccanismo di funzionamento con la fotosintesi clorofilliana e sono vantaggiosi rispetto alle tecnologie convenzionali in termini economici, in quanto caratterizzati da costi di materiali e di produzione estremamente contenuti.


Lo sfruttamento dell’energia solare rappresenta sicuramente una sfida per questo millennio a causa della possibilità di produrre energia elettrica in maniera inesauribile e pulita. La sempre più ridotta disponibilità di combustibili fossili a basso costo e di facile accesso, associata alla crescente domanda di energia ed ai problemi di inquinamento ambientale e cambiamento climatico, è percepita da vasti strati dell’opinione pubblica e della classe politica. La coscienza di questa emergenza si sta affacciando anche in Italia, Paese poverissimo di risorse energetiche convenzionali e quindi inesorabilmente obbligato ad esplorare lo sfruttamento di fonti alternative.

Tale tendenza è stata recentemente formalizzata dalla UE che ha stabilito l’equazione 20 + 20 - 20 = 2020, ovvero incrementare il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili del 20% riducendo allo stesso tempo la produzione di CO2 del 20% entro l’anno 2020. Fra le varie fonti rinnovabili, la possibilità di utilizzare l’energia solare per produrre direttamente energia elettrica, tramite l’effetto fotovoltaico, risulta particolarmente interessante per almeno tre motivi:

1. è gratuita ed inesauribile;

2. può essere convertita localmente anche in piccole installazioni in modo assolutamente eco-compatibile;

3. è abbondante alle nostre latitudini.

Si pensi, ad esempio, che per soddisfare il fabbisogno elettrico complessivo italiano con le tecnologie fotovoltaiche oggi disponibili occorrerebbe coprire di pannelli solari un’area pari allo 0.8% del territorio nazionale (2440 km2, ad es. la provincia di Piacenza).


Figura 1. Pannelli fotovoltaici a silicio.

La tecnologia fotovoltaica convenzionale consente oggi di ottenere rese di conversione anche molto elevate, fino al 40% per dispositivi prototipo multigiunzione, sebbene le celle solari comunemente in commercio garantiscano rese del 12-18%. Tuttavia, la tecnologia fotovoltaica attualmente in commercio, basata su giunzioni p-n di semiconduttori inorganici, presenta un costo di produzione molto elevato a causa dell’elevato costo dei materiali (gli stessi utilizzati per la produzione di microprocessori), degli elevati requisiti di purezza degli stessi e dell’elevato contenuto energetico dei materiali stessi (che vengono prodotti impiegando alte temperature e condizioni di ultra-alto vuoto). Tali caratteristiche svantaggiose comportano un costo per Watt di potenza di picco prodotta con tecnologia fotovoltaica anche 10 volte più elevato rispetto al costo medio dell’energia elettrica sul mercato (2-4 euro vs. 0.2-0.4 euro per Wpeak).

Oltre all’aspetto economico, i pannelli solari al silicio presentano alcune intrinseche costrizioni tecniche che ne limitano fondamentalmente l’impiego in contesti di valore architettonico storico-artistico e paesaggistico: sono di colore scuro, sono rigidi e vanno posizionati a 45° rispetto alla incidenza della luce solare per un’efficienza ottimale. Il problema che si pone alla comunità scientifica oggi è quindi quello di pervenire a soluzioni che permettano di sfruttare l’energia solare ad un prezzo economicamente conveniente. In questo contesto la Chimica gioca un ruolo fondamentale nella ricerca e sviluppo di nuove molecole e materiali che costituiscano la base per una nuova e rivoluzionaria tecnologia fotovoltaica ecocompatibile, a basso costo e che risponda anche a particolari requisiti estetici o di utilizzo in ambienti particolari. La natura fornisce alla scienza una fonte inesauribile di ispirazione per contribuire al progresso umano. In particolare il processo di conversione di energia luminosa maggiormente utilizzato in natura è la cosiddetta fotosintesi clorofilliana.


Schema 1. Meccanismo di funzionamento di un dispositivo DSC.

Tale processo utilizzato dalle piante è alla base della vita sulla Terra e sfrutta l’energia solare per produrre amido usando come “combustibili” anidride carbonica ed acqua, producendo come prodotto “di scarto” ossigeno. Nella fotosintesi un colorante (la clorofilla) assorbe la radiazione solare nelle regioni del rosso e del blu, trasmettendo quindi il colore verde tipico delle piante, per produrre uno stato eccitato a trasferimento di carica che rende disponibile un elettrone per essere rilasciato ad un sistema di trasporto di cariche. Gli elettroni foto-prodotti servono alle piante per operare la riduzione della CO2 a cellulosa (costituente dell’amido). La clorofilla foto-ossidata (ovvero che ha perso un elettrone) viene rigenerata al suo stato di partenza trasferendo la lacuna di carica foto-generata al centro di ossidazione dell’acqua, dove appunto molecole di acqua sono ossidate ad ossigeno molecolare. Dallo studio approfondito dei processi fondamentali sottostanti alla base della conversione dell’energia luminosa nella fotosintesi, si è pervenuti negli anni a sistemi artificiali che siano in grado di operare in maniera analoga, sfruttando l’energia luminosa per produrre corrente elettrica.

In questo contesto, si collocano le celle solari a base di materiali organici o ibride organiche-inorganiche. Tali dispositivi, di cui la classe più nota è rappresentata dalle celle solari a base di semiconduttori inorganici sensibilizzate da coloranti (Dye-sensitized Solar Cells o DSC), presentano una stretta analogia nel meccanismo di funzionamento con la fotosintesi clorofilliana. Un colorante capace di assorbire la luce solare, tipicamente un complesso metallico o una molecola organica, è adsorbito sulla superficie di un semiconduttore inorganico nano strutturato (tipicamente TiO2), che depositato in forma di film sottile (6-12 μm) su un vetro conduttore, costituisce il fotoanodo della cella.


Figura 2. Celle fotovoltaiche DSSC e pannelli in vari colori, leggere e flessibili. Il annello in basso mostra prototipi di celle DSSC realizzate nel laboratorio CNR-ISTM di Perugia in vari colori ed in varie forme, con disegni che mostrano i loghi della Regione dell’Umbria e del Comune di Perugia.

A seguito dell’assorbimento di radiazione solare il colorante, che potremmo immaginare anche essere la stessa clorofilla (esistono infatti DSC basate su coloranti naturali) produce uno stato eccitato a trasferimento di carica dal quale un elettrone è iniettato nello stato di conduzione del semiconduttore inorganico. Il colorante è quindi foto-ossidato e viene rigenerato da un elettrolita di supporto (tipicamente costituito dalla coppia iodio/ ioduro o da un conduttore di lacune allo stato solido o gel), che viene a sue volta rigenerato al catodo (tipicamente un film sottile di Pt depositato su un secondo vetro conduttore) dopo aver rilasciato la differenza di energia tra gli stati iniziali e finali al circuito. Oltre all’interesse iniziale accademico, i dispositivi DSC hanno riscontrato crescente interesse applicativo ed industriale.

Tali dispositivi sono infatti caratterizzati da leggerezza, trasparenza e flessibilità; i materiali utilizzati possono essere depositati su qualsiasi tipo di superficie (inclusi tessuti); le celle possono essere realizzate con materiali semi-trasparenti (film di TiO2 di spessore micrometrico sono appunto trasparenti) ed in diversi colori, variando la natura chimica del colorante sensibilizzante, colori che passono agevolmente dal rosso al verde al giallo al blu. Tali dispositivi fotovoltaici presentano quindi elevate potenzialità in termini di adattabilità ed integrabilità con l’ambiente in cui vengono ad inserirsi, fatto che diventa assolutamente prioritario nel contesto di territori di rilevanza paesaggistica e culturale.

Come immediata possibile applicazione, si pensi ad esempio alla realizzazione di finestre o tetti o ancora pensiline fotovoltaiche in centri storici. Tali elementi sarebbero ovviamente irrealizzabili con l’attuale tecnologia al silicio a causa delle limitazioni sopra citate. Oltre agli ovvi benefici ambientali ed economici, va inoltre citata la possibilità di produrre energia elettrica in situ, che abbatte i problemi associati al cablaggio delle convenzionali reti elettriche. Un aspetto fondamentale che ha scaturito sostanziale interesse dal punto di vista industriale è rappresentato dal fatto che i dispositivi DSC sono vantaggiosi rispetto alle tecnologie convenzionali in termini economici, in quanto caratterizzati da costi di materiali e di produzione estremamente contenuti (stimati sull’ordine di <1 euro/Wpeak), essendo tipicamente processate da soluzione ed a temperature non superiori a 500 C.


Figura 3. Simulazione del meccanismo di funzionamento di un dispositivo fotovoltaico dye-sensitized solar cell. In alto, geometria di adsorbimento del complesso foto sensibilizzatore di rutenio su TiO2 e simulazione del relativo spettro di assorbimento. In basso, simulazione del processo di foto-eccitazione e trasferimento di carica dallo stato eccitato del sensibilizzatore a TiO2.

Si pensi, a titolo di esempio, che allo stato attuale il costo maggiore per la realizzazione di un modulo basato su DSC è quello dei due vetri conduttori, che si aggirano intorno ai 20 euro/m2. Con efficienze in cella superiori all’11%, che si traducono in efficienze in moduli su larga scala comprese tra il 6 e l’8%, tale tecnologia offre la prospettiva di rappresentare una vera rivoluzione nel campo dello sfruttamento dell’energia solare. Anche assumendo i costi di produzione attuali, moduli basati su DSC sono competitivi con sistemi convenzionali basati su silicio amorfo. Le esigenze dei diversi settori tecnologici alla base delle tecnologia DSC impongono miglioramenti continui delle caratteristiche strutturali, elettroniche ed ottiche dei materiali utilizzati, realizzabili solo mediante tecniche design chimico di elevata selettività ed efficienza in linea con i principi di una chimica sostenibile.

Il settore è attualmente in forte evoluzione anche in Italia e si contano diverse iniziative industriali e miste pubblico/privato per l’implementazione di impianti pilota di produzione di pannelli DSC. La Chimica è un ingrediente fondamentale per l’ulteriore sviluppo dei materiali costituenti i dispositivi DSC (colorante, semiconduttore inorganico, elettrolita e contro elettrodo). Le competenze sintetiche, proprie della comunità chimica, sono quelle che trovano un più immediato impiego nel campo delle DSC. Infatti, la possibilità di disegnare e sintetizzare molecole e materiali con le opportune caratteristiche elettroniche ed ottiche (un colorante opportuno che assorba in maniera completa l’intero spettro visibile consentirebbe un balzo nelle prestazioni anche del 50%) risulta un aspetto particolarmente importante per l’avanzamento della tecnologia DSC ed in effetti buona parte degli sviluppi fondamentali che si sono riscontrati nel settore sono relazionabili alla sintesi di nuovi coloranti. Inoltre, un aspetto che ha consentito notevoli passi avanti è stato la comprensione approfondita dei fenomeni fondamentali sottostanti al funzionamento dei dispositivi DSC, quali quelli relazionati alla comprensione delle interazione tra radiazione luminosa e materia ed al possibile successivo trasferimento di carica.

Un ultimo ma non meno importante aspetto in cui la chimica moderna sta giocando un ruolo centrale è quello della simulazione tramite elaborate tecniche di calcolo sia delle proprietà elettroniche ed ottiche di nuovi materiali che dei processi di trasferimento di carica ed energia sottostanti al funzionamento dei dispositivi DSC.